ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 25 aprile 2012

Il pericolo dello scisma

Allarme Cina. 
china
In Vaticano si è conclusa oggi, 25 aprile, la riunione durata tre giorni della commissione che Benedetto XVI ha istituito nel 2007 per studiare le questioni della Chiesa cattolica in Cina.
Compongono la commissione i capi dei dicasteri della curia romana che sono competenti in materia, e alcuni rappresentanti dei vescovi cinesi e di congregazioni religiose.
I temi affrontati sono stati comunicati in questi termini dalla sala stampa vaticana, all’inizio della riunione:
“Nelle precedenti riunioni si è trattato il tema della formazione dei seminaristi, delle persone consacrate e dei sacerdoti. Quest’anno, invece, sarà presa in esame la formazione dei fedeli laici alla luce della situazione della comunità cattolica in Cina e nel quadro dell’Anno della Fede, che sarà celebrato in tutta la Chiesa dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013. Si dedicherà attenzione anche ai progressi realizzati nei percorsi di formazione dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei seminaristi, e a quanto resta da fare per una loro preparazione adeguata ai compiti di servizio, che sono chiamati ad assolvere nell’ambito ecclesiale e per il bene della società”.
Ciò non toglie che oltre a quanto detto dal comunicato incombe sulla Chiesa in Cina un pericolo molto più grave, che due autorevoli missionari, carichi di anni ma ancora attivissimi, hanno denunciato proprio in questi giorni.

