SEATTLE |
Usa, parte da Seattle la disobbedienza ai vescovi
Intere parrocchie si rifiutano di raccogliere firme per il referendum contro il matrimonio gay
MARIA TERESA PONTARA PEDERIVAROMAUn inizio in salita per l’annunciata mobilitazione dei cattolici voluta dai vescovi americani in difesa della libertà religiosa: al motto di “La nostra prima e più preziosa libertà” schiere di fedeli – almeno nelle intenzioni dei loro pastori - dovrebbero scendere in piazza o comunque far sentire la loro voce per abrogare le “leggi ingiuste” dello stato. Il culmine sarebbe atteso per il 4 luglio, festa dell’orgoglio nazionale di ogni americano.
Nel mirino dei vescovi non c’è solo la riforma sanitaria – e relativa copertura contraccettiva – ma anche matrimoni gay e aborto. Se i referendum per abrogare le leggi che legalizzano l’aborto non hanno mai raggiunto il risultato sperato dai pastori, la questione dei matrimoni gay offre una seconda opportunità (molti ricordano le parole di fuoco del card. Dolan alla decisione dello stato di New York gli scorsi mesi), nonostante siano state numerose, e qualificate, le voci che nei mesi scorsi si sono levate per consigliare ai vescovi una certa prudenza, per evitare il rischio che altri risultati negativi possano diventare un boomerang contro la Chiesa cattolica intera. Ma su questi temi fede e politica s’incrociano e la mobilitazione dei repubblicani di fatto potrebbe fare la differenza.
Intanto però giunge un segnale per loro non proprio rassicurante da Seattle dove intere parrocchie – intese come parroci e relativi consigli pastorali – hanno deciso per un netto rifiuto alla richiesta del vescovo locale di raccogliere firme per indire un referendum contro la legge dello stato di Washington che consente il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Mons. J. Peter Sartain, che peraltro viene considerato un moderato, aveva invitato tutte le parrocchie ad una mobilitazione immediatamente dopo la Pasqua. La legge statale che consente i matrimoni gay – annunciata dal governatore Chris Gregoire nel mese di febbraio come “una conquista di diritti civili e votata sia da repubblicani che democratici; giovani e anziani, gay e etero” – dovrebbe entrare in vigore il 6 giugno prossimo, a meno che non venga raggiunta la quota necessaria di firme per indire il Referendum n.74 per la sua abrogazione.
Le pagine del maggior quotidiano locale, il Seattle Times, ospitano da una settimana una serie di articoli, fra cronaca e opinioni, sul tema. Il quadro che emerge non lascia spazio a dubbi: la “disobbedienza” c’è, e neppure tanto latente. Persino la parrocchia della Cattedrale di St. James ha opposto rifiuto alla raccolta di firme, sulla base anche di alcuni pareri di autorevoli avvocati cattolici e non.
“Non siamo d'accordo con la posizione dei nostri vescovi sul matrimonio civile – scrive in un editoriale Barbara Guzzo, giornalista, ma anche cattolica impegnata da 30 anni nella preparazione al matrimonio - domenica scorsa, nelle nostre parrocchie, abbiamo celebrato la risurrezione di Gesù. E' questa fede pasquale che ci rende forti e ci guida nelle scelte di ci che la nostra coscienza ci indica. Il nostro obiettivo è quello di costruire famiglie solide, comunità sane e un futuro migliore per tutti i figli di Dio.
Come cattolici, siamo delusi dai vescovi dello stato di Washington. Tutto nella nostra tradizione ci porta a credere che gay e lesbiche dovrebbero essere accolti all'interno delle nostre comunità, così come crediamo che li avrebbe accolti Gesù.
Come cattolici, siamo delusi dai vescovi dello stato di Washington. Tutto nella nostra tradizione ci porta a credere che gay e lesbiche dovrebbero essere accolti all'interno delle nostre comunità, così come crediamo che li avrebbe accolti Gesù.
I nostri rappresentanti hanno approvato una legge che sancisce l'uguaglianza delle unioni e la promozione di famiglie solide. Si tratta di un'unione civile, agli occhi dello Stato, un contratto che consente ai partner di godere di una serie di diritti civili e umani che coinvolge la salute, il patrimonio e le eventuali decisioni sul fine vita. Questo consente ai partner di manifestare apertamente il loro amore e il loro impegno e di affermarlo e riconoscerlo di fronte ai loro amici, le famiglie e lo Stato.
Come laici nella nostra parrocchia, noi siamo impegnati nella preparazione al matrimonio per le coppie che chiedono di sposarsi in chiesa e nulla nella presente normativa cambia diritti religiosi o di matrimonio cattolico.
Sappiamo che la gerarchia cattolica può fare di meglio. Per il bene dei diversi tipi di famiglie che compongono le nostre parrocchie, chiediamo loro di farlo”.
Per la cronaca l'arcivescovo di Seattle è stato incaricato nei giorni scorsi dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede di guidare un'apposita Commissione che dovrà verificare la congruenza dottrinale dell'organizzazione che raccoglie il più numeroso gruppo (circa l'80%) di congregazioni e ordini religiosi femminili del Paese. Mons. Sartain – che sarà affiancato dai vescovi Leonard Blair di Toledo, Ohio e Thomas Paprocki di Springfield, Illinois – dovrà verificare alcune posizioni della Conference of Women Religious che vengono definiti “commistioni con alcune tematiche femministe radicali incompatibili con al dottrina cattolica”, mentre di fatto sembrano ignorare questioni definite di “cruciale importanza” come l'aborto e l'eutanasia, come già segnalato dalla precedente indagine vaticana.
http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/usa-estados-unidos-united-states-catholics-catolicos-cattolici-14515/
Le comunità fanno ricorso in Vaticano per il ritorno dei loro preti
A Cleveland, nello stato dell’Ohio, è scoppiato un caso senza precedenti, parrocchie contro vescovi
GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANONegli stati in cui il cattolicesimo era tradizionalmente radicato si cominciano a chiudere molte parrocchie. La diocesi di Cleveland ne ha soppresse 29, mentre altre 41 saranno oggetto di fusione. Lo scandalo dei preti pedofili non è ovviamente estraneo al fenomeno in corso.
