Polvani in aula
Al processo a carico di Claudio Sciarpelletti, l'informatico della
Segreteria di Stato imputato per "favoreggiamento" nell'ambito della
cosidetta inchiesta Vatileaks, il prossimo 5 novembre, siedera' tra i
testimoni anche monsignor Carlo Maria Polvani, il responsabile
dell'ufficio Informazione della Segreteria di Stato nonche' nipote
dell'attuale nunzio a Washington, monsignor Carlo Maria Vigano', che con
le sue lettere di protesta per il trasferimento in America e' stato
forse l'involontario detonatore di tutta la vicenda Secondo quanto
trapelato, monsignor Polvani sarebbe stato chiamato pero' come testimone
(dalla difesa) in quanto capo dell'ufficio dove lavorava Sciarpelletti e
non per un suo possibile coinvolgimento. Come e' noto, all'informatico
era stata trovata una busta indirizzata a Paolo Gabriele, sulla quale,
nel corso dell'interrogatorio seguito all'arresto del 24 maggio, il
tecnico (peraltro rilasciato dopo meno di 24 ore di fermo) aveva dato
versioni discordanti, affermando prima di averla ricevuta dallo stesso
Gabriele e poi da un monsignore della Segreteria di Stato, il cui nome
negli atti e' stato mantenuto fino ad oggi coperto. Gli altri testimoni
citati dalla difesa di Sciarpelletti sono il maggiordomo infedele del
Papa, Paolo Gabriele, che negli interrogatori ha dichiarato di essere
solo un conoscente dell'informatico e di non considerarlo un suo amico e
confidente, l'ufficiale della Guardia Svizzera William Kloter, il
comandante della Gendarmeria, generale Domenico Giani, e il gendarme
Gianluca Gauzzi Broccoletti. Questi ultimi due sono citati e fortemente
criticati nel capitolo "Napoleone in Vaticano" pubblicato da Gianluigi
Nuzzi nel libro "Sua Santita'" insieme ai documenti sottratti al Papa da
Gabriele. E - circostanza che fa riflettere - proprio una copia di quel
testo anti-Gendarmeria era contenuta nella busta sequestrata a
Sciarpelletti lo scroso maggio. Il caso Vatileaks, insomma, resta molto
intricato e infatti la sentenza pubblicata oggi assicura che "del resto
ulteriori indagini sono in corso circa la sussistenza di altre eventuali
responsabilita' nella fuga di documenti riservati".La grazia è
possibile ma non è dietro l'angolo, «modi e tempi» li deciderà il Papa,
se e quando vorrà. E anche il futuro immediato di Paolo Gabriele, il
maggiordomo condannato per furto di documenti riservati
dall'appartamento papale, non è ancora deciso: se il promotore di
giustizia vaticano non presenterà la appello la condanna diventerà
esecutiva, non si applica la condizionale, e la pena dovrà essere
scontata. In questo caso Gabriele, attualmente agli arresti domiciliari,
tornerà in una cella della caserma della gendarmeria vaticana, dove già
ha trascorso oltre 50 giorni di detenzione prima del processo. Questa
la situazione dell'ex membro della famiglia pontificia a casa del quale
sono state trovate 85 casse di documenti sottratti dallo studio di
Benedetto XVI, cioè un numero molto maggiore di quelli pubblicati nel
libro di Gianluigi Nuzzi «Sua Santità», sulla base dei quali i
collaboratori del Papa hanno cominciato a sospettare dell'aiutante di
camera. Questo il quadro della prima branca giudiziaria di Vatileaks -
l'altra, il processo al tecnico informatico Claudio Sciarpelletti
comincerà il 5 novembre - dopo la pubblicazione della sentenza che
condannava il maggiordomo a 3 anni di carcere, ridotti a un anno e mezzo
grazie alle attenuanti. La grazia, ha spiegato il portavoce vaticano
Federico Lombardi, «è possibile e probabile, ma non è possibile
prevederne né i tempi né i modi»: sarebbe un «atto del Papa, quando lo
farà, se lo farà, - ha aggiunto - ce lo dirà». Inoltre «risulta aperta
la possibilità» che il promotore di giustizia vaticano «si riservi di
continuare l'istruttoria» per «altri possibili capi di imputazione» che
risultassero contro il maggiordomo Paolo Gabriele. E la magistratura
vaticana mantiene aperto il fascicolo sulle condizioni detentive in cui è
stato tenuto il maggiordomo, perché vuole far chiarezza sulle accuse di
maltrattamenti formulate dalla difesa del condannato nei confronti
della gendarmeria vaticana, e da questa respinte. Quando la condanna di
Paolo Gabriele diventerà definitiva, bisognerà definire le questioni
amministrative: niente stipendio, ma, ha spiegato padre Lombardi,
occorrerà trovare una formula che tenga conto delle condizioni della
moglie e dei tre figli. Modifiche probabili anche per quanto riguarda la
cittadinanza, in Vaticano solitamente collegata alla funzione e alla
residenza. Il caso dunque non è affatto chiuso. Non lo è rispetto a
Paolo Gabriele, che con grazia immediata sarebbe libero di rivelare
segreti e informazioni private collegati sia ai documenti che ha
sottratto che alla vita quotidiana del Papa e della sua «famiglia»; ed è
dunque meglio che sconti almeno un po' della pena, e lo faccia
all'interno del Vaticano. Non lo è rispetto alle indagini su Vatileaks
in generale: condannato solo per furto, il maggiordomo è sfiorato dal
reato di rivelazione di segreti di Stato; nella sentenza compaiono i
nomi di due cardinali, Ivan Dias e Georges Cottier che la difesa di
Gabriele avrebbe voluto convocati dalla commissione cardinalizia che
indaga su Vatileaks; nuovi elementi potranno scaturire dal dibattimento
contro Sciarpelletti; c'è infine tutto il dossier che la commissione
cardinalizia ha consegnato al Papa l'estate scorsa, e del quale non è
stato pubblicato ancora niente, né lo sarà, probabilmente, prima della
conclusione del processo al tecnico informatico.
Giacomo Galeazzi VATICANISTA DE LA STAMPA
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