ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 5 dicembre 2011

Leggende sfatate

Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo

La Civiltà Cattolica, anno trigesimoprimo, vol. III della serie XI, Firenze 1880 (pag. 485-491)

RIVISTA DELLA STAMPA ITALIANA

A. Leonetti D. S. P. Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo. Bologna, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1880. Tre vol, in 16.Leonetti
Quante peggiori accuse si possono apporre alla vita privata e pubblica di un sovrano e d'un Pontefice, tutte si son volute accumulare sul capo di Alessandro VI.
Simonia nell'elezione al trono pontificio da lui comprato colla corruzione di tutto il Conclave che lo elesse ad unanimità: e, conforme a tale principio, un turpissimo mercato de' beneficii ecclesiastici da lui aperto ogni qual volta sentisse il bisogno di denaro: il bisogno poi sentirlo poco men che di continuo tra per la sordida avarizia e per la sconfinata ambizione di grandeggiare egli e d'ingrandire la famiglia. A questo doppio fine poi subordinare, e come pontefice perfino la santità dei matrimonii da lui sciolti a talento, e come sovrano la fede dei trattati più solenni. Appena mai stringere amicizia o coi Francesi o cogli Spagnuoli o cogli Aragonesi, che al tempo stesso non menasse trattati segreti coi nemici dei suoi alleati, per mancar poi di fede ad ambedue: il Sultano Gem, ospite e guarentigia di pace a tutta la cristianità, avvelenato: il Savonarola mandato al rogo: il Valentino la cui stessa origine è una macchia d'infamia per Alessandro, licenziato dal padre ad ogni maniera di tradimenti e di crudeltà. Nè venga in mente ad alcuno di ravvisare in tanta enormità di scelleraggini quell'ombra di grandezza luciferina che dall'indole e dall'ingegno dei gran peccatori si riverbera ancor sui loro delitti. In Alessandro non solo non s'incontra nulla di buono, non pietà, non dottrina, non vastità d'ingegno, non amore alle scienze, non sollecitudine pel bene dei popoli, ma nei vizii stessi tutto è volgare, a cominciare dalla codardia nei fatti avversi, fino alle dissolutezze sue e dei suoi, che volsero il Vaticano in un teatro di orgie spudorate. Ma si stancò finalmente la divina giustizia di sì mostruose iniquità e a saggio de' più gravi castighi riservati all'altra vita, dispose che l'indegno Pontefice bevesse un veleno da lui preparato a circa una dozzina di Cardinali, e impenitente disperato rendesse l'anima sua al demonio visibile e presente, a cui l'avea già donata al tempo del Conclave come prezzo dell'ambita sua elezione.