Padre Piero Gheddo, 83 anni, direttore dell’Ufficio storico del Pontificio Istituto Missioni estere, l’ha messo nero su bianco in una lettera che ha inviato il 22 aprile a tutti i vescovi italiani, che così esordisce:
“Carissimi padri nella fede e amici vescovi, questa volta vi scrivo per questo motivo: chiedervi preghiere per la Chiesa di Cina, che corre il pericolo di dividersi e di cadere in uno ’scisma’, una parola drammatica che ricorda altri tristi tempi nella storia millenaria della Chiesa di Cristo”.
E ancora più esplicito è stato padre Angelo Lazzarotto, 86 anni, anche lui del Pontificio Istituto Missioni Estere, che risiede spesso a Hong Kong ed è stato per trent’anni missionario nella Cina continentale, il cui ultimo libro, appena pubblicato dall’EMI col titolo “Quale futuro per la Chiesa in Cina?“, è stato inviato a tutti i vescovi da padre Gheddo assieme alla lettera sopra citata.
Padre Lazzarotto ha dato al mensile “Mondo e Missione” dell’aprile 2012 l’intervista di cui qui di seguito sono riportati i passaggi principali.
*
D. – Padre Lazzarotto, mi ha colpito l’apparizione, nel suo libro, di una parola finora ritenuta tabù, ossia “scisma”, riferita al rischio tutt’altro che teorico di una separazione di fatto della Chiesa cinese da Roma. Siamo davvero a questo punto? La situazione è così grave?
R. – L’ipotesi di scisma nella Chiesa di Cina costituisce un tema inconsueto e che davvero preoccupa. Ma, purtroppo, la situazione creatasi nel corso del 2011 ne ha fatto riemergere l’incubo. Lo scorso anno infatti, le autorità della Repubblica Popolare Cinese hanno voluto imporre con la forza ad un certo numero di vescovi cattolici – che pure risultano in unità con la Santa Sede – di conferire l’ordinazione episcopale a due sacerdoti – scelti dall’Agenzia statale per gli affari religiosi, d’accordo con l’Associazione patriottica – che risultavano privi dell’approvazione del papa. La Santa Sede infatti aveva dichiarato che quei candidati non potevano essere accettati, perché non idonei. A queste illegittime e forzate ordinazioni episcopali, avvenute nei mesi di giugno e luglio 2011 rispettivamente nelle diocesi di Leshan (Sichuan) e Shantou (Guangdong), la Santa Sede ha creduto di dover rispondere con la dichiarazione di scomunica per i due ordinati. Anche ai vescovi che parteciparono alle celebrazioni in aperta disobbedienza alla legge canonica, è stato rivolto un ammonimento perché spieghino e giustifichino il loro comportamento, che crea imbarazzo e divisione nelle rispettive comunità. Il pericolo è ora che le autorità comuniste, manipolando il gruppo dei cattolici dell’Associazione patriottica, riescano a ripetere questo gesto di rottura dell’unità ecclesiale, e questo a lungo andare potrebbe creare una situazione insostenibile.
D. – Una questione dolorosa, che affonda le radici nel passato…
R. – Il problema, in effetti, risale al lontano 1 ottobre 1949, cioè alla fondazione della nuova Cina. Già negli anni seguenti infatti, il governo di Mao Zedong, dopo aver espulso dalla Cina i vescovi missionari stranieri, era riuscito ad imporre la scelta e l’ordinazione di vescovi non approvati dalla Santa Sede. Tanto che papa Giovanni XXIII, all’inizio del suo pontificato, nel denunciare la violenza esercitata su quella fragile Chiesa, aveva espresso il timore che a lungo andare si instaurasse una rottura irreparabile dell’unità ecclesiale. Tuttavia, nei decenni successivi alla morte di Mao (1976), anche se la politica oppressiva del governo è continuata con la stessa logica, gran parte di quei vescovi “illegittimi” era riuscita a riconciliarsi con il papa. Nel frattempo si era anche tentato, a più riprese, un dialogo fra Roma e Pechino per cercare di risolvere problemi e contrasti. Oggi, nella nuova Cina che sta acquistando un nuovo peso anche sul piano internazionale, la minoranza cattolica è viva. Malauguratamente, le autorità hanno voluto ora imporre uno strappo che acuisce la frattura e rischia di renderla irreparabile.
D. – Quali vie d’uscita vede, in un momento in cui il dialogo è così difficile? Una chanche potrebbe essere la revisione degli statuti dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi?
R. – Non è facile oggi riallacciare il dialogo fra Roma e Pechino, perché le rispettive posizioni sono molto distanti. Alla base delle incomprensioni sta l’operato dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, struttura imposta dal governo fin dai tempi di Mao per controllare la Chiesa, che papa Benedetto XVI, nella importante lettera che ha rivolto a tutti i vescovi, sacerdoti e fedeli della Cina nella Pentecoste del 2007, ha dichiarato incompatibile con la dottrina cattolica. In pratica essa pretende, infatti, di porsi al di sopra degli stessi vescovi. L’ideale sarebbe che il governo si decidesse ad abolirla; ma, al momento, questa non appare un’ipotesi realistica. Siccome, però, anche il governo ripete di voler privilegiare il metodo democratico e afferma che la Chiesa in Cina conserva la fede cattolica, io avanzo una doppia ipotesi: che sia concesso ai vescovi cinesi di affermare più concretamente nello statuto della conferenza episcopale la loro unità con il papa e che i dirigenti “cattolici” che presiedono all’Associazione patriottica possano rivedere il rispettivo statuto per liberarlo dalle clausole contrarie alla dottrina ecclesiale. Una proposta certo non facile, ma che potrebbe finalmente aprire le porte ad un’intesa costruttiva.
