Si
usa dire che, in un mondo di ciechi, perfino chi è orbo di un occhio
passa per un individuo dalla vista eccezionale, rispettato e ammirato in
proporzione; ma in realtà, se si parla della vista in senso figurato,
le cose stanno in modo completamente diverso.
In
un mondo di ciechi, ossia di persone che non vedono perché non sanno o
non vogliono vedere, chi ci vede non solo non è ammirato, ma, al
contrario, diviene oggetto di derisione, disprezzo e, quasi certamente,
anche di un sottile timore, che può degenerare in avversione
implacabile, come se fosse portatore di una malattia pericolosa e
sconosciuta.
Le
guide spirituali, infatti, non vengono mai credute o ascoltate, a meno
che si tratti di false guide; il loro messaggio non è fatto per piacere
alle masse; le loro verità sono sgradevoli, ostiche, difficili da
accettare, per il semplice fatto che suonano come un implicito
rimprovero alla falsità, alla pochezza e all’ipocrisia dei più.
In
un racconto di Herbert George Wells (1866-1946), il creatore della
fantascienza, «Il paese dei ciechi», questa situazione viene descritta
con una chiarezza ed una lucidità esemplari (ne «I racconti di
Repubblica», n. 16, pp. 22-23):
«Erano
ciechi da quattordici generazioni, completamente segregati dal mondo
dotato di vista, , e il nome di ogni cosa attinente al senso ottico si
era cancellato o trasformato, la storia del mondo esterno si era
cancellata, trasformata in una fiaba, ed essi avevano perso ogni
interesse per tutto ciò che stava al di là dei pendii rocciosi,
incombenti sul loro muro di cinta. Erano sorti, tra loro, ciechi
geniali, che avevano messo in discussione gli ultimi brandelli delle
credenze e delle tradizioni di un tempo in cui possedevano ancora la
vista, negandole come vane bubbole e sostituendole con altre e più
assennate spiegazioni. Buona parte della loro immaginazione si era
disseccata come i loro occhi, ed essi si erano procurate altre
immaginazioni, in base alla sensibilità sempre maggiore dei loro orecchi
e dei loro polpastrelli. Pian piano Nuñez finì per rendersi conto. Capì
che, contrariamente alle sue speranze, non avrebbe ottenuto stupore e
reverenza per la sua origine e le sue facoltà; e do che costoro ebbero
mostrato di non tenere in nessuna considerazione i suoi miseri sforzi di
spiegare loro la vista, considerandoli balbettamenti di un essere
appena formato che descriveva come portenti le sue sensazioni segate
egli si rassegnò, un poco mortificato, ad ascoltare le loro istruzioni,
Il più anziano dei ciechi gli spiegò la vita, la filosofia, la
religione; gli disse che il mondo (cioè la loro valle) era stato
dapprima un buco vuoto tra le rocce, e poi erano venute cose senz’anima e
senza il dono del tatto, poi i lama e alcune altre creature di scarso
intelletto, poi ancora gli uomini, e infine gli angeli, che si udivano
cantare e fare rumori che battevano dolcemente l’aria, ma che non si
riuscivano mai a toccare. Ciò lasciò Nuñez molto perplesso, finché non
pensò agli uccelli.
L’anziano
disse ancora a Nuñez che il tempo era stato diviso in caldo e freddo,
cioè l’equivalente del giorno e della note, per i ciechi; che durante il
caldo era bene dormire, e durante il freddo lavorare, cosicché in quel
momento, se non fosse arrivato lui, tutta la città dei ciechi sarebbe
stata immersa nel sonno. asserì che Nuñez dovesse essere astato creato
apposta per imparare e per servire la saggezza che essi avevano
conquistato, e che nonostante la sua incoerenza mentale e il suo
incespicare doveva farsi coraggio e fare del suo meglio per imparare: a
queste parole, u mormorio d’incoraggiamento corse tra la gente accalcata
sulla soglia. L’anziano allora disse che la notte (poiché i ciechi
chiamavano notte il giorno) era già molto inoltrata. Conveniva dunque
che tutti tornassero a dormire.»
Potremmo
continuare la similitudine dicendo che, in un mondo di dormienti, colui
che è desto corre il rischio non solo di non riuscire a svegliare i
sonnambuli, ma anche di essere travolto dai loro movimenti convulsi e
inconsapevoli.