Anche gli scrittori cattolici più autorevoli, diffidati di poter difendere una causa tanto disperata come quella d'Alessandro VI, credettero meglio di mostrarsi imparziali formandone gindizii inauditi. De hoc Pontifice, scrive il Mansi, facilius siletur quam moderati aliquid dicitur. In illo vitia omnia extrema, virtutes moderatae nisi melius dixeris nullae... Qui hunc laudet neminem huc usque scriptorem offendi, non aequalem eorum temporum, non recentiorem. Ma tanto eccesso di accuse esorbitanti per numero e per gravezza, dovea presto o tardi ingenerare sospetto negli animi amanti di verità ed esercitati per lungo studio della storia a scoprire le falsità introdotte in lei dalla passione dei contemporanei o dalla inavvertenza e buona fede dei posteriori. Parecchi scrittori vuoi cattolici vuoi protestanti, il Roscoe, l'Audin, il Ranke, il Christophe, l'Hefele, il Perrens aveano già proferiti intorno a Papa Alessandro VI o ad alcuni dei fatti più rilevanti della sua vita, giudizii o al tutto favorevoli o non del tutto contrarii. Lo stesso Voltaire li avea prevenuti sbertando la favola dell'avvelenamento del Pontefice, e sfatando l'autorità storica del Guicciardini. Si sono poi scoperti in questi ultimi anni parecchi documenti o staccati o raccolti in serie continuate, come i dispacci di Antonio Giustiniani ambasciadore per la Repubblica di Venezia alla corte di Alessandro VI, ed altri. Si è inoltre da varii scrittori cercato d'illustrare i fatti di casa Borgia attenentisi a quelli di Alessandro; come in ispecie ha fatto, sebbene con molte mende, il Gregorovius a riguardo di Lucrezia Borgia, da lui tolta all'infamia onde l'aveano coperta per quasi quattro secoli gli accusatori di Alessandro VI. Era venuto insomma il tempo di rifare la storia di questo Pontefice, come s'è rifatta ai nostri tempi quella di Gregorio VII dal Voit, e d'Innocenzo III dall'Hurter e del Card. Ximenes dall'Hefele: nè mancava se non che qualcuno si mettesse a quest'opera, quanto faticosa per sè, altrettanto certa di approdare a qualche buon effetto.
Il ch. P. Leonetti delle Scuole Pie vi si dedicò con tutto sè mosso dall'amore di verità e da divozione verso la Sede Apostolica; e vi recò quella sollecitudine nel ricercare tutti i documenti, quella schiettezza nel citarli e quella diligenza nel discuterli, che si richieggono in chi dovendo rovesciare antichi ed universali pregiudizii, sa d'incontrare in ogni lettore non un discepolo ben disposto, ma un giudice mal prevenuto. E in vero, al lume di questa istoria il ritratto di Alessandro VI, quale si mostrava fin qui, ci apparisce qual sarebbe alla luce del sole un ritratto dipinto sotto gl'incerti raggi del crepuscolo da qualche pittore quanto losco degli occhi tanto ardito della mano.
La sentenza del Mansi, intorno ad Alessandro VI pur ora citata, si riassume in due parole: In questo Pontefice nulla si vide di buono: tutto fu reo, anzi pessimo. Or quanto alla prima parte, già per sè incredibile, il Leonetti non pena a schierarci innanzi, non che una o due azioni e qualità commendevoli di Alessandro, ma tutta una serie, da pregiarsene qualunque successore di S. Pietro: nè ad un animo ben disposto bisognerebbe altro argomento per ripudiare almeno in genere il concetto che egli ebbe finora di questo Pontefice; poichè riesce impossibile, ritenendolo, il conciliare con esso fatti e sentimenti sì virtuosi e sì comprovati. Divozione esimia alla SS. Vergine, dimostrata non pure nelle publiche circostanze, ma nei privati carteggi; assiduità straordinaria alle funzioni sacre, delle quali il pio Pontefice prendeva singolare diletto: zelo per la riforma dei monasteri, per la propagazione della fede fra gl'infedeli e per la conversione degli eretici. Vistisi appena i primi abusi della stampa, che testè nata volgevasi già alla diffusione di libri empii e licenziosi, Alessandro come vigilante pastore vi si oppone con una solenne Bolla che rimase come fondamento alle posteriori disposizioni della Chiesa circa la stessa materia. Un'altra Costituzione avea egli già preparata col consiglio di sei dottissimi e specchiatissimi Cardinali per la Riforma dei