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domenica 13 maggio 2012

“Il Vaticano sapeva della fine dei desaparecidos”

Buenos Aires, plaza de majo: la protesta delle madri dei desaparecidos
Buenos Aires, plaza de majo: la protesta delle madri dei desaparecidos

Secondo un quotidiano argentino un documento segreto inviato dai vescovi a Paolo VI nell’aprile del 1978 metteva in evidenza il ruolo della Chiesa negli anni della dittatura

«La Santa Sede sapeva». Durante gli anni della dittatura, le forze armate fecero sparire un numero imprecisato di persone. Le stime vanno dalle 7.000-8.000 riconosciute dallo stesso Videla alle quasi 30.000 denunciate da vari associazioni umanitarie. Prima dei mondiali di calcio del 1978, la Conferenza Episcopale Argentina informa il Vaticano di quanto stava accadendo nel paese: della repressione, degli omicidi e del fenomeno dei desaparecidos.

 Secondo quanto scrive sul quotidiano Pagina 12 Horacio Verbitsky un "documento segreto" dei vescovi argentini fu inviato a Paolo VI. Nel documento, risalente all'aprile del 1978, si riferisce degli incontri tra i vescovi Raul Primatesta, Juan Carlos Aramburu e Vicente Zazpe con il dittatore Jorge Videla. Nei colloqui, che secondo i religiosi si svolsero in un clima "di cordialità e sincerità", fu apertamente sollevato il problema dei desaparecidos e i vescovi chiesero anche, in caso di morte, dove questi fossero "sepolti". A molte risposte il governo, dicevano i vescovi, non potette dare "una risposta soddisfacente" anche se il vescovo Primatesta ribadì che "la Chiesa vuole comprendere e cooperare" con lo stato. Lo stesso Videla disse in varie occasioni di aver avuto "una relazione eccellente, molto cordiale, sincera e aperta" con la Chiesa Cattolica. Solo nel 1996 (a tredici anni dalla fine della dittatura militare) l’episcopato cattolico,attraverso la Conferenza episcopale, ha fatto un esame di coscienza nel quale si ammettono errori e responsabilità minori ma si rivendica, in generale, la metodologia di dialogo permanente che le autorità ecclesiastiche mantennero con i militari.


Sia le vittime sia i carnefici, nelle loro testimonianze, parlano del ruolo della Chiesa cattolica nello sterminio di centinaia di persone durante la dittatura. Nel 1976 il giornalista Jacobo Timerman, durante un pranzo con uno stretto collaboratore del capo della marina Emilio Massera, disse: “Sarebbe meglio introdurre la legge marziale e condannare gli imputati alla pena di morte, solo dopo averli sottoposti a un regolare processo”. Ma il collaboratore di Massera rispose: “In questo caso interverrebbe il Papa e sarebbe difficile proseguire con le fucilazioni”». Molti anni dopo anche il generale Ramón Genaro Díaz Bessone, teorico della cosiddetta guerra controrivoluzionaria, in un libro ammise che durante la dittatura avevano sequestrato e ucciso clandestinamente gli oppositori politici, senza introdurre la legge marziale, per paura delle reazioni del Vaticano:«Pensate al casino che il papa scatenò contro Francisco Franco nel 1975 quando fece fucilare tre persone. Sarebbe stato il finimondo. Non si possono fucilare settemila persone».


Díaz Bessone alludeva al fatto che nel 1975 il dittatore spagnolo Francisco Franco, ormai in declino, ricorse alla pena di morte contro gli avversari politici nonostante la condanna di tutto il mondo, compresa quella di Paolo VI. Ma la situazione in Spagna era diversa, lì era stata combattuta una vera e propria guerra civile in cui anche gli avversari di Franco, i repubblicani, fucilarono molti nazionalisti, tra cui centinaia di sacerdoti.


Invece in Argentina non si trattò di una guerra tra due gruppi armati avversari, ma di un’operazione di ingegneria sociale che andò ben oltre le contrapposizioni politiche. Un’operazione che poté contare su un apparato ideologico e dogmatico e una retorica da crociata. Il cardinale Raúl Francisco Primatesta una volta disse che lui non era un profeta del castigo, ma che bisognava agire e non limitarsi alle parole. “Può darsi che il rimedio sia duro, perché la mano sinistra di Dio, si dice sia paterna, ma può essere molto dolorosa”. Sinistra è l’espressione che è stata usata per indicare la repressione, il rapimento, la tortura e l’uccisione segreta degli oppositori».


Recentemente hanno destato scalpore le rilevazioni di un militare pentito sulla fine dei desaparecidos. A partire appunto dalla testimonianza del capitano di fregata Adolfo Scilingo che durante la dittatura aveva gettato in mare da un aereo trenta persone ancora vive (erano state sequestrate e torturate nella Scuola di meccanica della marina, il principale campo di concentramento della marina militare argentina): «La gerarchia ecclesiastica approvava questo metodo, perché era un modo “cristiano e poco violento” di morire». Al ritorno dal primo volo, Scilingo era in preda ai sensi di colpa, ma il cappellano dell’Esma lo tranquillizzò citando la parabola biblica in cui si racconta della separazione del grano dall’erba cattiva. Rincara la dose Estela Carlotto, presidente dell’associazione di Plaza de Mayo :«Abbiamo sofferto sulla nostra pelle la complicità della Chiesa argentina con la dittatura militare. Tranne alcuni vescovi (4 o 5 che ci hanno sempre aiutato, insieme alla Chiesa di base) la Chiesa argentina è molto conservatrice. Pur sapendo quello che stava succedendo lo ignorò, tacque, non difese le vittime. Oggi la Chiesa argentina è più progressista e c’è una specie di riconoscimento della violazione dei diritti umani. Noi vogliamo, poiché il passato non è certo un capitolo chiuso, visto che non si sa dove sono finiti i desaparecidos, che la Chiesa fornisca una risposta precisa alla società argentina».
g. gal. città del vaticano  

http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/argentina-14979/

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