Moglie e furia
Il lato estetico del declino di Formigoni e quel che resta di un fisico quasi prestante
Roberto Formigoni può anche decidere di non commentare “le dichiarazioni di una signora” (anche se una signora non è un pinguino o un colibrì, quindi è in grado di ascoltare un commento), ma nella lettera al Corriere della Sera di Carla Vites, moglie di Antonio Simone, il migliore amico di Formigoni adesso in carcere, c’è il potente racconto di una fine. Fine di un’amicizia, fine forse anche di un mondo, o almeno di una comunità. Carla Vites, moglie furibonda che denuncia da sé il suo “travaso di bile”, poiché certo l’accuseranno almeno di isteria e di nervi fragili, non pronuncia nemmeno le parole: mazzette, fondi neri, colpevoli, non rivendica l’innocenza del marito o di nessuno, ma offre uno sguardo potente sul lato estetico della vicenda.
Sui dettagli e sull’aspetto caricaturale del potere. Bisogna arrivare in fondo alla lettera di questa trentennale militante di Comunione e Liberazione, per capire che il travaso di bile l’avrebbe tenuto per sé, anche dopo aver letto le interviste di Formigoni, piene di quelle che lei definisce “falsità” e vuote di parole per gli amici in prigione, gli stessi che lo guardavano imbarcarsi sullo yacht, tuffarsi dalla barca, gli stessi che lo ospitavano e si disperavano perché non riuscivano a dirgli di non indossare “quelle orrende camicie a fiori” (almeno l’aggettivo “orrende” è stato liberato: Formigoni può vestirsi come gli pare, anche peggio di così, e si può dire che quelle camicie, quelle magliette, quelle cravatte sono orrende): Carla Vites non avrebbe detto nulla, ma ha sfogliato ancora un po’ il giornale e ha visto una fotografia: Roberto Formigoni “mollemente adagiato su un letto megagalattico del Salone del mobile, che se la ride soddisfatto”. Mancavano solo i grappoli d’uva. Mentre suo marito Antonio Simone, molto amico di Formigoni, è in prigione e deve aspettare il turno per allungare le gambe, perché in cella sono in cinque. Formigoni se la ride soddisfatto mentre molto intorno a lui si sfascia, la gente viene arrestata e lui dice: “Conoscevo Daccò da molti anni, ma non ha mai avuto rapporti direttamente con me, ma con l’assessorato”, invece di: siamo amici, spero che non sia vero.Non importa nemmeno qual è la verità, nel lato estetico della vicenda. Conta il comportamento da fine impero, le battute di chi si illude di perpetuare il potere dicendo “che sfigati” ai giornalisti del Corriere che non fanno le vacanze di gruppo. Contano i dettagli. Così la signora, moglie ferita, moglie arrabbiata, militante delusa, abituata alle vacanze di gruppo e alla vita di comunità dei ciellini, non si è più trattenuta, ha preso un foglio e ci ha scritto sopra il suo personale travaso di bile, una cosa che significa più o meno, senza timore reverenziale: guarda come ti sei ridotto. Dare la colpa a don Verzé, su Vanity Fair, della nomina di Nicole Minetti, era sembrato a tutti un gesto di non splendido gusto. Meglio i video interattivi, allora, meglio quel sorriso eternamente compiaciuto anche con addosso delle cose verde pisello. Carla Vites dipinge il ricordo degli chef d’alto bordo, dei locali à la page della Costa Smeralda, delle ragazze che si tolgono il pezzo sopra del costume dopo aver usato il Pirellone per eventi mondani, particolari che non sono certo un reato o un dilemma morale, ma uno spettacolo un po’ ridicolo quando scoppia tutto. Poi, nella lettera che sembra insieme un soggetto cinematografico e una resa dei conti a due, che solo una donna infuriata poteva osare dentro un mondo tanto stretto, il gancio finale, che non è chiedersi cosa resti di don Giussani, e nemmeno incitare i ciellini a un sussulto. Ma descrivere l’esibizione orgogliosa, nella foto al Salone del mobile che ha potuto più di mille interviste e dichiarazioni, “di quel che resta di un fisico un tempo quasi prestante”. Particolari di un declino, di una disgregazione. Dentro la quale il lato estetico è quasi tutto. E non ricordarsi il compleanno del migliore amico in prigione, perché è meglio ignorarlo e sorridere con metaforici grappoli d’uva in mano, è tutto.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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