Una spiegazione chiara ed intelliggibile dello staus queastionis
Il motivo di contrasto fra la Fraternità San Pio X e le autorità romane è
il suo opporsi all’insegnamento attuale della Chiesa, che fonda le sue
radici nell’ultimo concilio. Tale opposizione è da noi motivata dal
fatto che si insegnano ora nuove dottrine in contrasto con
l’insegnamento passato. Il Vaticano ci accusa per questo di avere una
concezione erronea della Tradizione e del magistero della Chiesa.
Secondo Giovanni Paolo II la posizione della Fraternità San Pio X ha
come origine il fatto che non si consideri la Tradizione come qualcosa
di vivente, rimanendo fissati sul passato. Così si esprimeva nel 1988,
all’occasione della consacrazione dei nostri quattro vescovi: «La
radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e
contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene
sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione».[1]
A sua volta Benedetto XVI accusa la Fraternità San Pio X di essersi
fissata al magistero pre-conciliare e di non riconoscere appunto il
magistero del Concilio e del post-concilio: «Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità».[2]
La Tradizione deve essere vivente, cioè interpretata dal magistero
attuale che ci dice oggi ciò che è conforme o meno alla fede. Chi vuole
opporre la Tradizione di ieri al magistero di oggi si erge a giudice
della Chiesa e del suo insegnamento, rimpiazzandolo appunto con il suo
personale giudizio.
Per sviscerare il problema, rispondere a questa obiezione e comprendere
in cosa consista questa opposizione che sembra sia fondamentale
risolvere, prima di poter giungere ad una soluzione giuridica fra la
Fraternità San Pio X e Roma, è necessario definire e chiarire i concetti
di Tradizione e magistero.
La Rivelazione
Poiché la Tradizione è la trasmissione della Rivelazione divina tramite
il magistero, cominciamo con il definire tale nozione. La Rivelazione è
l’atto con cui Dio si manifesta all’uomo. Egli si fa conoscere prima di
tutto tramite la creazione dell’universo, che riflette gli attributi
divini per sé invisibili, ed è questa la Rivelazione naturale.
In modo particolare Dio si è manifestato per mezzo dei profeti e di Gesù
Cristo, facendoci conoscere direttamente verità di per sé naturali,
come l’immortalità dell’anima, ma anche verità che superano la ragione
dell’uomo come tutti i misteri soprannaturali, per esempio la Santissima
Trinità e l’Incarnazione.
La Rivelazione soprannaturale si definisce quindi come un insegnamento
fatto da Dio agli uomini in ordine alla loro santificazione e alla vita
eterna.[3] Essa si è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo[4] e la
Chiesa ricevette da Gesù Cristo il mandato di annunciarla a tutte le
genti perché, tramite la fede nelle verità rivelate, gli uomini
potessero giungere alla salvezza.
Compito della Chiesa è quindi trasmettere la Rivelazione intatta e
approfondirla, attingendo dalle sue fonti che sono la Sacra Scrittura e
la Tradizione, senza alterarla.[5]
La Tradizione
Il termine “tradizione” è di origine greca e significa trasmissione,
dottrina orale. Nel senso teologico si può definire come la parola di
Dio, concernente la fede e la morale, non scritta ma trasmessa a viva
voce da Gesù, dagli apostoli e da questi ai loro successori fino a noi.
Parola “non scritta” non nel senso che non possa essere contenuta in
alcuno scritto, ma per differenziarla dalla Sacra Scrittura, altra fonte
della Rivelazione divina, che appunto è stata scritta sotto
l’ispirazione divina.
La Tradizione si dice divina quando l’insegnamento venne direttamente da
Gesù Cristo; divino-apostolica quando esso fu dato agli apostoli per
ispirazione dello Spirito Santo secondo la promessa di Gesù: «Il
Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto».[6]
Contro l’eresia protestante che nega la Tradizione come fonte della
Rivelazione, il Concilio di Trento ha definito che la dottrina
riguardante la fede e la morale «si contiene tanto nei libri scritti
(Sacra Scrittura) quanto nelle tradizioni non scritte» e quindi bisogna
ricevere con «uguale pietà e amore e riverenza» sia l’una che l’altra
fonte della Rivelazione.[7]
Gesù, dopo aver predicato (e non scritto) la sua dottrina, affidò agli
apostoli la missione non di scrivere ma di propagare oralmente quanto
avevano udito dalle sue labbra o avrebbero imparato dai suggerimenti
dello Spirito Santo. «Andate dunque ad insegnare a tutte le genti» (Mt
28,18). «Andate per tutto il mondo e predicate l'evangelo a ogni
creatura» (Mc 16,15).