costumi nella Chiesa universale, incominciando dal suo Capo; sebbene per difficoltà a noi ignote soprassedesse dal publicarle: ma non s'astenne già dal prendere altri gravissimi provvedimenti, l'efficacia de' quali si vide segnatamente nella riforma della Spagna; e sarebbesi del pari veduta altrove, se altrove fossero vissuti altri Ximenes, che avessero secondata la saviezza e la santità delle leggi col vigore dell'applicazione. E per lasciare di altre opere assai appartenenti al ministero apostolico, come sovrano e sovrano regnante in Italia, Alessandro non solamente mantenne per sè e pel Valentino, in Roma e nelle province sì buon governo, che morto lo rimpiansero i popoli e al Valentino sostenuto prigione si mantennero fedeli; ma egli di stirpe spagnuola altro disegno politico non ebbe più a cuore, nè ad altro si adoperò più calorosamente, che ad unire gli Stati tutti d'Italia in una sola lega intesa alla prosperità comune e all'indipendenza da qualsiasi straniero. Ma non gli venne mai fatto d'associarsi in sì nobile politica i principi e le repubbliche d'Italia, che in risposta agli ufficii del Papa non si vergognavano di protestarsi buoni francesi o di far lega collo Spagnuolo e fin col Turco, con quel frutto per la Cristianità e per l'Italia che ci dicono le storie di quel tempo.
Or chi crederebbe che Alessandro occupato in sì diverse cure di politica, distratto nella grand'opera di fiaccare l'usurpata potenza dei baroni romani e di francare ad una ad una dalla loro tirannia le terre della Chiesa Romana e ricondurle sotto l'immediato e discretissimo governo dei Pontefici, ridotto inoltre alle ultime angustie dagli stranieri venuti per la sconsigliatezza degli altri Stati italiani non che ad occupare ma a dividersi fra loro le province d'Italia e ad assediare lui stesso in Castel S. Angelo; chi crederebbe, diciamo, che Alessandro avesse avuto o agio o talento di meritarsi ancora il titolo d'insigne protettore delle lettere? Eppure basta al Leonetti di raccogliere le notizie dovuteci trasmettere dalla istoria, quantunque malevola e dai documenti, per rappresentarci Alessandro come uno dei primi autori di quel movimento, che allargato e condotto al sommo grado da Leone X successore di lui e sotto di lui Cardinale, fece denominare da un Pontefice Romano il secolo del Risorgimento delle arti e delle scienze. Aveva già divisato Innocenzo III di ampliare l'edifizio della Università Romana, la cui ristrettezza ne scemava il decoro e, che più è, ne inceppava colla incomodità del luogo il concorso degli scolari e dei professori. Alessandro incarnò il disegno d'Innocenzo, riedificando l'Università Romana; e per di più la dotò di rendite bastevoli al degno sostentamento di lettori d'ogni scienza. Allora vi si videro tenere scuola un Marco Vigerio, un Tommaso de Vio, un Giovanni Argiropulo, ed oltre a moltissimi altri famosi in ogni genere di discipline, lo stesso Copernico provveduto da Alessandro di convenevole pensione quivi insegnò, benchè nella fresca età di circa ventisette anni, le matematiche; e col Retico suo indivisibile compagno vi praticò le sue osservazioni astronomiche.
Non meno poi de' buoni studii favorì Alessandro e promosse con pontificia munificenza le arti: ma di questa e d'altre sue lodi possiamo tacere; essendo le cose dette fin qui, o piuttosto solo accennate, più che bastevoli a giudicare quanto lontano dal vero errino le storie di Alessandro VI che ci fan credere non ravvisarsi in questo pontefice se non virtù mediocri, o per meglio dire nessuna: non religiosa, non civile, non politica.