Il
fatto è che alla maggioranza non piace scoprire che qualcuno ha
compreso cose che essa non ha compreso: cose importanti, ma che non si
possono apprendere dall’esterno e senza fatica, ma solo da se stessi,
impegnandosi al massimo e addossandosi notevoli sacrifici.
Questo
è un atteggiamento tipico della società moderna, dominata dal mito del
democraticismo all’ingrosso, secondo il quale tutti sono uguali a tutti
in capacità, intelligenza e volontà; e dove lo studente zuccone, che
prende “solo” sei, va dritto dal professore a domandare perché non abbia
ricevuto sette o magari otto; una società dove non esiste l’umiltà di
riconoscersi da meno di qualcun altro e, soprattutto, di ammettere i
propri limiti.
Non
era così nelle società pre-moderne, dove le persone eccezionali erano
realmente riconosciute come tali, anche se potevano essere fraintese
(Santa Giovanna d’Arco che viene bruciata come strega); e dove potevano
anche non venire ascoltate, ma incutevano comunque un certo rispetto,
perché le persone comuni, abituate al senso della gerarchia, davanti ad
esse riconoscevano francamente la propria piccolezza, il loro esiguo
sapere o la loro ignoranza.
Giordano
Bruno poteva non essere compreso, ma nessuno lo avrebbe scambiato per
uno stupido; e ben difficilmente uno stupido poteva sedere in cattedra e
farsi ascoltare da folle ammirate, cosa che invece, oggi, sembra
tutt’altro che infrequente (e non solo nel mondo della cultura, ma anche
in quello dell’arte, della politica, delle libere professioni).
Il
pregiudizio democratico ha completamente azzerato il senso del proprio
limite: tutti si ritengono capaci di fare qualsiasi cosa; tutti possono
accedere alle facoltà universitarie, scrivere libri, tenere conferenze,
apparire in televisione per dissertare su qualsiasi argomento; non
importa se manca la competenza, basta avere abbastanza faccia tosta. Non
si piace per quel che si dice, ma per come si appare, per come ci si
presenta.
In
un mondo superficiale, frettoloso, intellettualmente pigro, pochi sono
disposti al lavoro e alla fatica; molti vorrebbero trovare la
scorciatoia che li metta in grado di fare colpo sul prossimo, anche se
non hanno assolutamente niente da dire, anche se non sarebbero capaci di
fare cinque minuti di meditazione, in silenzio, realmente soli con se
stessi.
Pullulano
i falsi maestri, le false guide, i falsi esperti, specialmente nella
sfera della riflessione, della ricerca interiore, della spiritualità: i
ciechi non vogliono fare la fatica di aprire gli occhi, vogliono essere
presi per mano da qualcuno che ci veda o che affermi di vederci
benissimo; i dormienti non vogliono prendersi il disturbo di svegliarsi,
a loro è sufficiente che qualcuno li rassicuri sul fatto che sono
perfettamente svegli e perfettamente lucidi, e che ai loro sensi vigili e
attenti non potrà mai sfuggire alcunché d’importante.
Un
filosofo disse, una volta, che gli uomini non sono afflitti dalle cose,
ma dall’opinione che hanno delle cose; e, se questo è vero, perché mai
bisognerebbe sobbarcasi la fatica di voler conoscere le cose, quando
basta possedere una opinione intorno ad esse, quale che sia; una
opinione qualunque, fosse pure poggiante sul nulla, anche sulle cose che
non si sono mai viste, né udite, né sperimentate?
Perché
cercare la verità, se basta parlarne con la sicurezza di chi la
frequenta da sempre; perché, soprattutto, puntare alla verità, quando ci
sono dieci, cento, mille verità a nostra disposizione, ciascuna in
bella mostra sugli scaffali del supermercato, e tutte ad un prezzo
estremamente conveniente?
Se
ne possono avere anche due al prezzo di una, anche tre al prezzo di
due: dunque, perché fare i difficili, perché prendere le cose tanto sul
serio, quando è sufficiente fare sfoggio di parole in luogo delle cose; e
sommergere gli altri sotto un diluvio di parole, di belle frasi, di
dotte citazioni, di chiacchiere astruse, anche se non si è mai fatta la
fatica di spostare nemmeno un filo di paglia nel mondo delle cose reali,
della vera ricerca personale?
Il pubblico, del resto, non vuole LA verità, gli basta UNA
verità; non vuole la verità perché è complessa, perché è sfaccettata,
perché richiede tempo e lavoro per essere almeno riconosciuta, non
diciamo per essere compresa.
