ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 giugno 2012

Grazia e dis-graziati..

Due cardinali nella lista dei sospettati
Prime ammissioni del maggiordomo papale recluso da due settimane

In Vaticano vengono riferitii contatti e rapporti di amicizia del maggiordomo papale Paolo Gabriele con officiali della Segreteria di Stato. Ma anche con almeno un paio di cardinali di primissimo piano nella Curia romana, con cui intratteneva molte conversazioni. Insomma, a più persone faceva confidenze, magari anche su cosa accadeva nell’Appartamento. E si tratta di tutti contatti su cui ora si concentra l’attenzione sia degli inquirenti impegnati nell’indagine penale, sia della Commissione incaricata dal Papa e presieduta dal cardinale giurista Julian Herranz, non a caso composta da porporati, gli unici autorizzati a indagare sui pari grado. Ad accorgersi che qualcosa non funzionava è stato il segretario personale del Papa, Gaenswein, il quale, prima che Gabriele venisse arrestato, ha avuto con lui un animato colloquio, essendosi accorto che dal suo tavolo mancavano carte che erano lì poco prima.
E tra i documenti trafugati (trovati in gran quantità in casa di Gabriele) vi sarebbero non poche carte gestite proprio da don Georg. Contesta invece l’accusa di ricettazione che il Vaticano ha ventilato verso chi ha pubblicato i documenti riservati il giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del libro «Sua Santità». «Si presuppone che le fonti avrebbero rubato i documenti originali e che questi siano stati passati ai giornalisti. Tutti i documenti li ho ricevuti in fotocopia. Gli originali devono essere in Vaticano. La cessione di fotocopie non è reato». In Curia non sfugge che i documenti del libro vanno dal 2006 (anno in cui Gabriele prende il posto di Gugel) a dicembre scorso. «Dopo la condanna, scontata ma mite, e il quasi certo perdono papale, scatterà il licenziamento», si osserva. Per ora Paolo Gabriele resta in cella. Sua moglie e i tre figli abitano lì a pochi metri dalla Gendarmeria dov’è è recluso da due settimane. Nella stessa palazzina di via Sant’Egidio vivono la governante di Ratzinger, Ingrid Stampa e il ghostwriter papale monsignor Giampiero Gloder. Un gendarme all’ingresso vigila sulla loro privacy. La moglie del maggiordomo esprime il dolore per quel mercoledì di due settimane fa in cui «lo hanno portato via alle quattro di pomeriggio, da allora è lì in caserma e chissà quando uscirà». «E’ solo il primo dei numerosi interrogatori», spiegano in Segreteria di Stato a poche ore dall’apertura dell’istruttoria formale contro l’aiutante di camera del Pontefice. E aggiungono: «Con tutti i documenti riservati che aveva in casa, la sua posizione è pesante». «Il Papa può graziarlo in qualunque momento», specifica padre Federico Lombardi. In Vaticano si applica il codice di procedura penale del 1913 e a «Paoletto» è stata sollevata l’imputazione di furto aggravato in quanto reato commesso da persona che frequentava abitualmente l’abitazione del derubato (il Papa). Cioè, abuso di fiducia. Dunque, collabora con i magistrati l’aiutante di camera sospettato di essere il «corvo». Un interrogatorio lungo, durato diverse ore, in due tranche (mattina e pomeriggio). Per l’accusa di furto aggravato, in caso di condanna, rischia una pena da uno a sei anni. In Curia lo descrivono come un uomo che, pur nella sua posizione di membro della «famiglia pontificia», parlava tanto, aveva molti contatti e interlocutori dentro e fuori i confini della Città leonina: parlava con monsignori, cardinali, amici fuori dal Vaticano, tra cui anche giornalisti. Raccontava cose riguardanti il Papa, si incontrava anche nei bar all’esterno del Vaticano, e in più si era abituato, dicono nelle Sacre Stanze, a fare fotocopie di tutto, di tutto quello che passava, dialogava con più persone. Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele del Papa rischia da 1 a 8 anni di carcere per furto aggravato: la pena e’ infatti da 1 a 6 anni con una sola aggravante, da 2 a 8 se le aggravanti contstate saranno due. Lo ha precisato il giudice vaticano Paolo Papanti Pelletier, ordinario di diritto civile all’Universita’ di Tor Vergata, che e’ uno dei tre membri del Tribunale dello Stato della Citta’ del Vaticano che sara’ chiamato a giudicare l’imputato - attualmente agli arresti - in caso di un eventuale rinvio a giudizio. Se saranno contestati altri reati la pena potra’ essere leggermente aumentata, ma ad esempio non piu’ di un anno sara’ aggiunto per il reato di rivelazione di "segreto politico". "In base al Trattato