SE UN DOMENICANO DIFENDE LO SPETTACOLO BLASFEMO DI CASTELLUCCI
Scena finale dello spettacolo di Romeo Castellucci |
Sta suscitando polemiche e indignazione la tourné italiana dello spettacolo di Romeo Castellucci dal titolo "Sul concetto del volto del Figlio di Dio". Lo spettacolo sarà messo in scena al teatro Parenti di Milano il prossimo 24 gennaio. Dopo le vivaci reazioni di numerosi cattolici francesi che hanno accolto gli sfigati spettatori dell'opera con lanci di uova e olio da motore, è adesso l'Italia che lentamente comincia ad agitarsi per una pièce nella quale il volto di Cristo viene preso a sassate...
Personalmente avrei qualcosa da dire sull'opera in sé, sulle sperimentazioni coprofiliache di certo teatro contemporaneo. Ma preferisco tacere perché non è la "libertà" dell'artista che m'interessa criticare. Oggi è talmente sovrabbondante da esser divenuta banale, scontata, provinciale e persino pacchiana.
M'interessa invece esaminare un breve commento teologico, a supporto dell'opera in questione, realizzato da un frate domenicano francese, tal frère Thierry Hubert.
Il testo del dotto predicatore esordisce così: "Si è sicuri d'aver visto la creazione di Romeo Castellucci o di aver letto la Bibbia se si considera allo stesso tempo la sua prima come un atto blasfemo contro la Bibbia stessa e più precisamente contro la figura del Figlio di Dio? No di certo, dato che la proposta del regista italiano può essere letta al contrario con gli occhi di un credente come una profonda meditazione sulla rivelazione cristiana".
Sì, lapidando e coprendo di cacca metaforica (Castellucci ci tiene a precisare che cacca non è ma inchiostro nero) la grande immagine del Cristo di Antonello da Messina che incombe sulla scena. Ma andiamo avanti. Sentite il delirio di codesto epigono di San Tommaso e San Pio V: "Romeo Castellucci si è nutrito dei gesti della tradizione cristiana come ha egli stesso già spiegato ad Avignone durante l'ultimo festival. Che tali elementi della Tradizione sfuggano ai credenti che si dicono pudicamente conservatori non è cosa di cui meravigliarsi. Ma che questi stessi credenti non si servano come minimo di una Bibbia per entrare nella comprensione dello spettacolo, ecco che ciò è piuttosto inquietante!"
Padre Thierry Hubert in abito da cazzeggio... |
Sì, lapidando e coprendo di cacca metaforica (Castellucci ci tiene a precisare che cacca non è ma inchiostro nero) la grande immagine del Cristo di Antonello da Messina che incombe sulla scena. Ma andiamo avanti. Sentite il delirio di codesto epigono di San Tommaso e San Pio V: "Romeo Castellucci si è nutrito dei gesti della tradizione cristiana come ha egli stesso già spiegato ad Avignone durante l'ultimo festival. Che tali elementi della Tradizione sfuggano ai credenti che si dicono pudicamente conservatori non è cosa di cui meravigliarsi. Ma che questi stessi credenti non si servano come minimo di una Bibbia per entrare nella comprensione dello spettacolo, ecco che ciò è piuttosto inquietante!"
La dotta disamina teologica ve la risparmio: tende a vedere in estrema sintesi nel volto del Cristo lapidato e occultato dagli escrementi (o inchiostro che sia) una metafora del peccato e dell'umiliazione di Cristo. Il punto è che l'opera è meramente scatologica - come afferma lo stesso Castellucci - non si apre ad alcuna prospettiva di redenzione e salvezza. Il Cristo gnostico, tanto caro all'arte contemporanea, è un masochista, è specchio di una decadenza, di una umiliazione, di una consunzione della quale ci si compiace perché non si vede altra via d'uscita.
Lo afferma il regista stesso in una voltairiana missiva rivolta ai suoi detrattori: "Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale."
Condizione ultima: la decomposizione è il destino dell'uomo, persino di quel Cristo che ha annunciato di aver vinto la morte. La realtà umana è un carcere di materia putrescente, escrementizia. Questo è il senso dell'opera di Castellucci, che di spirituale ha ben poco, al massimo il tipico contorsionismo esistenzialista del teatro d'avanguardia. La sua opera d'altronde non la ritiene blasfema perché l'immagine di Cristo che vi assiste inerte è quella di un grande sapiente e non del Redentore.
Condizione ultima: la decomposizione è il destino dell'uomo, persino di quel Cristo che ha annunciato di aver vinto la morte. La realtà umana è un carcere di materia putrescente, escrementizia. Questo è il senso dell'opera di Castellucci, che di spirituale ha ben poco, al massimo il tipico contorsionismo esistenzialista del teatro d'avanguardia. La sua opera d'altronde non la ritiene blasfema perché l'immagine di Cristo che vi assiste inerte è quella di un grande sapiente e non del Redentore.
Dunque, in conclusione, che un artista che si dice pudicamente d'avanguardia ami crogiolarsi nella sua ignoranza della teologia cattolica e nei suoi onanismi gnostici non è cosa di cui meravigliarsi. Ma che un domenicano stenti a capire che non solo è blasfemo usare Cristo per una pièce disgustosa, ma è anti-teologico, anzi diabolico, appiccicare un valore spirituale ad un'opera materialista, beh, questo sì che è davvero inquietante...
Definitemi pure savonaroliano o torquemadesco ma più che prendermela con un povero miserabile di artista me la prenderei con certi preti come il domenicano in questione. Preti che, a dirla tutta, meriterebbero solo dei sonori calci nel sedere.
Definitemi pure savonaroliano o torquemadesco ma più che prendermela con un povero miserabile di artista me la prenderei con certi preti come il domenicano in questione. Preti che, a dirla tutta, meriterebbero solo dei sonori calci nel sedere.
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