Davanti
a una brutta architettura, a un brutto dipinto, a una brutta scultura,
perché darsi la pena di pensare, valutare, riflettere, quando basta
accodarsi al giudizio dei signori critici, e dire che è una gran bella
opera, ricca di profondi significati, soprattutto moderna e
all’avanguardia? Davanti a un discorso filosofico contorto,
incomprensibile, pretenzioso, perché rischiare una brutta figura,
dicendo francamente di non averlo capito, magari perché non c’è nulla da
capire, quando è tanto più semplice darsi l’aria di aver compreso
tutto, apprezzato ogni frase, e dire di sottoscrivere ogni singola
affermazione?
I
ciechi non vogliono vedere e i dormienti non desiderano essere
svegliati dai loro placidi sonni; c’è pure il caso che, costretti a
vedere o svegliati bruscamente, si arrabbino con il guastafeste che li
ha messi alle prese con una realtà molto più varia e difficile di quel
che pensavano, costringendoli ad assumersi le loro responsabilità.
La
cosa è ancora più evidente quando si tratta di persone limitate, ma
ambiziose, le quali, stringendo i denti, con tanto impegno ma con poca
comprensione delle cose e con nessuna consapevolezza di sé, sono
riuscite a completare un corso di studi universitario e perfino a
vincere qualche concorso: convinte di aver fatto un duro tirocinio
(mentre la durezza era tutta del loro comprendonio), si impancano a gran
sapienti e fanno del loro meglio per rendere la vita difficile ai
malcapitati studenti che finiscono nelle loro grinfie.
L’unico
modo per imparare a vedere, infatti, è quello di aprire gli occhi; così
come l’unico modo di essere desti, è quello di svegliarsi, anche se si
avrebbe voglia di dormire. È una follia fidarsi di ciò che dicono altri
individui, i quali sostengono di poter vedere al posto nostro e di
poterci guidare, anche se dormiamo; o che, peggio ancora, affermano che
non stiamo dormendo, ma siamo ben svegli, quando è vero il contrario.
Invece
dobbiamo imparare a vedere con i nostri occhi, a ragionare con la
nostra mente: questa è la sola strada per divenire individui consapevoli
e non restare pecore nel gregge, non ve ne sono altre, se non quelle
dell’inganno, della menzogna, della cattiva coscienza.
Ci
si può domandare, semmai, se valga la pena, una volta che si sia giunti
alla soglia della consapevolezza, di voler condividere con altri la
propria solitaria fatica; se abbia senso attirarsi l’animosità, la
gelosia malcelata, il sordo rancore di quanti dormivano sonni beati, ma
pretendevano di essere considerati perfettamente svegli, attenti e
meditabondi. A che scopo affrontare tutto ciò, se coloro che si
vorrebbero fare partecipi della propria conquista non sono disposti
nemmeno a riconoscere di non vedere e di non sapere?
Sembrerebbe
un’impresa velleitaria e sostanzialmente inutile, oltre che
autolesionista; invece è utile e necessaria, e ciò per almeno due
ragioni.
La
prima è che una tale impresa fa parte della chiamata, che nessun essere
umano, se è degno di questo nome, può fingere di non sentire:
rispondere alla chiamata è lo scopo stesso della vita che ci è stata
data, del nostro essere uomini.
La
seconda ragione è che, anche se i semi cadono su un terreno ingrato e
non disposto ad accoglierli, nondimeno alcuni di essi potrebbero
attecchire; forse non oggi e neppure domani; forse tra molti anni: chi
può dirlo? Ma, prima o poi, qualcun altro verrà stimolato ad aprire gli
occhi proprio dall’esempio ricevuto a suo tempo; anche se, stando alle
apparenze, sembrava che questo fosse caduto interamente nel vuoto.
Bisogna,
pertanto, che quanti sono riusciti, a prezzo di duri sforzi solitari,
ad intravedere un po’ di luce, sopportino l’ironia, il disprezzo e
l’avversione degli altri, senza stancarsi di comunicare ciò che hanno
scoperto.
Ciò
che conta sono lo spirito di servizio e la gratuità: perché
gratuitamente siamo stati aiutati a vedere un po’ di luce nelle tenebre,
e gratuitamente dobbiamo trasmetterla a nostra volta….
di Francesco Lamendola - 30/04/2012
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