ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 24 aprile 2012

La nuova messa è in rottura con la tradizione liturgica apostolica?

 1a parte
● «Le preghiere del nostro Canone si trovano nel trattato De Sacramentis (fine del IV-V secolo)
[...]. La nostra Messa risale, senza mutamento essenziale, all'epoca in cui si sviluppava per la
prima volta dalla più antica liturgia comune [circa trecento anni dopo Cristo]. Essa serba ancora
il profumo di quella liturgia primitiva, nei giorni in cui Cesare governava il mondo e sperava di poter spegnere la Fede cristiana; i giorni in cui i nostri padri si riunivano avanti l'aurora per cantare un inno a Cristo come a loro Dio [cfr. Plinio junior,Ep.96].
Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabile quanto la Messa romana
» (A. Fortescue,La Messe,Parigi, Lethielleux, 1921).
● «Il Canone romano risale, tale e quale è oggi, a San Gregorio Magno. Non vi è, in Oriente come in Occidente, nessuna preghiera eucaristica che, rimasta in uso fino ai nostri giorni,possa vantare una tale antichità! Agli occhi non solo degli “ortodossi”, ma degli anglicani epersino dei protestanti che hanno ancora in qualche misura il senso della Tradizione, gettarlo a mare equivarrebbe, da parte della Chiesa Romana, a rinnegare ogni pretesa di rappresentare mai più la vera Chiesa Cattolica » (P.Louis Bouyer,Mensch und Ritus,1964).