Lateranense del 1929 che ha creato lo Stato della Citta’ del Vaticano (esteso 0,44 chilometri quadrati), Papa Pio XI - ha spiegato il magistrato in un briefing tenuto oggi nella Sala Stampa della Santa Sede - doveva dotarsi di uno strumento giuridico completo: per questo furono recepiti il codice penale Zanardelli del 1889, allora in vigore, e il codice di procedura penale Finocchiaro-Aprile del 1913: si tratta di testi legislativi di stampo liberale, con forti garanzie per gli imputati e pene molto miti". E’ stato poi il Codice Rocco - ha ricordato Papanti - a creare altri reati politici e contro al sicurezza dello Stato e ad aggravare le pene per quelli previsti, ma qui - ha scandito - vige il principio della legalita’: se un fatto non e’ previsto come reato dalle leggi, allora non puo’ esserci condanna". Senza entrare nello specifico dei procedimenti in corso, riguardo ai quali sara’ presumibilmente chiamato a far parte del Collegio giudicante, Papanti ha dunque molto alleggerito la situazione di Gabriele, chiarendo che i reati ipotizzati dalla stampa con pene fino a 30 anni in Vaticano non esistono. E, dunque, Gabriele paghera’ pochissimo. Quanto a un possibile perdono del Papa, Papanti ha ammesso che "puo’ intervenire in qualunque momento, anche nella fase istruttoria, ma i precedenti sono che il perdono e’ arrivato dopo la condanna definitiva, che arrivera’ con la sentenza di terzo grado". Quando? "Per la mia esperienza di sei anni di Tribunale, posso dire - ha risposto il giudice - che nessuna causa ha superato i 2 anni mezzo di lunghezza nei primi due gradi e in Cassazione non e’ previsto un nuovo processo ma solo un giudizio di legittimita’, valuta cioe’ se sentenza la di appello ha commesso errore di diritto". Attualmente, ha aggiunto, "si e’ gia’ svolta un istruttoria sommaria, condotta prima della nomina degli avvocati dal promotore di giustizia, professor Nicola Picardi, con perquisizioni e almeno un interrogatorio dell’imputato. Ora l’istruttoria formale e’ condotta dal giudice unico, professor Paolo Bonnet, che dirige indagini complesse, interroga, dispone perquisizioni e acquisisce documenti. Poi o proscioglie, se soggetto imputato si rivela estraneo ai fatti, o rinvia con sentenza se emergono fondati indizi". "Ma questo eventuale rinvio - ha tenuto a precisare il giudice vaticano - non e’ una condanna, dice solo che il caso presenta sufficienti indizi di colpevolezza". "L’istruttoria, sia sommaria che formale, non e’ pubblica - ha spiegato - a garanzia dell’imputato, del quale se non fosse trapelato non avremmo nemmeno fatto il nome, e non e’ pubblica anche a garanzia di altri soggetti che possono essere coinvolti ma poi non rinviati e che non sarebbe eticamente giusto dare in pasto all’opinione pubblica". Quanto alla durata della carcerazione preventiva, il professor Papanti ha chiarito. "50 giorni che possono essere raddoppiati se il caso e’ complesso, e dopo il rinvio puo’ durare tre anni, ma non ci si arrivera’ mai, perche’ i giudici vaticani non hanno l’aggravio di lavoro che affligge i tribunali italiani". Riguardo al problema delle aggravanti, il magistrato ha spiegato che "non esiste il concorso", ma e’ un’aggravante il fatto che un reato sia commesso ai danni di chi ti da’ fiducia. Invece il reato di rivelazione di segreti politici prevede da 1 a 3 anni (ma si applica la pena minima nel caso di somma di piu’ reati). Per eventuali "complici" di Gabriele esiste invece il reato di "ricettazione" e di "offesa al Sovrano" che puo’ essere a mezzo stampa. Dove Gabriele scontera’ la pena, se non interverra’ il perdono? "Non certo - ha risposto Papanti - in una delle camere di sicurezza della caserma dei Gendarmi:stanze di 3,5 x 4 metri, con scrittoio, letto e senza tv". E cosi’ il maggiordomo infedele dovrebbe rinunciare all’ottimo vitto della caserma e alla possibilita’ di essere accompagnato a messa in una cappella esterna, per scontare invece la pena in un carcere italiano. "In quel caso - ha chiarito Papanti - sarebbe preso in consegna dalla Polizia Penitenziaria e portato in un carcere italiano: la Gendarmeria, infatti, non puo’ svolgere nessun compito di polizia sul territorio italiano, e infatti non e’ vero che li abbia svolti in questo caso". "Per quanto attiene alla collaborazione con la giustizia italiana, e’ prevista dal Trattato, ma deve essere richiesta per rogatoria", ha concluso. E il portavoce padre Lombardi ha ripetuto: "finora non c’e state nessuna richiesta di nessun tipo di collaborazione alle indagini".

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