I principali strumenti attraverso i quali si è conservata la Tradizione
divina sono le professioni di fede, la sacra liturgia, gli scritti dei
Padri, gli atti dei martiri, la prassi della Chiesa, i monumenti
archeologici. La Rivelazione divina quindi ci proviene da due fonti: la
Tradizione e la Sacra Scrittura. L’organo che ce la trasmette intatta è
il magistero infallibile della Chiesa.[8]
Il magistero
Nel senso etimologico il magistero è una funzione che ha per scopo di
istruire. Poiché l’oggetto del magistero ecclesiastico sono le verità di
fede rivelate, questa istruzione si farà essenzialmente per
testimonianza: trasmissione delle verità di fede ricevute da Dio per
permettere agli uomini di giungere al fine per cui sono stati creati: la
salvezza eterna.
Il magistero si può definire come il potere conferito da Gesù Cristo
alla sua Chiesa in virtù del quale essa è costituita unica depositaria e
autentica interprete della Rivelazione divina da proporre agli uomini
come oggetto di fede per la loro salvezza eterna, in maniera infallibile
in quanto assistita divinamente da Gesù Cristo.[9] Quando si parla di
magistero è opportuno distinguerne il soggetto (il Papa ed i vescovi)
dal contenuto (trasmissione e approfondimento del deposito rivelato) e
infine dal suo modo di esercizio (infallibile o semplicemente
autentico).
Chi insegna?
Il soggetto di tale potere è il Papa cui il Signore ha affidato il
compito di pascere le sue pecorelle, aiutato dai vescovi. È questa la
Chiesa insegnante. Si tratta di un soggetto umano e quindi volontario,
assistito da Dio, nella missione che gli è stata affidata, nella misura
in cui vorrà sottomettersi a questa assistenza divina ed esercitare il
potere di insegnare.
L’oggetto del magistero
L’oggetto del magistero sono le verità rivelate da trasmettere,
approfondire e difendere, senza alcuna variazione né cambiamento. Il
magistero della Chiesa, in quanto contenuto, è essenzialmente
tradizionale e costante.
Fra l’insegnamento degli apostoli e quello dei loro successori vi è una differenza importante che il card. Franzelin sintetizza con questo parole: «L’apostolato fu istituito per fondare la Chiesa predicando tutta la verità rivelata. Per questo i successori degli apostoli non possono aver per funzione di rivelare ancora un’altra verità; devono al contrario conservare e predicare nella sua integrità e nel suo significato autentico tutta la verità che gli apostoli hanno ricevuto». In altre parole il magistero degli apostoli è stato l’organo della Rivelazione mentre il magistero della Chiesa è quello della Tradizione nel suo senso più etimologico, cioè quello della trasmissione del deposito ricevuto. Per questo una tale trasmissione dipende della Rivelazione che è la sua regola ed il suo principio fondamentale. «I successori degli apostoli – continua il nostro autore – appaiono sempre come i testimoni ed i dottori incaricati di proporre unicamente ciò che hanno ricevuto dagli apostoli. Il loro incarico apostolico ed il loro compito infatti ha per oggetto il rimanere fedeli all’insegnamento che hanno ricevuto e alle verità che sono state loro affidate dagli apostoli».[10]
Fra l’insegnamento degli apostoli e quello dei loro successori vi è una differenza importante che il card. Franzelin sintetizza con questo parole: «L’apostolato fu istituito per fondare la Chiesa predicando tutta la verità rivelata. Per questo i successori degli apostoli non possono aver per funzione di rivelare ancora un’altra verità; devono al contrario conservare e predicare nella sua integrità e nel suo significato autentico tutta la verità che gli apostoli hanno ricevuto». In altre parole il magistero degli apostoli è stato l’organo della Rivelazione mentre il magistero della Chiesa è quello della Tradizione nel suo senso più etimologico, cioè quello della trasmissione del deposito ricevuto. Per questo una tale trasmissione dipende della Rivelazione che è la sua regola ed il suo principio fondamentale. «I successori degli apostoli – continua il nostro autore – appaiono sempre come i testimoni ed i dottori incaricati di proporre unicamente ciò che hanno ricevuto dagli apostoli. Il loro incarico apostolico ed il loro compito infatti ha per oggetto il rimanere fedeli all’insegnamento che hanno ricevuto e alle verità che sono state loro affidate dagli apostoli».[10]
L’approfondimento del deposito rivelato
Il compito del magistero non consiste unicamente nel trasmettere le
verità di fede ma anche nell’approfondirle, cioè darne ai fedeli una
comprensione più grande. Ciò deve farsi non nel senso di una evoluzione
eterogenea del dogma, ma soltanto tramite una comprensione più grande di ciò che è già stato rivelato.
