ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 2 dicembre 2011

Siamo pronti al Paradiso?

Certe volte mi capita di parlare con persone, magari anche cattoliche, scettiche sul Paradiso. Che non riescono a concepire come si possa vivere cent’anni senza annoiarsi, figurarsi un’eternità.
E quindi immaginano il Paradiso – dove, ricordo, avremo un corpo in carne ed ossa e non uno spirito disincarnato - come una palla pazzesca. L’apoteosi della noia, insomma.
Ciò è la dimostrazione pratica come l’uomo sia limitato.
Mi fa venire il dubbio che chi pensa questo non abbia mai provato la vera felicità, che non abbia mai realmente desiderato con quella forza e quell’impeto che fanno dell’essere umano ciò che fa meravigliare pure gli angeli.
Il sospetto è che si identifichi la gioia con il piacere, la felicità con l’appagamento. Errore mortale: chi è appagato è semplicemente in carenza da desiderio, mira basso, desidera piccole cose. Il piacere, poi, è più che effimero: ed in questa nostra società spesso è identificato con ciò che dopo lascia con l’amaro in bocca, con il sospendere il cervello e il cuore per lasciare parlare le gonadi. Un cristiano dovrebbe conoscere la differenza, in modo pratico, altrimenti occorre seriamente interrogarsi se non si stia sbagliando qualcosa.
La gioia e la felicità invece sono a carattere persistente. Se qualche volta sono interrotte dal dolore e dalla sofferenza, o più spesso dal peccato, è solo una sospensione, una caratteristica ineliminabile dell’essere creature finite, che vivono una esistenza finita. Personalmente, se talvolta mi annoio non è perché non so cosa fare, ma perché sono impedito dal fare. Se il Paradiso è il posto dove saranno rimossi questi vincoli me lo figuro come il luogo dove la creatività, l’esuberanza, la curiosità saranno esaltati, non più imbrigliati da un corpo troppo pesante.
Niente di meno. Quasi certamente molto di più.
L’invito che ci viene rivolto è quello di essere felici davvero, oltre i nostri sogni più audaci. Come ci ricorda questa poesia di Ol’ga Aleksandrovna Sedakova, “L’angelo di Reims”:
«Sei pronto? / l’angelo sorride / lo chiedo, anche se so / che certo tu sei pronto / (…) ma tuttavia / in questa rosea pietra sgretolata / levando il braccio / scheggiato dalla guerra mondiale / consentimi tuttavia di ricordarti: / sei pronto? / Alla peste, alla fame, all’ira che si abbatte su di noi? / Certo, è tutto importante, ma non è di questo che voglio parlarti / Non è questo che ho il dovere di rammentarti. / Non per questo sono stato inviato. / Io ti dico: / tu / sei pronto / a una felicità incredibile?». 

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