● «La Liturgia Romana è rimasta pressoché immutata attraverso i secoli nella sua sobria e
piuttosto austera forma risalente ai primi cristiani. Essa s’identifica con il Rito più antico. Nel
corso dei secoli, molti Papi hanno contribuito alla sua configurazione: San Damaso papa
(+384), per esempio, e successivamente soprattutto San Gregorio Magno (+604) […].
La Liturgia damasiano-gregoriana è quella che è stata celebrata nella Chiesa latina sino alla
riforma liturgica dei nostri giorni
. Non è quindi esatto parlare di abolizione del Messale di “San Pio V”. A differenza di quanto è
avvenuto oggi in maniera spaventosa, i cambiamenti apportati al Missale Romanum nel corso di quasi 1400 anni non hanno toccato il Rito della Messa: si è bensì trattato solo di arricchimenti, per
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l’aggiunta di feste, di Propri di Messe e di singole preghiere
[…]. Non esiste in senso stretto una “Messa Tridentina” o “di San Pio V”, per il fatto che non è
mai stato promulgato un nuovo
Ordo Missae,
in seguito al Concilio di Trento, da San Pio V. Il Messale che San Pio V fece approntare fu il
Messale della Curia Romana, in uso a Roma da molti secoli e che i Francescani avevano già
introdotto in gran parte dell’ Occidente; un Messale, tuttavia, che non era mai stato imposto
universalmente, in modo unilaterale dal Papa. […]. Sino a Paolo VI, i Papi non hanno mai
apportato alcun cambiamento all’
Ordo Missae,
ma solo ai Propri delle Messe per le singole festività. […]. Noi parliamo piuttosto di
Ritus Romanus
e lo contrapponiamo al
Ritus Modernus
. […]. L’unico punto su cui tutti i Papi, dal secolo V in poi, hanno insistito è stata l’ estensione di
questo Canone Romano alla Chiesa universale, sempre ribadendo che esso
risale all’Apostolo Pietro.
[…]. Il rito Romano si può definire come l’insieme delle forme obbligatorie del Culto che,
risalenti in ultima analisi a N. S. Gesù Cristo
, si sono sviluppate nei dettagli
a partire da una Tradizione apostolica comune
, e sono state più tardi sancite dall’Autorità ecclesiastica. […]. Un Rito che nasce da una
Tradizione apostolica comune […] non può essere rifatto ‘
ex novo’
nella sua globalità. […].
Ha il Papa il diritto di mutare un Rito che risale alla Tradizione apostolica e che si è formato nel
corso dei secoli?
[…]. Con l’
Ordo Missae
del 1969 è stato creato un nuovo Rito. L’
Ordo tradizionale
è stato totalmente trasformato e addirittura, alcuni anni dopo, proscritto. Ci si domanda:
un così radicale rifacimento è ancora nel quadro della Tradizione della Chiesa?
No
. […]. Nessun documento della Chiesa, neppure il Codice di Diritto Canonico, dice
espressamente che il Papa, in quanto Supremo Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il
Rito tradizionale. Alla ‘
plena et suprema potestas’
del Papa sono chiaramente posti dei limiti […]. Più di un autore (Gaetano, Suarez) esprime l’
opinione che non rientra nei poteri del Papa l’abolizione del Rito tradizionale.
[…]. Di certo
non è compito della Sede Apostolica distruggere un Rito di Tradizione apostolica
, ma
suo dovere è quello di mantenerlo e tramandarlo
. […]. Nella Chiesa orientale e occidentale non si è mai celebrato
versus populum,
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ma ci si è volti
ad Orientem
[…]. Che il celebrante debba rivolgere il viso al popolo fu sostenuto per la prima volta da Martin
Lutero. […]» (Klaus Gamber,
La riforma della Liturgia Romana. Cenni Storici – Problematica,
1979, tr. it., Roma, Una Voce, giugno/ dicembre 1980).
* * *
La nuova Messa
Il 3 aprile 1969, Paolo VI pubblicò la Costituzione apostolica Missale Romanum, che
promulgava due documenti relativi alla riforma del rito della Messa: l’
Institutio
generalis Missalis Romani
ed il nuovo
Ordo Missæ
, cioè il nuovo testo della Messa e le rubriche che lo concernono.
Questo articolo ricalca e riassume il “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” presentato
nella festa del Corpus Domini del 1969 dai cardinali Ottaviani e Bacci a Paolo VI (il cui testo
integrale si può leggere sul sito
www.unavox.it
) e lo studio di Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira redatto in portoghese tra il 1970-1971 (
La nouvelle Messe de Paul VI. Q’en penser?
, tr. fr., Chiré, 1975, il cui testo italiano integrale si può consultare sul sito
www.unavox.it
) e presentato da monsignor Antonio De Castro Mayer vescovo di Campos (che aveva
partecipato alla sua stesura) a Paolo VI. Vi esamineremo (analogamente a ciò che ha fatto
recentemente monsignor Brunero Gherardini sulla
continuità o rottura tra Concilio Vaticano II e Tradizione apostolica
dogmatico/morale
)
se la nuova Messa,
che è la “Fede pregata” (“
lex orandi, lex credendi”
),
sia in rottura o in continuità oggettiva con la Messa di Tradizione
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apostolica
o Tradizione apostolica liturgica, senza voler giudicare né le intenzioni di chi l’ha concepita né
l’atteggiamento di chi l’ha subìta avendola dovuta celebrare o avendovi assistito, convinto di
obbedire all’Autorità.
La prima denuncia di discontinuità: il “Breve Esame Critico” e il suo valore
Innanzi tutto riportiamo il ‘cuore’ della «Lettera di presentazione del “Breve Esame Critico del N
ovus Ordo Missae”
» inviata dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci a Paolo VI:
«Esaminato e fatto esaminare il Novus Ordo […] sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla
Santità Vostra, di esprimer
e le
considerazioni seguenti:
1) Come dimostra sufficientemente il pur ‘Breve Esame Critico’ allegato […] il Novus Ordo
Missæ ,
considerati gli elementi
nuovi
, […] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante
allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione
XXII del Concilio Tridentino
, il quale,
fissando definitivamente
i “canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse
l’integrità del Magistero. […].
2) […] Quanto di nuovo appare nel Novus Ordo Missae […] potrebbe dare forza di certezza al
dubbio – già serpeggiante […] – che verità sempre credute dal popolo possano
mutarsi o tacersi
senza infedeltà al sacro deposito dottrinale cui la Fede cattolica è vincolata in eterno.
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3) Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva,
hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore
l’abrogazione della legge stessa
».
Il card. Ottaviani era allora Prefetto del ‘S. Uffizio’, cioè della ‘Suprema Congregazione’, che
vigilava sulla ortodossia delle dottrine insegnate nel mondo, grazie ad un mandato ricevuto
dalla Chiesa. Il cardinal Bacci era esperto in teologia e in latino presso la Segreteria di Stato sin
dal 1921. Quindi questa “Lettera” ha tutt’oggi – nonostante i suoi 43 anni – un valore intrinseco,
data l’alta conoscenza della teologia, del diritto, della liturgia e della storia da parte dei suoi due
Autori, ed un
valore estrinseco
, poiché deriva dall’Autorità Suprema allora deputata dal Papa stesso a decidere su ciò che è o
no conforme alla dottrina e morale cattolica.
Il Breve Esame Critico è stato esaminato direttamente dai due cardinali e fatto esaminare dagli
esperti del S. Uffizio e i due cardinali si dicono “
obbligati
ad esprimersi” sul
Novus Ordo
perché esso ‘si allontana in modo impressionante dalla teologia cattolica sul Sacrificio della S.
Messa definita infallibilmente ed irrevocabilmente dal Concilio di Trento. È la constatazione
della
rottura
o
discontinuità tra la Messa di Tradizione apostolica e la nuova Messa