Il magistero contribuisce al passaggio da una conoscenza implicita ad
una conoscenza più esplicita della fede. Così si esprime padre Marin
Zola nel suo studio magistrale su dogma cattolico: «Gli apostoli non
hanno comunicato alla Chiesa una spiegazione perfetta di tutto il senso
implicito (della Rivelazione) che conoscevano esplicitamente. Però
hanno lasciato il magistero dogmatico permanente, prolungamento perpetuo
del loro magistero divino, per spiegare o manifestare sempre più
“l’implicito” del deposito rivelato, a seconda che lo avrebbero
richiesto le eresie, le controversie o le necessità di ogni epoca».[11]
Un tale approfondimento, come dichiara il Concilio Vaticano I, deve
prodursi «nella stessa credenza, nello stesso senso, nello stesso
pensiero». Non è mai possibile allontanarsi dal senso delle verità di
fede definite «sotto il pretesto o in nome di una comprensione più
approfondita».[12]
Il modo dell’insegnamento
Questa assistenza divina alla Chiesa è differente a secondo di come essa
esercita il suo potere magisteriale poiché esso dipende dalla volontà
del soggetto. Il Papa può insegnare in maniera infallibile, in modo
semplicemente autentico, si può accontentare di riferire opinioni
personali, oppure, e questo sembra essere il nocciolo del problema del
concilio Vaticano II, limitarsi a dare consigli pastorali.
Il magistero infallibile
Magistero infallibile è quello in cui il Papa è assistito divinamente
perché possa insegnare senza errore la verità rivelata. Egli gioisce del
carisma dell’infallibilità nel suo atto solenne quando, da solo ex cathedraoppure
quando si trova alla testa di tutto il corpo dei vescovi riuniti in
concilio ecumenico, definisce una dottrina sulla fede o la morale in
quanto pastore supremo, da tenersi da tutta la Chiesa.[13]
Nel concilio il soggetto dell’infallibilità è sempre il Papa, capo di
quella persona morale che è il concilio, anche se il modo di
insegnamento è diverso (non da solo ma appunto in unione con tutti i
vescovi riuniti). Non vi sono due soggetti distinti del carisma
dell’infallibilità ma uno solo, il Papa, che può insegnare in modi
diversi. Il concilio è quindi formalmente soggetto del primato in
ragione del Papa poiché, secondo il Concilio Vaticano I[14], il soggetto
del primato è unico ed è il Papa.[15]
Il concilio ecumenico è quindi infallibile quando intende definire una
verità di fede perché partecipa dell’infallibilità del Papa. Tale
volontà di definire si può constatare nei suoi decreti quando si afferma
che una verità deve essere creduta fermamente dai fedeli o ancora
quando la si deve ricevere come un dogma di fede; quando si condanna con
l’anatema l’errore contrario, quando la proposizione contraddittoria
alla verità di fede insegnata è qualificata come eretica.
Il Papa poi può anche definire infallibilmente delle dottrine e
condannare errori senza affermare esplicitamente che sono da tenersi di
fede. In questo caso chi le nega non può considerarsi formalmente
eretico, ma pecca gravemente contro la fede.[16]
Il magistero ordinario e universale
Il magistero infallibile del Papa si esercita in maniera ordinaria,
quando egli insegna alla testa ed in unione con il corpo episcopale
disperso nel mondo. È questo il Magistero ordinario universale (MOU).
Lo si chiama ordinario perché è dato al di fuori delle circostanze eccezionali delle definizioni ex cathedra e
del concilio ecumenico. Esso si esercita tutti i giorni tramite la
predicazione abituale dei pastori. È universale perché, per gioire della
nota di infallibilità, deve esercitarsi, dal Papa e dai vescovi a lui
sottomessi e dispersi nel mondo, in maniera concorde ed unanime.
Questa unanimità non deve essere soltanto considerata nello spazio, cioè
tutti i vescovi viventi uniti al Papa, ma anche nel tempo per ciò che
riguardo la dottrina insegnata. Esso è per definizione tradizionale, nel
senso che si fa eco oggi della dottrina insegnata nei secoli.