D. – Un recentissimo articolo di “Foreign Policy” sottolinea la stima che alte sfere del governo cinese tributano al cristianesimo in generale e alla presenza protestante in particolare, come possibile “collante etico” in un paese che conosce una corruzione dilagante. Qual è il reale contributo dei cristiani alla vita sociale e come rendere credibile il contributo anche dei cattolici al bene comune del paese Cina?
R. – È una delle contraddizioni che si riscontrano oggi in Cina. Nel mondo accademico e in vasti ambienti culturali, perfino nell’apparato statale, si nota un nuovo apprezzamento per la dottrina e la prassi cristiana, al di là degli schemi dell’ideologia marxista. Risulta infatti, anche da alcune inchieste sociologiche, che nelle zone dove vivono consistenti minoranze cristiane la criminalità è meno accentuata e si avverte un maggiore senso comunitario. Purtroppo, però, nelle strutture del partito comunista cinese risulta ancora forte il peso delle fazioni ideologicamente più impegnate, che riescono a creare tensioni e occasioni di scontro. Delusi anche dalla perdita di consensi dell’ideologia marxista, trovano comodo far apparire gli aderenti al cristianesimo, e specialmente i cattolici, come elementi pericolosi per l’integrità ed autonomia dello Stato.
D. – Che cosa possiamo aspettarci dalla nuova leadership del partito comunista cinese? Arriverà finalmente una nuova generazione di capi, formatasi all’estero, più aperta alle religioni e meno ideologicamente prevenuta?
R. – Mancano pochi mesi al congresso del partito comunista che dovrà cambiare i vertici nelle strutture ideologiche e burocratiche cinesi, e si prospettano nuovi equilibri interni. La generazione che dovrebbe prendere la responsabilità del paese comprende personaggi indicati come “principini”, perché figli dei vecchi gerarchi benemeriti della rivoluzione. Sono in genere tecnicamente ben qualificati; molti hanno avuto anche l’opportunità di studiare in Occidente, per cui conoscono anche i valori delle nostre “democrazie”, come anche i limiti che le caratterizzano. È difficile, comunque, sapere se e come riusciranno ad esprimere un apprezzamento per il valore positivo che la religione e la Chiesa cattolica in particolare possono costituire per la società.
D. – Il prossimo 24 maggio si celebra in tutto il mondo cattolico la giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Lei ha la sensazione che in questi anni la Chiesa universale abbia preso coscienza, anche grazie agli appelli del Santo Padre, dell’urgenza di stare accanto ai nostri fratelli di fede cinesi?
R. – Temo che in Occidente non si sia sufficientemente compresa l’importanza della Cina per gli equilibri futuri del mondo. E questo comporta, anche in noi cattolici, uno scarso interesse ad aiutare i nostri fratelli di fede che vivono in quel grande paese, perché possano divenire fermento costruttivo di una nuova società. Benedetto XVI invita tutti ad unirsi a loro in occasione, il 24 maggio, della festa di Maria aiuto dei cristiani, venerata specialmente nel santuario di Sheshan vicino a Shanghai. Nei piani della provvidenza divina, la Chiesa di Cina può divenire un faro di luce e di speranza per l’umanità. Anche col nostro aiuto.
*
L’intervista di padre Lazzarotto è stata raccolta da Gerolamo Fazzini, direttore della rivista “Mondo e Missione” e del quotidiano on line che la affianca sul web:
> MissioOnLine
Si calcola che oggi in Cina i cristiani siano circa 50 milioni. Di questi, i cattolici sono 15 milioni. Padre Gheddo definisce ciò “un autentico miracolo dello Spirito Santo, perchè nel 1949 i cattolici erano meno di 4 milioni e furono in gran parte sterminati o dispersi dalla persecuzione. La Chiesa è rinata in Cina dal seme dei suoi martiri”.
Le ordinazioni episcopali illegittime – come quelle riprese di recente in Cina – sono per loro natura una causa di scisma, in quanto formale rottura della comunione con la sede di Pietro e con la Chiesa universale. Il caso dei lefebvriani è emblematico: il loro scisma con Roma – con le relative scomuniche – è scattato con le quattro ordinazioni episcopali illegittime del 1988, non prima, quando pure i dissidi dottrinali erano già presenti e gravi.
L’ultima ordinazione di un nuovo vescovo è avvenuta in Cina proprio oggi, 25 aprile 2012. Anch’essa, in parte, in violazione delle indicazioni di Roma. I particolari in questo servizio di “Asia News”:

> Cerimonia “patriottica” per il nuovo vescovo di Changsha

Per saperne di più si vedano i servizi di www.chiesa sul tema:
> Focus su CINA

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/04/25/allarme-cina-il-pericolo-dello-scisma/

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