di Paolo VI, della quale i due cardinali chiedono la “
abrogazione
”, poiché una legge deve essere promulgata
ad bonum commune obtinendum
, per il bene comune, mentre la nuova riforma liturgica è “
nociva
” per le anime (e vedremo il perché).
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Il contenuto del “Breve Esame critico”
Riportiamo ora l’essenza del “Breve Esame Critico”:
Continua sull'edizione cartacea...
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2a parte
Prima di passare all’analisi del nuovo Ordo, occorre confutare l’obiezione dei difensori della
nuova Messa i quali sostengono che nell’ Institutio (
edizione del 1969 e soprattutto del 1970) vi sono passi i quali affermano quei princìpi
tradizionali che alcuni ritengono esposti in modo insufficiente o sospetto.
Una regola d’ermeneutica non sempre applicabile
Verifichiamo anzitutto il principio enunciato in questa obiezione, e cioè che i testi oscuri e
sospetti di un documento cessano di esserlo quando nello stesso documento sono presenti testi
ortodossi concernenti le medesime questioni.
Lo stesso varrebbe per i testi del Concilio Vaticano II.
In linea di principio la regola secondo cui i testi oscuri e confusi di un documento si devono
interpretare con l’aiuto dei testi più chiari è valida. Ma la regola secondo cui i testi sospetti ed et
erodossi
debbono essere interpretati mediante i testi
ortodossi
, non può essere ammessa senza restrizioni.
Infatti:
a)
questa regola si può applicare nei casi in cui i passi sospetti o eterodossi compaiono
solo di tanto in tanto
quasi per errore o
accidentalmente
; ma essa
non vale più se questi passi sono numerosi,
poiché ciò che si produce per errore è,
per sua natura,
fortuito e non frequente;
b)
allorché i passi confusi, sospetti ed eterodossi non solo sono numerosi, ma
formano anche un sistema
di pensiero, la regola di ermeneutica suggerita non è più valida, ma
si deve applicare la regola inversa: diventa necessario, cioè, chiedersi se non siano i testi
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ortodossi che debbano interpretarsi alla luce dei passi confusi,
sospetti ed eterodossi. Ciò che è solo
un lapsus accidentale, infatti, non solo non è frequente, ma soprattutto, non può costituire un
sistema di pensiero
. In tal caso, non è legittimo interpretare i passi non ortodossi avvalendosi dei passi ortodossi.
Benché questi ultimi pendano in favore dell’ortodossia del documento, è impossibile -
visto il contesto
sostanziale e non accidentale
- eliminare o diminuire il sospetto.
Premesso ciò, passiamo all’esame del Novus Ordo del 1969.
IL NUOVO TESTO DELLA MESSA E LE NUOVE RUBRICHE NELL’ORDO DEL 1969
L’abolizione dell’Offertorio, parte integrante della S. Messa
L’Offertorio della Messa romana di origine apostolica, restaurata e resa obbligatoria per la
Chiesa universale da San Pio V, Offertorio che ha sempre costituito uno dei principali elementi
per distinguere la Messa cattolica dalla cena protestante, è
stato abolito
con le sue caratteristiche specifiche.
Premettiamo che la vera oblazione sacrificale che si fa nella Messa non è nell’offertorio, ma
nell’offerta di Sé medesimo che Gesù Cristo fa alla SS. Trinità al momento della consacrazione
tramite il sacerdote ordinato validamente
: la vera vittima non sono il pane e il vino, ma è Gesù Cristo stesso. Allora perché l’offertorio?
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Compiendo un Sacrificio, noi offriamo a Dio una vittima al nostro posto. Questo è l’elemento
fondamentale
di ogni Sacrificio. Nella Messa è Gesù Cristo che s’immola per noi e noi, unendoci a Lui,
dobbiamo offrirLo al Padre al nostro posto ed offrirci con Lui tramite il sacerdote celebrante.
Tuttavia l’ oblazione mistica che Nostro Signore fa di Se stesso differisce dagli altri “sacrifici”
tangibili e visibili di animali o cose offerte a Dio, poiché non è visibile. Dunque
è opportuno che, con qualche elemento percettibile ai nostri sensi, siano espressi, prima della
consacrazione, sia la natura del Sacrificio che si sta compiendo, sia le diverse oblazioni che in
esso saranno fatte. È questo l’oggetto dell’ offertorio romano
: nel corso di esso, si dichiara in che consiste l’ oblazione sacrificale propriamente detta,
nonché l’offerta di noi stessi a Dio e viene anche affermato il fine Soddisfattorio/ Propiziatorio
della Messa. L’
essenza della Messa
è la consacrazione (come l’anima e il corpo lo sono per l’uomo), ma l’offertorio ne è una
parte integrante
, come la mano lo è per il corpo
[1]
.
La scomparsa degli elementi che distinguono la Messa cattolica dalla cena protestante
Analizziamo ora i tre elementi che, mentre costituiscono le caratteristiche fondamentali dell’
Offertorio romano, distinguono al tempo stesso la Messa cattolica dalla cena protestante.
1°) L’oblazione reale, ma mistica e incruenta di Nostro Signore ha luogo realmente al momento
della consacrazione; tuttavia, affinché la natura del Sacrificio sia manifesta fin dall’inizio,
nell’offertorio del Messale Romano vi è un insieme di preghiere che fanno già conoscere Chi
sarà la vera vittima e La offrono in anticipo alla SS.ma Trinità. Esse sono dunque parte
integrante della Messa, mancando le quali, essa diviene ‘monca’
(come un corpo senza arti),
anche se non invalida
.
2°) L’oblazione di noi stessi a Dio tramite Gesù Cristo è simboleggiata dall’offerta del pane e
del vino (secondariamente è anche simboleggiata dall’eventuale offerta di altri beni materiali).
Tale simbolismo diviene efficace solo quando il pane e il vino, al momento di essere messi
sull’altare, non sono
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soltanto prese
ntati
a Dio, ma Gli
sono veramente
offerti
in spirito sacrificale
. In altre parole, quando i suddetti doni sono ‘consacrati’ ossia offerti in sacrificio a Dio.
3°) Infine l’offertorio romano, con numerose preghiere, evidenzia il carattere Propiziatorio/Sodd
isfattorio
del Sacrificio.
Questi tre elementi sono scomparsi dal nuovo offertorio, rimpiazzati da una semplice "preparazi
one delle
offerte" o "
presentazione
dei doni", che corrisponde ad un concetto dell’offertorio fondamentalmente diverso da quello
della Messa di Tradizione apostolica restaurata da san Pio V.
Anzitutto la preghiera Suscipe Sancte Pater, tradizionalmente recitata dal celebrante nel corso
dell’ offerta del pane, non compare più nella nuova Messa: “Accetta, o Padre Santo, Dio
onnipotente ed eterno, questa ostia immacolata
che io, indegno tuo servo,
offro
a Te, mio Dio vivo e vero,
per i miei innumerevoli peccati
,
offese e negligenze
[Soddisfazione], e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani
vivi e defunti
[Propiziazione]: affinché giovi alla mia e alla loro salvezza per la vita eterna. Amen”.
Da notare in questa preghiera che il sacerdote offre l’ostia per il popolo con una affermazione
chiara della sua funzione gerarchica: “che io, indegno tuo servo, offro a Te” e egli la offre per
tutti i fedeli vivi e morti, contraddicendo così
il principio protestante secondo cui i frutti della Messa non sono applicabili né agli assenti
,
né ai defunti
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. Questa intera preghiera esprime il valore
Propiziatorio
/
Soddisfattorio
del Sacrificio. Perciò già Lutero la soppresse nella sua “messa”.
Un punto merita una speciale attenzione: il celebrante offre a Dio “questa ostia immacolata”.
Ora, la parola “ostia”, che può anche indicare il pane, significa più propriamente “vittima”, e
l’aggettivo “
immacolata
” non è tanto applicato al pane quanto a
Gesù Cristo, l’unica vera