Non definisce, come lo fa il magistero solenne, ma propone semplicemente l’oggetto della fede e lo trasmette. Un elemento che secondo Pio IX (Tua libenter)
permette di riconoscere le verità che sono proposte come dogmi dal
magistero ordinario della Chiesa dispersa è l’accordo unanime e costante
dei teologi: «Infatti anche se si tratta di quella sottomissione che si
deve prestare con un atto di fede divina, tuttavia questa non deve
essere limitata a quelle cose che sono state definite con espliciti
decreti dei concili o dei pontefici romani e di questa sede apostolica,
ma deve essere estesa anche a quelle cose che, per mezzo del magistero
ordinario di tutta la chiesa diffusa su tutta la terra, sono trasmesse
come divinamente rivelate e quindi, per l’universale e costante
consenso, dai teologi cattolici sono considerate come appartenenti alla
fede» (Dz 2879).
La definizione dogmatica suppone l’insegnamento del magistero
universale; essa precisa che tale verità, già insegnata dalla Chiesa,
deve essere creduta come definita di fede divina e cattolica.
Regola prossima della fede
La Sacra Scrittura e la Tradizione sono quindi la fonte e la regola
remota della fede, mentre la regola prossima è il magistero della
Chiesa. Si tratta del magistero infallibile e definitivo che nel corso
dei secoli ci ha trasmesso intatto ed in maniera sempre più
intelligibile il deposito rivelato, senza mai alterarlo, e che deve
continuare nella sua opera fino alla fine del mondo.
Sant’Agostino, facendosi eco di tutto l’insegnamento della Tradizione,
affermava che egli non crederebbe neppure al Vangelo se il Magistero
della Chiesa non glielo proponesse a credere.[17] Lutero ha osato
impugnare questa verità vissuta già da 15 secoli di cristianesimo e,
rinnegando il magistero della Chiesa, ha proclamato come unica regola di
fede la Sacra Scrittura affidata all'interpretazione individuale dei
fedeli. Le innumerevoli sette protestanti, con lo smarrimento e la
degenerazione dottrinale che le caratterizza, sono una prova evidente
del fallimento di quel falso principio.[18]
Il magistero semplicemente autentico
Il magistero semplicemente autentico è quello che si esercita senza
impegnare l'infallibilità. La stessa definizione dell’infallibilità
pontificia data dal Concilio Vaticano I, stabilendo le condizioni nelle
quali il Papa è infallibile, lascia aperta la possibilità che, al di
fuori di esse, non vi sia questa assistenza. Questo può verificarsi
quando non vi è giudizio positivo sulla dottrina rivelata, ma il Papa
vuol semplicemente dirimere una controversia; oppure vi è un giudizio
positivo ma unicamente prudenziale e non definitivo.[19]
Gli atti di un insegnamento non infallibile reclamano comunque un
assenso religioso interno, cioè dell’intelletto sotto la mozione della
volontà. Questo assenso può essere sospeso solo nel caso in cui appare
affermata una dottrina chiaramente in contrasto con il magistero
infallibile.
Quando si constatasse «un’opposizione precisa tra un testo di enciclica e
le altre testimonianze della Tradizione apostolica» allora, per il
cattolico che abbia approfondito la questione, è possibile sospendere o
negare il suo assenso al documento papale.[20]
Magistero vivente e perennità della fede
Poste queste premesse cerchiamo ora di rispondere alle accuse mosse alla
Fraternità San Pio X di «non tener conto del carattere vivo della
Tradizione» e di «voler congelare l’autorità magisteriale della Chiesa
all’anno 1962».[21]
Quando si parla di “carattere vivo della Tradizione”, se si intende la
capacità che ha l’insegnamento di Gesù e degli apostoli, trasmessoci
dalla Chiesa fino ad oggi tramite il suo magistero infallibile e quindi
immutabile, di dare la vita spirituale alle anime e di vivificare la
società contemporanea, siamo i primi ad aderire a questa verità
incontestabile.
Se si intende invece il concetto di “tradizione vivente” come una
caratteristica del deposito rivelato trasmesso dalla Chiesa di
trasformarsi ed adattarsi ai tempi e alle circostanze fino al punto di
essere in contraddizione con l’insegnamento infallibile del passato,
allora siamo di fronte alla teoria modernista dell’evoluzione dei dogmi.
Se per “voler congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno
1962” si vuol affermare che la Chiesa non ha più potere di insegnare a
partire da quell’anno, chiaramente rigettiamo quest’errore e
riconosciamo che la Chiesa anche oggi ha il potere di insegnare, di
trasmettere e approfondire con il suo magistero infallibile la verità, e
questo fino alla fine del mondo.
Ma se si intende con questa affermazione che l’autorità della Chiesa di
oggi avrebbe il potere di insegnare ed obbligare a credere qualche cosa
di diverso da quello che il magistero ha già definito infallibilmente,
chiaramente ci troviamo di fronte ad una concezione erronea del
magistero, slegata dal motivo formale per cui fu istituito da Nostro
Signore, cioè la trasmissione di ciò che già è stato rivelato,
approfondendolo «nello stesso senso e nello stesso pensiero».