Ma un còmpito assai più vasto avea il Lionetti nel purgare la memoria di Alessandro dalle accuse di mostruosi delitti appostigli ancora da scrittori del suo tempo. Il ch. A. le riassume ad una ad una allegandone fedelmente le prove, che poi discute. Convien leggere ciascuna di coteste discussioni, che formano la materia presso che d'ogni capitolo, per giudicare del grado di evidenza a cui giunge in ciascuno d'essi la difesa. Un sincero lettore vi riconosce con piacere che quasi tutte le accuse vi sono convinte o di sfrontata calunnia o di manifesto errore, in ispecie alcune delle più obbrobriose. Fra queste ve n'è una, di cui si occupò la Civiltà Cattolica in un suo articolo or sono già parecchi anni. Al che riferendosi un giornale cattolico nel dar conto dell'opera del Leonetti, in una sua appendice bibliografica, nominato cortesemente il nostro periodico, entra a dire che la Civiltà Cattolica «rese colla massima calma ed indifferenza il suo omaggio a questa turpe tradizione che ha fatto di Alessandro VI il ludibrio universale, pubblicando una presunta Bolla» eccetera. Le ottime intenzioni del giornale che così parla meritano che talora si passi sopra alla poca consideratezza di certi suoi appunti. Non mette conto disputare, a cagion d'esempio, sulla tinta d'affetto, che a parer suo sarebbe convenuto dare a quella discussione; neanche gli opporremo che chi pubblica un documento, o chi solo lo riporta, già pubblicato, come fece la Civiltà Cattolica, non rende omaggio a una tradizione, ma cerca di risalire alle sue origini; nè gli chiederemo se sia ben evidente che quella bolla fosse presunta. Ci contenteremo di osservare che l'autore dell'Appendice, venuto poco più sotto a giudicare intorno al valore delle difese del Leonetti, mostra di non sentire il difetto di evidenza se non appunto in quella sola a cui si rannoda il soggetto della Bolla: Rispetto a quest'accusa, dice egli «i documenti recati in mezzo... non possono raggiungere lo scopo che si vorrebbe d'una piena ed evidente difesa del Pontefice, sebbene resti il dubbio e dubbio fortissimo, il che è già molto di fronte alla convinzione contraria antecedente.» Verissimo è che il nostro critico trova poco evidente la difesa soltanto a riguardo del Card. Rodrigo. Or che sarebbe se ad altri paresse soverchia anche questa concessione? Gli apprezzamenti degli uomini anche gravi possono esser diversi e qui ci sembra più che mai essere il caso. Ci pare pertanto di dare non piccola lode al Leonetti, encomiandolo d'avere in genere sollevati su questo argomento dei dubbii, che scoteranno in molti le convinzioni antecedenti.
Checchè sia di ciò, e conceduto che nella lunga e intricata apologia a cui si riduce la presente Vita di Alessandro VI non tutte le argomentazioni e i giudizii del ch. Autore possano apparire egualmente evidenti agli occhi d'ogni lettore; un effetto peraltro crediamo che proveranno in sè quanti la scorreranno; e sarà il concepire in prima e poi a mano a mano sentir crescere in sè la persuasione, che mai più sformato cumulo d'impudenti calunnie, e di menzogne e falsità non fu composto dalla passione degli uomini e dalla credulità, che nella storia di questo Pontefice. Sarebbe mancata una parte sostanziale all'apologia intrapresane, se il ch. Autore non avesse tolto ad esaminare le fonti da cui sgorgò tanta melma di accuse, e scopertele da prima nei numerosi nemici che ad Alessandro procacciò la fortezza nel rivendicare i diritti della Chiesa e nel promuovere gl'interessi della Cristianità e dell'Italia, contro alla rovinosa e codarda politica seguita dagli altri Stati massime italiani. Poeti e storici di corti avverse al Pontefice, solleciti solo del bello scrivere e non curanti di scrivere il vero, si tennero dai posteri in luogo d'autorevoli testimonii. Ma oltre a questi, si vollero citare ancora più gravi documenti: il Diario del Burkardo, e quello dell'Infessura: il Diario di Marin Sanuto; la Relazione di Paolo Cappello. Si legga il Leonetti e si vedrà qual peso abbiano tali scritture, piene le une delle favole più sbardellate, e di ridicole contradizioni; altre prive d'autenticità; altre posteriori di gran lunga ai tempi di Alessandro. E pure son queste le pietre angolari su cui si regge il monumento d'infamia inalzato a quel Pontefice.
Conchiudiamo. Il Leonetti ha con questa sua opera renduto un insigne servigio alla storia, alla giustizia e a tutti i fedeli, che si rallegrano di veder rivendicato da innumerevoli calunnie l'onore d'un Pontefice Romano.

Per approfondire:

A. Leonetti: Papa Alessandro VI secondo documenti e carteggi del tempo, capitolo XXVII (§ I-VIII) del III vol.



Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.