ostia immacolata
”. Il Messale Romano, quindi, offrendo il pane a Dio con questa preghiera, indica anche, per
anticipazione, che la vera oblazione sacrificale sarà quella di Gesù Nostro Signore.
In questa preghiera e in altre che fanno parte dell’Offertorio romano Lutero vedeva una
“abominazione” in cui “si sente e si percepisce dappertutto l’oblazione”. I protestanti hanno
anche un orrore particolare per l’offerta anticipata di Nostro Signore, espressa in questa
preghiera: Luther D. Reed dichiara che si tratta dell’«anticipazione della consacrazione» e del
“miracolo della messa” [2] .
Nel nuovo "Ordo", è scomparsa anche la preghiera del messale romano Offerimus Tibi Domine
, con la quale si offre il vino: “Ti
offriamo
, o Signore, il
calice di salvezza
, supplicando la tua clemenza perché esso salga con odore di soavità al cospetto della tua
Maestà divina,
per la salvezza nostra e del mondo intero
. Amen”. Come la preghiera dell’ offerta del pane, anche questa costituisce un’anticipazione,
poiché
il

calice di salvezza

, in senso proprio, è quello che contiene il sangue di Nostro Signore
. Anche qui s’incontra la nozione di
Soddisfazione
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/
Propiziazione
per i peccati, espressa innanzi tutto con un’umile supplica affinché la divina Maestà si degni di
accettare il Sacrificio. Si deve dunque supporre che le ragioni che hanno portato alla
soppressione di questa magnifica preghiera siano le stesse che hanno suggerito l’ eliminazione
del
Suscipe Sancte Pater
.
Il nuovo Offertorio: non più offerta, ma “presentazione”
Queste due preghiere dell’offerta (e non della semplice “presentazione”) del pane e del vino
sono state sostituite nel
Novus Ordo
dalle seguenti: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto
questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo

presentiamo
’ a te perché diventi per noi cibo di vita eterna". E per l’offerta del vino: “Benedetto sei tu,
Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del
lavoro dell’uomo; lo ‘
presentiamo
’ a te perché diventi per noi bevanda di salvezza".
Notiamo che in queste preghiere non c’è alcun riferimento alla vera vittima: Gesù Cristo; all’offe
rta
dei doni per noi e per i nostri peccati; al
carattere Propiziatorio
/
Soddisfattorio
dell’oblazione; al sacerdozio ministeriale del celebrante; al principio per cui
il Sacrificio dev’essere accettato da Dio
affinché gli sia gradito. Al contrario, le espressioni “perché diventi per noi cibo di vita eterna” e
“perché diventi per noi bevanda di salvezza” insinuano che il vero ed essenziale scopo della
Messa sia il
nostro nutrimento spirituale;
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tesi, questa, che
si accosta
ad una delle eresie condannate dal Concilio di Trento. In questo modo, queste nuove preghiere
modificano sostanzialmente il senso esatto dell’offerta del pane e del vino
, ossia di quella
parte integrante
del Sacrificio della Messa che è l’Offertorio.
Anche alcuni protestanti riconoscono il carattere Propiziatorio del sacrificio della Croce, vale a
dire riconoscono che Gesù è morto per la remissione dei nostri peccati. L’ errore di questi
protestanti è costituito dalla
maniera in cui i meriti di Cristo ci sono applicati
. Essi dicono che
la sola Fede salva, e cioè che le nostre opere buone ed i nostri sacrifici non sono necessari
insieme al Sacrificio redentore di Cristo
. Nell’ Offertorio romano, invece, la goccia di acqua mescolata al vino, significa, appunto, il
nostro piccolo sacrificio personale (una goccia d’acqua) unito a quello divino di Gesù (l’
ampollina di vino che sarà transustanziato nel Sangue di Cristo).
Secondo la dottrina cattolica, infatti, noi dobbiamo, in un certo senso, completare nella nostra
carne ciò ch’è mancato ai patimenti di Nostro Signore
(
Coloss
. I, 24) e cioè, tramite le nostre
opere buone
e le nostre mortificazioni compiute con l’aiuto della grazia, dobbiamo applicare a noi stessi, a
tutti gli altri uomini e ai fedeli defunti, i meriti di Cristo. Dobbiamo, quindi, offrirci a Dio. Ma
questa offerta di noi stessi, delle nostre opere buone e delle nostre penitenze non ha alcun
valore se non è realizzata in unione con il Sacrificio redentore della Croce
, poiché solo la morte di Cristo costituisce un’equa riparazione per i nostri peccati.
D’altra parte, Dio ha voluto che l’applicazione agli uomini dei meriti del Sacrificio del Calvario
fosse fatta per mezzo delle Messe celebrate nel mondo intero
fino alla fine dei tempi. Ossia ciò che Gesù meritò il Venerdì Santo viene applicato agli uomini di
tutti i tempi mediante il
Sacrificium Missae
, che, essendo il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce,
è anche Propiziatorio
/
Soddisfattorio nella misura in cui Nostro Signore, realmente presente come vittima, si offre
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nuovamente a Dio Padre
per il perdono dei nostri peccati e la remissione della pena per essi dovuta. In questo senso
i meriti e le soddisfazioni della Passione sono applicati
, secondo i disegni della Provvidenza,
a coloro per i quali la Messa è offerta
o che vi partecipano. In definitiva, le nostre opere buone e le nostre penitenze devono essere
offerte quotidianamente a Dio Padre in unione con tutte le Messe che sono celebrate in quel
giorno, e specialmente con quella che abbiamo fatto dire secondo le nostre intenzioni o con
quella a cui assistiamo o abbiamo assistito.
Dal nuovo “offertorio” la preghiera alla SS.ma Trinità è stata eliminata: “Accetta, o Santa Trinità,
questa offerta, che Ti offriamo in memoria della Passione, Resurrezione e Ascensione di Nostro
Signore Gesù Cristo, e in onore della Beata sempre Vergine Maria, del Beato Giovanni Battista,
e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e di questi
[dei quali sono qui le reliquie]
e di tutti i Santi: affinché sia ad essi di onore e a noi di salvezza: e si degnino di intercedere per
noi in cielo, mentre noi facciamo memoria di loro sulla terra. Per lo stesso Signore nostro Gesù
Cristo. Amen
”. Questa preghiera insiste sul fatto che il Sacrificio della Messa è offerto alla SS.ma Trinità. Se,
oltre alla sua eliminazione, consideriamo la riduzione del numero di invocazioni alla SS. Trinità,
possiamo realmente temere che il nuovo “
Ordo
” conduca ad una
diminuzione della Fede
nel principale dogma cattolico
[3]
.
Il nuovo offertorio ha conservato l’Orate, fratres: “Pregate fratelli, perché il mio e vostro
sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente”. “R. - Il Signore riceva dalle tue mani questo
sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa”.
Questa preghiera parla di “sacrificio”, ma in nessun modo dice che si tratta di un Sacrificio
Propiziatorio
/
Soddisfattorio
.
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La prima Preghiera Eucaristica o Canone Romano
Nel nuovo ordinario della Messa ci sono quattro "preghiere eucaristiche", a scelta del sacerdote
secondo le regole esposte nell’Institutio al n° 322. La prima preghiera eucaristica o canone
romano può essere utilizzata sempre.
Considerato superficialmente, il canone romano sembra che abbia subìto solo talune modifiche
insignificanti. Tuttavia un’ analisi più
attenta rivela che
i cambiamenti introdotti tendono in generale, e talvolta in modo sottile, a collocare nel testo la
concezione dell’ Eucaristia intesa come semplice “agape” (=fraterno convito) compiuta dalla
comunità, sotto la presidenza del celebrante, in commemorazione della passione e della
resurrezione di Nostro Signore. Come vedremo tra breve, oggi è difficile definire ancora
“romano” questo canone.
Come già detto, nella Messa di San Pio V è presente una chiara separazione tipografica tra la
parte narrativa della consacrazione e le parole che realizzano la transustanziazione. Per
indicare in maniera indubitabile che queste ultime sono dette affermativamente, in persona
Christi , e non
sono una semplice narrazione, la prima parte del testo si chiude con un punto. In questo modo,
è chiaro che da quel momento il sacerdote comincia a parlare in modo imperativo e dichiarativo
a nome di Nostro Signore,
ossia applica la “formula” sacramentaria alla “materia” (pane e vino). Inoltre, le espressioni che
contengono le parole della consacrazione sono stampate a grandi lettere.
Nel nuovo “Ordo”, invece, il testo che precede le parole della consacrazione termina con i due
punti , e nelle
espressioni che contengono le parole della consacrazione, benché siano stati conservati i
caratteri grandi, si trovano aggiunte delle nuove frasi, così che
un maggior numero di parole non essenziali per la transustanziazione appaiono anch’esse a
grandi lettere
. Ciò accredita l’idea che
la consacrazione non è nient’altro che una narrazione storica dell’istituzione dell’Eucaristia
e non la forma del Sacramento.
Tutte queste alterazioni, pur non rendendo invalida la Messa, tendono ad avvicinare il canone
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romano al nuovo concetto della Messa espresso nell’Institutio. In altri termini, i nuovi testi del
canone chiamato “romano”, sono meno chiari di quelli antichi e il fatto che la parte centrale della
Messa è divenuta meno distante dal protestantesimo tende a creare confusioni inammissibili ed
estremamente nocive per la Fede.
Introducendo il “racconto della Cena”, il nuovo “Ordo” presenta questa rubrica: “Nelle formule
seguenti, le parole del Signore saranno pronunciate in maniera chiara e comprensibile, come
lo esige la loro natura
”. Questa prescrizione, che è anche valida per le parole della consacrazione
propriamente detta
, ci appare estremamente grave:
1°)
da una parte, perché essa rende la messa cattolica simile alle cene di Zuinglio e Lutero, ecc.;
2°)
dall’ altra, perché la rubrica in questione non stabilisce solo che la parte centrale della Messa
sia letta ad alta voce, ma aggiunge che
questo lo esige la natura stessa delle parole
. Ora, quest’ultima asserzione è
praticamente o implicitamente contraria
ad una definizione della Chiesa, come già abbiamo indicato trattando di una disposizione simile
presente al
n° 12
dell’
Institutio
.
Secondo il nuovo “Ordo”, immediatamente dopo la consacrazione, chi assiste alla Messa deve
fare un’acclamazione, per la quale sono proposti tre testi. Due di essi terminano con
l’espressione “nell’attesa della tua venuta”: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la
tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”; “Ogni volta che mangiamo di questo pane e
beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”.
Senza dubbio, l’espressione “nell’ attesa della tua venuta” riecheggia San Paolo (I Cor. XI, 26:
“fino a che Egli venga”) e dunque di per sé non può essere censurata. Nella prima lettera ai
Corinti, però, essa
indica l’attesa della seconda venuta di Gesù
; messa, invece, immediatamente dopo la consacrazione, allorché Nostro Signore è appena
venuto sostanzialmente sull’altare,
può lasciar credere che Egli non sia presente
, che non sia venuto personalmente sotto le specie eucaristiche. Tale innovazione, in tempi in
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cui negli ambienti cattolici grava una preoccupante tendenza a negare la presenza reale, ha per
conseguenza inevitabile quella di
favorire la diminuzione della Fede
nella transustanziazione.
Le nuove “preghiere eucaristiche”
Continua sull'edizione cartacea in abbonamento...
[1] ●San Roberto Bellarmino: "Non si deve negare che nella Messa il pane e il vino sono offerti
in un dato modo, e che dunque essi fanno parte di ciò che viene sacrificato." (De Missa,
libro I, cap. 27, p. 552). "[…] nella Messa non si offre il pane come un Sacrificio completo, ma
come
un Sacrificio incoativo che deve essere completato
" (
ibid
., p. 253). "L’oblazione del pane e del vino che precede la consacrazione fa parte dell’
integrità
e della
pienezza
del sacrificio" (
ibid
., p. 523).
●Francisco Suarez: "[…] Cristo ha offerto e istituito questo Sacrificio in quanto Sommo
Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech; dunque, in un certo qual modo, egli ha offerto il
pane ed il vino, non solo come materia, ma anche come termine dell’oblazione, poiché tale era
il sacrificio di Melchisedech" ( In
partem IIIam
,
disp
. 75, sez. I, n. 9, p. 652). "[…] il pane e il vino sono qui [nella Messa] offerti in un dato modo,
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Anno XXXVIII N° 5
tuttavia essi non sono offerti semplicemente come degli accidenti, ma
in quanto parte integrante
della sostanza; ed è per questo che fanno parte di ciò che è offerto, sia in quanto agli uni sia in
quanto all’altra" (
ibid
., n. 11, p. 653). "Noi affermiamo qui che l’offerta non è semplicemente costituita da Cristo, ma
anche, in un certo qual modo, dal pane e dal vino. Ciò non significa che ci siano due sacrifici,
perché queste due cose costituiscono i termini
a quo
e
ad quem
del medesimo Sacrificio, poiché il pane diventa il Corpo di Cristo, la cui presenza santifica la
specie" (
ibid
., n. 12, p. 653).
●Cornelio a Lapide, commentando il passo di San Matteo (XXVI, 26), in cui si legge che Nostro
Signore benedice il pane prima della consacrazione, scrive: "Cristo non ha benedetto il Padre,
come dicono gli eretici, ma ha benedetto il pane e il vino" (p. 555).
●Diekamp-Hoffmann: "Nell’offertorio della Messa le sostanze del pane e del vino sono offerte
come ostie seconde [hostia secundaria], affinché Dio possa convertirle in ostie prime [hostia
primaria ]"
. (
Man. Theol. Dogm
., edizione del 1934, vol. IV, p. 224).
●C. Callewaert, difendendo la tesi secondo cui l’offertorio non è una semplice preparazione al
Sacrificio, ma piuttosto una vera oblazione, "un dono fatto a Dio con intenzione sacrificale" (De
offerenda et oblatione in Missa,
‘Periodica’, n° 33, 1944, p. 70), scrive: "Apparentemente, il primo a scagliarsi contro il concetto
tradizionale di oblazione fu Lutero. Con l’obiettivo di negare alla Messa la sua natura di vero
Sacrificio, egli ragionava contro i cattolici nella seguente maniera: non si può donare niente a
Dio, poiché egli possiede già tutto; è per questo che nella Messa non si può fare un’oblazione
come una donazione, quindi nella Messa non v’è Sacrificio” (
ibid
., pag. 70).
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●Esprimono la stessa opinione: De Lugo, De Sacr. Euch., disp. XIX, sez. VII, n. 99, pp.
208-209; Bossuet, Explication de
quelques difficultès
…, nn. 36-37, cit. da Billot,
De Eccl.
Sacr
., I, pp. 599-600; Pesch,
Prælectiones
…, vol. VI, p. 382; Vedi anche: Concilio di Firenze, DS, 1320; ed anche i testi liturgici e i
numerosi Padri della Chiesa citati da questi autori: Sant’Ireneo, Tertulliano, Origene, san
Cipriano, sant’Ippolito, sant’Agostino, san Gregorio Magno, ecc.
[2] Cfr. Luther D. Reed, The Lutheran liturgy, Philadelphia, Fortress Press, 1947, pp. 314 e
345.
[3] Questa tendenza a non insistere sul mistero della Trinità ha delle pericolose ripercussioni
nell’ecumenismo, favorendo un sincretismo di sapore modernista con le religioni non-cristiane.
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3a parte
MODIFICHE APPORTATE NEL 1970 AL «NOVUS ORDO»
Nel maggio del 1970 venne pubblicata l’edizione latina del nuovo Messale romano. All’Institutio
e all’ “
Ordo
” del 1969 erano stati apportati numerosi cambiamenti, che analizzeremo nel presente capitolo.
La riforma del Messale romano promulgato nel 1969, secondo una dichiarazione di Paolo VI [1]
,
non era stata