Si potrebbe dire “l’articolo 18” in sagrestia. Per arginare la crisi di vocazioni il presule con le forbici Richard G. Lennon ristruttura la sua diocesi, accorpa parrocchie ma i parroci rimossi e destinati a nuovo incarico si ribellano e fanno appello allla Santa Sede. A Clevaland, nello stato americano dell’Ohio, è scoppiato un caso senza precedenti. Tre dei 29 preti le cui parrocchie erano state soppresse (e le relative chiese chiuse) dal vescovo diocesano Lennon hanno fatto ricorso in Vaticano, alla Congregazione del Clero, per ottenere l’immediato ripristino delle parrocchie e la ripartura al culto delle loro chiese. Lungo la Rust Belt (area manifatturiera a Nord-Est degli USA) e nelle cittadine dell'entroterra verso il Midwest, le comunità cattoliche lamentano la chiusura delle parrocchie.
E’ un trend iniziato cinque arrivato fino a Cleveland, Ohio. Il vescovo Richard G. Lennon, titolare della diocesi di Cleveland, che comprende più di 750.000 cattolici, ha chiuso 29 parrocchie e ne ha accorpate altre 41. Il piano di ristrutturazione taglia di fatto 52 parrocchie su 224. Non sono finiti i tempi di magra per le chiese americane. Dopo che negli anni scorsi le diocesi di Chicago, Detroit e Boston hanno chiuso o aggregato decine di parrocchie – in alcuni casi per ovviare alle difficoltà finanziarie nate dallo scandalo pedofilia – ora tocca a New York: l’ arcidiocesi della Grande Mela ha annunciato che metterà i lucchetti a 31 chiese e 14 scuole, dando il via alla più vasta riorganizzazione degli ultimi centocinquanta anni. A determinare la drastica decisione sono il calo del numero di sacerdoti (i preti anziani vanno in pensione e le vocazioni scarseggiano), la diminuzione della partecipazione dei fedeli a Messa e i cambiamenti demografici. Da soli Manhattan e il Bronx vedranno chiudere 17 parrocchie, mentre le autorità ecclesiastiche progettano, semmai, di costruire qualche nuova chiesa – i numeri sono comunque limitati –nelle zone settentrionali e periferiche dell’arcidiocesi, dove molti cattolici si sono trasferiti negli anni.
«Non è una grande sorpresa, ma è straziante», commenta Joanne Kennedy, parrocchiana della chiesa della Natività (East Village). E infatti, anche se atteso ormai da anni, l’annuncio ha fatto esplodere il malumore all’interno della comunità di 2 milioni e mezzo di cattolici newyorchesi.
«Vogliamo restare aperti», ha affermato al mensile dei Paolini, "Jesus",padre John Flynn quando ha appreso dai giornali che la sua parrocchia di San Martino di Tours (Bronx) verrà chiusa. «Stiamo facendo un ottimo lavoro con molti bambini».La decisione è però inesorabile. Gli edifici verranno venduti o convertiti in uffici. Anche a Detroit (1,3 milioni di fedeli), dove nello scorso decennio già molte chiese hanno chiuso i battenti, lo stesso destino toccherà ad altre 16 parrocchie. Nell’annunciarlo, il cardinale Adam Maida non ha nascosto il disagio: «Anche sapendolo in anticipo, non si può negare il dolore e il senso di perdita per una comunità legata a una chiesa o a una scuola».Considerazione tanto più vera nel caso di parrocchie di piccoli paesi o di quelle frequentate da comunità immigrate che nella propria chiesa hanno un punto di riferimento. Ne sa qualcosa l’ arcivescovo di Boston Sean O’Malley.
Quando due anni fa chiuse 62 parrocchie (altre 14 chiuderanno nei prossimi mesi), l’ondata di protesta montò. O’Malley selezionò oculatamente le parrocchie da dismettere: scelse quelle meno frequentate e dove si celebravano meno matrimoni e battesimi, fece attenzione a evitare quelle dei quartieri più poveri. Dunque è un fenomeno generale. Eppure alcuni intentano cause civili, altri scrivono al Vaticano. Altri ancora si barricano in chiesa in segno di protesta.
Tutte le ultime inchieste sulla religiosità degli Stati Uniti forniscono dati convergenti: cresce il numero di chi non crede (tanto da spingere qualche commentatore a parlare dell’ateismo come di "un nuovo potere"); tra i credenti, cresce il numero di chi crede senza appartenere ad alcuna Chiesa; tra le Chiese, quella cattolica è l’organizzazione che subisce le perdite più pesanti, tamponate per ora dall’afflusso di immigrati di origine ispanica (provenienti da nazioni in cui, peraltro, il proselitismo evangelico si fa di giorno in giorno più aggressivo).
Negli stati in cui il cattolicesimo era tradizionalmente radicato si cominciano a chiudere molte parrocchie. La diocesi di Cleveland ne ha soppresse 29, mentre altre 41 saranno oggetto di fusione. Lo scandalo dei preti pedofili non è ovviamente estraneo al fenomeno in corso.
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