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mercoledì 16 novembre 2011

Serva chiesa in servo stato

La Cei di Bagnasco si piega al ceto politico centrista e tecnocratico

La Conferenza episcopale si è imbarcata con il professore. Nessuno, in casa cattolica, ha finora provato seriamente a stimare il costo dell’operazione Monti, al rischio di farne la stampella nell’illusione di guidarla. Lo sforzo volontaristico di “far rientrare i cattolici in politica”, del nuovo impegno, rischia paradossalmente di infilare i cattolici nell’antipolitica. In un libro di prossima pubblicazione, anticipato da Sandro Magister, Luca Diotallevi, professore di sociologia e politologo di riferimento della cei ruiniana, scrive che “nessun esercizio retorico può occultare la radicale divergenza di interessi che oppone il ceto politico ‘neocentrista’ all’elettorato ‘centrale’, in larga parte costituito da quei cattolici a nome dei quali i politici ‘centristi’ pretenderebbero di parlare”. E che “il ceto politico ‘neocentrista’, per sopravvivere, ha assoluto bisogno di sabotare la democrazia governante e di sterilizzare il potere decisionale degli elettori, onde trasformare il proprio modesto capitale di consenso elettorale in una irresponsabile rendita di posizione parlamentare”. Quasi profetico.

Chissà se il governo tecnico-politico del professor Monti, che intende durare fino al 2013 ben innervato da alte personalità del mondo cattolico, riuscirà a varare anche il testamento biologico, naufragato nel nulla di fatto, una legge controversa naufragata in Parlamento. Diversamente, la legislatura finirà con un pugno di mosche per l’agenda della Conferenza episcopale, e il cambio di strategia sarà a dividendo zero. Nella prima fase della seconda repubblica, sotto la guida politica (e tecnica) di Camillo Ruini, imperniata sulla capacità di stare al centro e incalzare entrambi i poli, le cose erano diverse, ma forse oggi questo non interessa più. Oggi, delusi dalla classe politica nel suo insieme e preoccupati delle bufere finanziare, i vescovi hanno scelto un’altra strategia. La benedizione dell’ipotesi Monti (senza troppo sottilizzare sul conseguente svuotamento della politica: sui media cattolici, per anni così attenti ai disvalori del populismo mediatico, si tace) è chiara da giorni. Che vi sia stato un via libera del cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, anche. E lo dimostra la solerte e mai smentita disponibilità di personalità dell’entourage, da Andrea Riccardi all’economista Carlo Dell’Aringa a entrare.
Con il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi, responsabile del Progetto culturale ruiniano e uomo tutt’altro che incline alle avventure ministeriali, la scelta della Cei squillerebbe come una messa cantata.
Ma basta l’Avvenire. Ieri il direttore Marco Tarquinio ha scritto che il governo Monti è “una possibilità concreta. E c’è da augurarsi che si realizzi. Così come c’è da augurarsi che la qualità della proposta programmatica e delle personalità della compagine governativa che sta nascendo sia tale da agevolare questo esito”. Poi c’è la gioiosa corsa centripeta degli ex dc ex berlusconiani. E la svolta della galassia ciellina: politici professionali, rappresentanza mediatica. Luigi Amicone, direttore di Tempi, ha scritto che “sarebbe necessario, anche dopo Monti, che almeno i due principali partiti – Pdl e Pd – si presentassero agli italiani con la stessa opzione e programma di Grosse Koalition”. La corsa al centro è cresciuta dall’estate, con l’incontro segreto orchestrato da monsignor Toso, numero due del segretario di stato Tarcisio Bertone. Come sempre, quando ci sono guerre e carestie, la chiesa bada ai fondamentali: le chiese e le scuole (il ministero dell’Istruzione), possibilmente le famiglie. Ma in tutto questo – e qualcuno, un po’ sottovoce, in casa cattolica lo dice – c’è anche il venir meno di una visione strategica. La chiesa ruiniana dei valori non negoziabili esce triturata, e corre a riposizionarsi. Persino Scienza & Vita, creatura ruiniana che aveva fatto della lobby bipartisan e pre-politica la sua chiave di successo, organizza per il 18 un convegno con Alfano, Bersani, Casini e Maroni. Ma anche il progetto di Casini sembra per ora doversi limitare a qualche nome potabile per il giro bocconiano. Dovrà dimostrare poi di avere tela da tessere, fermo restando che, in uno schema bipolare, la chiesa non sa che farsene di un partito identitario al poco per cento.
Più complessa da decifrare la posizione di Cl. Comunione e liberazione sta investendo il suo massimo sforzo pubblico su un terreno di mobilitazione pre-politico, sintetizzato nel documento “La crisi sfida per un cambiamento”. Non uno, ma due passi indietro dalla politica politicata. Ma allo stesso tempo, questo segna uno spread con la sua rappresentanza politica, quella che fino a 30 secondi dalla fine ha militato nel berlusconismo ed è ancora una componente (forte, di tesseramento) del Pdl. Dentro il quale Roberto Formigoni ha cavalcato un progetto preciso, egemonico, quello di trasformarlo in una costola del Ppe, una forza moderata a trazione cattolica e un “country party” del maggioritario. Ora l’adesione convinta al governo emergenziale, in chiave Grande Coalizione, rischia quella prospettiva in favore dell’opa ostile casiniana. Al Foglio, Formigoni ha ribadito che non c’è timore di questo, e anzi che dopo la breve esperienza si tornerà su quella via. Ma il dubbio resta. E soprattutto: quanto pagherà di interessi tra 18 mesi?

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