improvvisata

, ma era stato

il risultato di lunghi ed approfonditi studi
”. Sulla base di questa dichiarazione si può essere sicuri che
in essa non vi era alcuna proposizione che non fosse stata accuratamente soppesata
non solo dal punto di vista teologico, ma, viste le preoccupazioni essenzialmente pastorali di
questo pontificato, anche dal punto di vista pastorale, che applica ai casi concreti le regole
generali o i princìpi. È per questo che si rimane sorpresi nel vedere come nel 1970,
appena un anno dopo la loro promulgazione, l’Institutio e l’Ordo abbiano subìto numerose
modifiche
sia dal punto di vista teologico, sia dal punto di vista pastorale.
Il Proemio dell’«Institutio»
In un articolo pubblicato dalla rivista Notitiæ, organo della ‘Sacra Congregazione per il Culto
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Anno XXXVIII N° 6
Divino’, il segretario di questa Congregazione, Padre Annibale Bugnini, scriveva: “Il proemio è
interamente nuovo e particolarmente lungo […]. Esso insiste su tre concetti:
a)
la storia del Messale romano; soprattutto da dopo il Concilio di Trento fino al Concilio Vaticano
II: al fine di giustificare le modifiche introdotte nel Messale secondo le indicazioni dell’ultimo
Concilio ecumenico;
b)
la fedeltà teologica e rituale dell’uno e dell’altro Messale alla dottrina della Chiesa;
c)
i criteri che hanno presieduto alla riforma”
[2]
.
Questo proemio manifesta in realtà la preoccupazione di enunciare alcuni punti di dottrina
cattolica che difettavano nell ’Institutio del 1969, o che
non vi erano correttamente spiegati
. Esso insiste, infatti, sul principio del ‘
sacerdozio ministeriale’ del celebrante
; fa allusione alla
presenza reale
di Nostro Signore nell’ Eucaristia e alla
transustanziazione
; contiene numerose citazioni del concilio di Trento; afferma a più riprese che
la Messa è un Sacrificio
; dichiara che essa contiene il rinnovamento sacramentale del Sacrificio della croce; in un
articolo dice esplicitamente che la
Messa è un Sacrificio Propiziatorio
;
dichiara
a più riprese la sua intenzione di mantenersi fedele alla Tradizione apostolica, (come si vede “il
Concilio letto alla luce della Tradizione” [1979] e “l’ermeneutica della continuità” [2005] non
hanno inventato niente di nuovo).
Dalla lettura superficiale di questi passi del proemio si potrebbe essere portati a credere che
esso corregge tutte le imprecisioni, le insufficienze e le deviazioni dottrinali rilevate nella nuova
Messa. Tuttavia
un attento studio
di questi stessi passi, come di altri articoli del proemio e dell’
Institutio
nella sua attuale edizione, sfortunatamente non giustifica questa favorevole impressione:
le modifiche introdotte non apportano nessun ‘cambiamento sostanziale’
alle osservazioni fatte in precedenza a proposito del
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Novus Ordo
.
Il “sacerdozio” del popolo
A dire il vero, negli stessi passi di sapore tradizionale, dove il proemio afferma dei punti
precedentemente passati sotto silenzio o espressi in modo dubbio, incontriamo delle
formulazioni del tutto insufficienti,
anch’esse soggette a importanti riserve. Vediamo qualche esempio.
L’articolo 5 del proemio è di una gravità enorme: “Questa natura del sacerdozio ministeriale
mette a sua volta nella giusta luce un’altra realtà di grande importanza: il
sacerdozio regale dei fedeli
, il cui Sacrificio raggiunge la sua
perfezione
attraverso il ministero dei presbiteri, in unione con il Sacrificio di Cristo, unico Mediatore.
La celebrazione dell’Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa
. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal Sangue di Cristo, riunito dal Signore, nutrito
con la sua Parola;
popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la Famiglia umana
; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza
offrendo il suo Sacrificio
; popolo infine che, per mezzo della comunione al Corpo
e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la sua origine, ma,
in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico,
progredisce continuamente in santità”
[3]
.
Se consideriamo attentamente i termini di questo articolo 5, vediamo che essi affermano
nuovamente, e in maniera chiara, la concezione del Sacerdozio del popolo in senso stretto
, che abbiamo precedentemente segnalata come
in rottura con la Tradizione apostolica
. Infatti anche nella correzione del 1970
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il popolo santo
è ancora chiamato a “
far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana
” e “rende grazie per il mistero della salvezza,
offrendo
il suo [di Cristo] Sacrificio
”. Come si può vedere, ritorniamo alle stesse
imprecisioni
ed
ambiguità
che già esistevano nel precedente testo dell’
Institutio
del 1969. In effetti, benché si possa dire,
in senso lato e per analogia
, che i semplici fedeli “fanno salire verso Dio le preghiere” degli altri, e che “offrono il Sacrificio
di Cristo”, queste stesse espressioni,
in senso stretto
, indicano
solo la missione specificamente sacerdotale del celebrante
. Infatti i fedeli, tramite il sacerdote che offre la Messa, uniscono ad essa le loro intenzioni, che
sono presentate a Dio dal sacerdote, il quale esercita la sua duplice mediazione tra Dio e
l’uomo:
a)
ascendente, per far salire a Dio le richieste dei fedeli;
b)
discendente, per far discendere sui fedeli le grazie divine.
Inoltre questo passo stabilisce una strana distinzione tra il “popolo di Dio” e la “famiglia umana”,
poiché in esso si dice che il primo, attraverso l’azione sacerdotale che esercita nella Messa, fa
salire verso Dio le preghiere “di tutta la famiglia umana”. Presa nel suo senso ovvio, questa
espressione indica che il “popolo di Dio” esercita una funzione di mediazione propriamente
sacerdotale fra tutta l’umanità (compresi i non-cattolici, i non-cristiani, gli
atei, ecc…) e Dio. Di più: giacché
l’espressione che segue immediatamente attribuisce allo stesso “popolo di Dio” la facoltà di
“offrire il Sacrificio di Cristo”, sembra proprio che,
attraverso la Messa, siano presentate e rese gradite a Dio le preghiere di tutti gli uomini, incluse
le preghiere dei non-cattolici, dei non-cristiani
, dei politeisti, degli atei, ecc. Una tale concezione della Messa è tanto più strana in quanto si
accorda con un certo ecumenismo eterodosso che già allora si stava diffondendo in importanti
strati del pubblico cattolico e che deriva dal concetto della “
Messa sul mondo
” di Teilhard de Chardin.
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San Tommaso d’Aquino in linea con la Tradizione nella ‘Somma Teologica’ insegna riguardo
agli “effetti dell’Eucarestia” che “come la Passione di Cristo può giovare a tutti, quanto alla
remissione del peccato, ma non ha effetto in atto se non per quelli che sono uniti alla Passione
di Cristo per la Fede e la Carità; così il Sacrificio della Messa ha effetto solo per coloro che si
uniscono a questo Sacramento mediante la Fede e la Carità […]. S. Agostino scrive: ‘
Il Sacrificio di Cristo è offerto per coloro che sono membra di Cristo
’ (
De anima,
Lib. I, cap. 9). Onde
nel Canone della Messa non si prega per coloro che sono fuori la Chiesa
. Tuttavia può giovare potenzialmente loro [predisponendoli alla conversione] tanto quanto
grande è la loro disposizione” (
S. Th.,
III, q. 79, a. 7, ad 2).
Il ritorno alle norme dei Santi Padri o l’«ermeneutica della continuità»
Gli articoli dal 6 al 9 del proemio affermano senza dimostrarlo che il nuovo “Ordo Missæ” non
si oppone ai princìpi cattolici tradizionali, e in particolare a quelli enunciati a Trento, ma piuttosto
li conferma. Per difendere questa tesi, il documento adduce che il Concilio Vaticano II ha
ordinato che i riti vengano “riportati alla antica Tradizione dei santi Padri”
[4]
, espressione questa che,
ipsis litteris
, si trova nella Costituzione apostolica
Quo primum tempore
, con la quale San Pio V restaurò e promulgò il Messale Romano-tridentino (13 luglio 1570).
Agli autori del proemio questo punto di esteriore somiglianza è parso sufficiente per dimostrare
che il nuovo Messale segue la stessa Tradizione apostolica di quello restaurato, non fatto
ex novo,
da San Pio V; e questo convincimento sembra talmente radicato che, nelle righe successive,
non ci si preoccupa di
dimostrare
che la nuova Messa è in accordo con gli insegnamenti tridentini, ma
ci si
accontenta di dichiarare
che l’
Ordo
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di Paolo VI è riuscito a “ristabilire l’antica Tradizione dei santi Padri” in modo
più perfetto
dello stesso
Ordo
di San Pio V. Ora “
quod gratis affirmatur, gratis negatur
”. Perciò le affermazioni precedenti del proemio a riguardo della transustanziazione, del
carattere sacrificatorio e propiziatorio della Messa, ecc., restano solo
verbali
senza nessuno sforzo per
dimostrare
che questi princìpi non sono contraddetti dai passi della nuova Messa segnalati come contrari
alle dottrine di Trento. Insomma,
si insiste su un ‘elemento estrinseco

: l’ intenzione affermata, ma non dimostrata, di ristabilire i riti secondo le norme dei santi Padri
. È una sorta di “argomento ontologico” il quale dall’
idea
dell’esistenza di Dio passa
ipso facto
alla Sua
esistenza reale
. Ora il passaggio è indebito poiché tra il
pensare
una cosa e il
produrla nella realtà
vi è una distanza infinita, che può essere colmata solo dall’ Onnipotenza creatrice divina. Non
basta, dunque,
dire
che vi è continuità tra ‘Nuova Messa’ e ‘Messa apostolica’ affinché questa continuità
esista realmente
. Le affermazioni vanno dimostrate, cosa che nel caso della ‘Nuova Messa’ e del ‘Concilio
Vaticano II’ non è stata fatta, perché ci si è contentati di
affermare
la continuità con la Tradizione liturgica e dogmatica
senza prendersi cura di provarla
.
Come monsignor Gherardini riguardo all’«ermeneutica della continuità» rilanciata da Benedetto
XVI nel 2005 sul Concilio Vaticano II ha constatato recentemente che la Tradizione dogmatica
è solo affermata ma non dimostrata; così monsignor De Castro Mayer e il dr. Da Silveira
avevano notato nel 1970 la stessa incongruenza tra le affermazioni e i fatti riguardo alla
continuità tra la nuova Messa e la Tradizione liturgico-apostolica.
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Infatti come è possibile dimostrare che la Messa di Paolo VI ha obbedito realmente e non solo
verbalmente
all’intenzione, di essere fedele alla tradizione come quella di San Pio V ed anzi più di essa?
Le differenze tra le due Messe ‘celebrate’ sono così evidentemente grandi
che balzano agli occhi e alle orecchie di chi
assiste
all’una e all’altra Messa; esse
si vedono
e
si sentono
e, se nessuno osa dire che “il re è nudo”, lo “grideranno le pietre”. Le differenze si mostrano e
non hanno bisogno di essere dimostrate (altare al muro/altare verso il popolo; recitazione a
bassa voce/lettura con microfono ad alta voce; lingua latina/lingua vernacolare; comunione in
ginocchio e in bocca/comunione in piedi e sulle mani; canto gregoriano/musica yé-yé…);
mentre i Documenti ‘
scritti’
del Concilio non si vedono né si sentono, ma debbono essere studiati e non tutti hanno la
capacità di evincerne con chiarezza la rottura con la Tradizione apostolica.
Inoltre come è stato possibile che la medesima intenzione (per il Novus Ordo solo affermata
ma non dimostrata) di ristabilire i riti secondo le norme dei Padri della Chiesa abbia condotto a
due modi così differenti
di celebrare ed assistere alla Messa: uno verticale e teocentrico, l’altro orizzontale e
antropocentrico?
D’altronde Pio XII condanna coloro che, “per adottare nuovamente alcuni antichi riti e
cerimonie” [5] , finiscono col “far rinascere gli eccessivi ed insani arcaismi creati dall’ illegittimo
conciliabolo di Pistoia e […] col rinnovare i molteplici errori che prepararono e che seguirono
questo conciliabolo” [6] . Sulla stessa linea, dom Guéranger denuncia le
rivendicazioni dei “diritti dell’ antichità” o il “ritorno alle
fonti” come una delle tattiche impiegate da “tutti i settari” per distruggere la vera Tradizione
liturgica ed
introdurre così le loro nuove forme di culto, le quali, in realtà, non corrispondono per nulla alle
antiche Tradizioni
[7]
.
In conclusione cosa c’è in comune tra la recente riforma liturgica e quella di San Pio V?
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Sfortunatamente, abbiamo solo l’«elemento materiale ed esteriore», che consiste nel dichiarare
, tanto da parte di San Pio V che di Paolo VI,
l’intenzione di restaurare alcuni riti secondo le norme dei Padri.
Anche se, per il
Novus Ordo
, i fatti smentiscono la dichiarazione verbale. E
così è per l’ ermeneutica della continuità tra Concilio Vaticano II e Tradizione apostolica
… (collegialità episcopale/primato petrino; libertà delle false religioni/tolleranza religiosa; una
sola fonte della Rivelazione: la Scrittura/due fonti: Tradizione e Scrittura; pan-ecumenismo/una
sola vera Religione…).
“Il Sacrificio eucaristico è anzitutto un’azione di Cristo”?
Al paragrafo 11 il Proemio o prologo dell’Institutio riveduta nel 1970 afferma che il Concilio di
Trento, considerando le circostanze dell’ epoca, ritenne suo dovere inculcare ancora una volta
la dottrina tradizionale della Chiesa secondo la quale “il
Sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo
stesso e di conseguenza la sua efficacia non dipende affatto dal modo di partecipazione dei
fedeli”.
Ora, una tale formulazione delle relazioni tra il Sacerdozio di Nostro Signore e quello dei fedeli
è incompleta. In questo delicato problema, la questione non consiste solo – né soprattutto – nel
sapere se il Sacrificio è in qualche modo intaccato dalla partecipazione dei fedeli, ma consiste
soprattutto nel sapere se, quando essi partecipano al S. Sacrificio, ‘concelebrano la Messa col
sacerdote’ . Vale a dire, se anch’essi, come il sacerdote, sono dei
rappresentanti ufficiali di Nostro Signore per l’esecuzione delle funzioni liturgiche
.
Sull’argomento le modifiche introdotte nel 1970 nell’Institutio sono ancora una volta insufficienti.
Infatti secondo l’ Institutio la Messa
è in primo
luogo
azione di Cristo, ma la parola
in primis
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(soprattutto, principalmente, in primo luogo) sta a significare che, nel suo elemento essenziale,
il Sacrificio è l’azione di Cristo, ma
non esclude esplicitamente
che sia
anche
l’azione dei fedeli. Nella prospettiva dell’insieme del proemio, tale azione dei fedeli non è
esclusa,
anzi
è considerata come un elemento importante per la celebrazione della Messa. Ora, l’
Immolazione sacrificale
in senso stretto
è non anzitutto, ma esclusivamente un’azione di Nostro Signore,
rappresentato dal celebrante,
che ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine e partecipa alla S. Messa come strumento, e non è, in
alcun caso, un’azione dei fedeli. Questi ultimi, possono e devono unirvisi in spirito, offrendo
Gesù come vittima al Padre tramite il sacerdote validamente ordinato e offrendo anche se
stessi in unione con essa, ma
non realizzano in alcun modo l’ azione sacrificale
propriamente detta
[8]
. Il testo in esame, non essendo chiaro a riguardo, apre la porta ad una concezione erronea,
protestantica e modernistica, del Sacerdozio dei fedeli.
La revisione dell’«Institutio»
Presentando i cambiamenti introdotti nell’Institutio nel 1970, la rivista Notitiæ [9] scriveva: “Da
quando l’ Instit
utio generalis Missalis Romani
fu pubblicata nel 1969 […] è stata oggetto di diverse critiche, sia rubricali che dottrinali. Alcune
censure [cfr. il “Breve Esame Critico del
Novus Ordo Missae
”, accompagnato dalla “Lettera di presentazione a Paolo VI” dei cardinali Alfredo Ottaviani e
Antonio Bacci] sono state espresse sulla base di un’ opinione preconcetta, che si oppone ad
ogni genere di novità; per tale motivo,
non è sembrato necessario esaminarle
, in quanto prive di alcun fondamento. In effetti, l’
Institutio
era stata sottoposta all’esame dei Padri del
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Consilium
e degli esperti, prima e dopo la sua pubblicazione. Non si trovò alcuna ragione per modificare la
disposizione degli articoli, e non vi si scoprì nessun errore dottrinale. Si tratta di un
documento pastorale e rubricale
che regola la celebrazione della Messa secondo la dottrina del concilio Vaticano II, dell’enciclica
Mysterium fidei
di Paolo VI […] e dell’istruzione
Eucharisticum mysterium
[…]. Tuttavia,
al fine di evitare difficoltà di ogni tipo
, e
per rendere più chiare
certe espressioni, fu deciso che, in occasione della pubblicazione dell’edizione tipica del nuovo
Messale Romano del 1970, il testo dell’
Institutio
sarebbe stato
qui e là completato o riscritto
(vedasi la dichiarazione della Sacra Congregazione per il Culto Divino del 18 novembre 1969, in
Notitiæ
, n. 5, 1969, pagg. 417-418).
Questo non ha comportato alcunché di interamente nuovo
: cosicché
lo schema della prima edizione
[1969]
è stato mantenuto
[1970].
Gli emendamenti sono veramente pochi, talvolta minimi o concernenti unicamente lo stile
”.
Questa preoccupazione di sostenere che gli emendamenti non erano destinati a correggere gli
errori o a compensare le deficienze di natura dottrinale, ma solo a rendere più chiaro ciò che
era già contenuto nel testo precedente lascia temere che la revisione dell’Institutio abbia
rappresentato solo
una semplice ritirata strategica
(“un passo indietro per fare due passi avanti”). In realtà consolida gli stessi errori e conferma
alcuni di essi, ora chiaramente con un linguaggio sottile e mascherato.
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Il numero 7 dell’«Institutio» rivisto nel 1970
Il tanto discusso n° 7 nell’ Institutio riveduta è così redatto: “Nella Messa o Cena del Signore, il
po
polo di Dio
è chiamato a riunirsi insieme
sotto la presidenza del sacerdote
, che agisce nella persona di Cristo [
personam Christi gerente
], per celebrare il
memoriale del Signore
,
cioè il Sacrificio eucaristico
. Per questa riunione locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di
Cristo: ‘Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro’ (
Mt
. XVIII, 20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale
si perpetua il Sacrificio della Croce
, Cristo è
realmente presente
nell’assemblea dei fedeli
riunita in suo nome,
nella persona del ministro
,
nella sua parola
e
in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche
”.
In questo nuovo testo, il n° 7 può essere ancora sottoposto a pesanti critiche. In verità, anche
se è stata abolita una certa definizione della Messa, anche se si dice che il sacerdote agisce
nella persona di Cristo e si è inserito un richiamo al Sacrificio (dett
o, però,
eucaristico, ma non propiziatorio
), anche se si dichiara che Nostro Signore è
sostanzialmente e permanentemente presente sotto le specie eucaristiche
, sussistono pur sempre delle ambiguità e delle deviazioni non trascurabili.
Il fatto più grave consiste nell’ affermare che è il popolo che celebra il memoriale del Signore o
Sacrificio eucaristico .
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Permangono inoltre strane imprecisioni sui diversi tipi di “presenza” di Nostro Signore nella
Messa. Si dice che la Sua presenza sotto le specie eucaristiche è “sostanziale e permanente”,
e l’espressione è assolutamente esatta, ma la parola enim (poiché) stabilisce un rapporto che
non è affatto chiaro e che è molto pericoloso se posto tra questa presenza sostanziale ed il
principio precedentemente enunciato: “Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono
in mezzo a loro”. Che relazione ci sarebbe tra queste due presenze?
Il carattere comunitario dell’assemblea riunita nel nome di Cristo contribuirebbe a che Egli
divenga presente sotto le specie eucaristiche?
Forse che il “popolo di Dio” riunito eserciti una funzione attiva per rendere effettiva la presenza
sostanziale di Nostro Signore nell’ Eucarestia? Infatti nel nuovo rito
il celebrante non si inginocchia dopo aver consacrato, ma solo dopo aver mostrato ai fedeli
l’ostia
. Calvino insegnava che è la Fede dei fedeli a rendere presente per ‘companazione’ Cristo
nell’ostia, ma questa è un’eresia.
Il testo permette che si stabiliscano delle pericolose ambiguità su tale questione, in quanto
poco prima è stato affermato che
il

popolo di Dio

celebra il Sacrificio
. Quindi ci si inginocchia solo dopo che il popolo di Dio ha reso presente Gesù nell’ostia con la
sua fede e Gesù non si rende presente per le parole della consacrazione pronunciate, sia pure
in forma narrativa, dal sacerdote.
Non si fissano più le distinzioni necessarie tra i diversi tipi di presenza non sostanziale di Cristo,
e cioè la presenza nell’assemblea riunita, nella persona del ministro e nelle parole della
Scrittura. Il fatto che l’assemblea sia menzionata prima del ministro è rivelatore: potrebbe infatti
suggerire che, nella celebrazione eucaristica, la presenza di Nostro Signore nel popolo è, se
non superiore, almeno più importante della sua presenza nella persona del ministro.
Impiegare, infatti, nella definizione della Messa l’espressione ‘sacerdote præside personamque
Christi gerente’ sembra
subordinare la funzione del sacerdote come rappresentante di Cristo alla sua funzione di
presidente dell’assemblea, mentre in realtà è vero il contrario.
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Infine, nel contesto, il fatto che l’espressione “Cristo è realmente presente” non è riservata alla
presenza che deriva dalla transustanziazione tende ad indebolire la fede nella “presenza reale”
per antonomasia e ad introdurre tra i cattolici una terminologia gradita a certi protestanti, che
ammettono la presenza reale per ‘companazione’ ma non per ‘transustanziazione’
.
Conclusione
In conclusione, come quelli del 1969, i testi del 1970 della nuova Messa non possono essere, in
coscienza, giudicati in continuità oggettiva con la Tradizione apostolica
, perché
se ne discostano in maniera impressionante
.
La nuova Messa contiene (bisogna soppesare e distinguere bene il significato delle parole e
perciò qui riportiamo quelle impiegate autorevolmente da monsignor De Castro Mayer/Da
Silveira e dai cardinali Ottaviani/Bacci) ‘ er
rori palesi’
contro la ‘
purezza’
della Fede anche se non contro la Fede
in se stessa
, negazioni ‘
pratiche
/
implicite’
di essa anche se non
esplicite
; essa è monca, pecca di omissioni, è insidiosa o ‘
favorisce l’eresia’
, è insufficiente, anche se ‘
non esplicitamente eretica’
; modifica il senso
‘esatto’
dell’ offertorio
lasciandone uno inesatto e ridotto
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; cambia alcune parole ‘
accidentali’
della forma della Consacrazione e non ha più una ‘forma sacramentale
esplicita’
dell’ Eucarestia
‘in senso proprio o stretto’
, pur conservando una forma ‘
in senso largo’
che
può essere esplicitata dall’intenzione del
celebrante; conduce alla ‘
diminuizione della Fede nella Presenza Reale’
, e
pur non negandola in sé
, contiene
oggettive mancanze di rispetto verso questa Presenza Reale
di Gesù (pollici/indici non più uniti dopo la Consacrazione, non più purificazioni delle dita, non
più comunione dei fedeli in ginocchio ma in piedi e peggio ancora in mano, laici che
distribuiscono la comunione…).
Certamente la nuova Messa intacca ‘la’ Tradizione liturgica apostolica e si distacca ‘da’ essa. È
per questo che con i cardinali Ottaviani e Bacci
possiamo e dobbiamo continuare a sperare e a chiederne l’ abrogazione
, ma non possiamo farlo noi, poiché non ne abbiamo il potere e l’autorità e non si può fare un
“colpo di Chiesa”: il “colpo di Stato” e il tirannicidio sono contemplati a certe condizioni dalla
teologia cattolica; la deposizione del Papa da parte dell’Episcopato o dei fedeli mai. Dobbiamo
pregare, dunque, Dio che ci aiuti a mantenere la Fede e che illumini e fortifichi i Pastori aventi
giurisdizione per restaurare il vero Culto tradizionale romano.
Basilius
(Fine)
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A tutti i nostri lettori auguriamo sante le feste pasquali.
Alcune riflessioni su Assisi 2011
Continua sull'edizione cartacea...
[1] Paolo VI, Costituzione apostolica Missale Romanum, edizione tipica, pp. 8-9.
[2] P. Bugnini, De editione Missalis Romani instaurati, in ‘Notitiae’, n° 54, p. 161.
[3] La "celebrazione dell’eucaristia", nel suo significato proprio, è esclusivamente un’azione di
Cristo e del sacerdote, il quale, nella Messa, Lo rappresenta. Nell’Enciclica Mediator Dei,
Pio XII (20 novembre 1947) condanna la dichiarazione secondo la quale "il Sacrificio eucaristico
è un’autentica concelebrazione" del sacerdote e del popolo presente (AAS, 1947, p. 553). I
fedeli possono e devono unirsi al celebrante nell’offrire la Vittima che è immolata, e in questo
senso la Messa è realmente una azione dell’intera Chiesa, ma l’offerta fatta dai fedeli è
essenzialmente distinta da quella di Nostro Signore. Non si può dire, in alcun caso, che a causa
di questa offerta i semplici fedeli diventano degli autentici "celebranti" della Messa. Per questi
motivi, l’espressione "
la celebrazione dell’eucaristia è un’azione di tutta la Chiesa
"
si rivela ambigua
nel contesto di quest’articolo 5
del proemio.
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Anno XXXVIII N° 6
[4] Articolo 6 del proemio.
[5] Enciclica Mediator Dei, AAS, 20 novembre 1947, p. 545.
[6] Enciclica Mediator Dei, AAS, 20 novembre 1947, p. 546.
[7] Dom Prosper Guéranger, Institutions Liturgiques, Parigi, Débecourt, 1840, tomo I, pp.
417-418.
[8] Vedi Pio XII, Mediator Dei e Mons. Antonio De Castro Mayer, Carta pastoral sobre o Santo
Sacrificio da Missa , in
‘Catolicismo’, n° 227, novembre 1969.
[9] Vedi l’articolo intitolato Variationes in Institutionem generalem missalis Romani inductae, in
‘Notitiae’ n° 54.

http://www.sisinono.org/

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