L’attributo “vivente” può concernere il soggetto dell’atto del
magistero, cioè il Papa ed i vescovi, oppure riguardare il contenuto del
loro insegnamento. Per quel che è del soggetto, “vivente” si oppone a
“postumo”. Il magistero postumo è quello esercitato con autorità da
tutti i Papi e vescovi del passato, che continua comunque ad esercitarsi
tramite i loro scritti che, in quanto infallibili, sono di loro natura
immutabili. Il magistero vivente invece è l’insegnamento attuale dei
pastori della Chiesa che si esercita principalmente tramite la
predicazione orale fatta dai ministri legittimi, e per i loro scritti.
Ma quanto al contenuto dell’insegnamento, le professioni di fede, i
dogmi, tutte le verità definite ed insegnate infallibilmente nel
passato, continuano, tramite lo scritto, a far parte del magistero
vivente della Chiesa e nessuna autorità ecclesiastica potrà mai
legittimamente contraddirle o insegnare l’opposto.
Il magistero vivente può, come abbiamo visto, approfondire sempre di più
le verità di fede già rivelate, darne una comprensione sempre più
profonda, ma sempre nello stesso senso e nella stessa linea di ciò che è
già stato insegnato in maniera definitiva.
In questo senso l’attributo “vivente” è una caratteristica essenziale
del magistero della Chiesa. I pastori di oggi si fanno eco di quelli di
ieri e quelli di domani continueranno ad annunciare il messaggio
ascoltato da Gesù e dagli apostoli fino alla fine del mondo,
difendendolo dagli errori e dalle eresie, per generare la fede negli
uomini e dare così loro la possibilità di raggiungere la salvezza
eterna.
Libero esame o difesa della fede?
“Come i protestanti anche voi giudicate il magistero della Chiesa, ma al posto della Sola Scriptura utilizzate il criterio Sola Traditione,
come se non fosse la Chiesa ad insegnarci ciò che è contenuto nella
Tradizione. Sostituite così il vostro giudizio a quello della Chiesa e
cadete nell’errore del libero esame”. Questa l’accusa ricorrente da
parte di alcuni dei nostri oppositori.
Si risponde facilmente a una tale obiezione che il criterio di giudizio
non è soggettivo. Non è l’individuo che può ergersi a giudicare il
magistero attuale, secondo le sue idee personali.
Il criterio di giudizio, poi, non si può neppure assumere unicamente da
una sorgente del deposito rivelato, come fanno i protestanti con la
Sacra Scrittura. Tale criterio può essere soltanto tutto il deposito
rivelato cioè Sacra Scrittura e Tradizione come ci è stata trasmessa infallibilmente appunto dal magistero Chiesa.
Quando una contraddizione appare in maniera manifesta alla ragione fra
una dottrina proposta con ciò che sono obbligato a credere, devo far
riferimento a ciò che la Chiesa, guidata dal magistero, ha sempre
creduto.[22] La ragione manifesta questa opposizione, ma chi permette di
portare il giudizio sull’errore è il magistero definitivo della Chiesa,
criterio assoluto e definitivo di verità.
Concretamente, se un giorno una qualunque autorità nella Chiesa,
compreso il Papa, affermasse che nella Santissima Trinità ci sono
quattro persone, non potrei essere tacciato di libero esame se
affermassi che tale insegnamento è falso, perché il mistero della
Santissima Trinità è già stato definito in maniera irrevocabile dalla
Chiesa e quindi nel futuro essa potrà soltanto cercare di approfondire
questo dogma, ma mai insegnare il contrario di ciò che ha già insegnato
infallibilmente.
Ora vi è palese contraddizione fra l’insegnamento tradizionale della
Chiesa e numerose nuove dottrine propagate dal Concilio Vaticano II e
nel post-concilio come è stato dimostrato in numerose pubblicazioni e
come teologi di rilevanza, anche nell’ambito della Chiesa ufficiale,[23]
hanno anche recentemente messo in rilievo. In questa sede sarà
sufficiente mostrare, con qualche citazione, come questo disaccordo è
riconosciuto persino da personalità di spicco della Chiesa, che hanno
partecipato attivamente all’ultimo concilio.
«Non si può negare che la Dichiarazione sulla libertà religiosa dica
materialmente altra cosa che il Sillabo del 1864 e anche più o meno il
contrario».[24]
«Se si cerca una diagnosi globale del testo (Gaudium et spes), si
potrebbe dire che è (unitamente ai testi sulla libertà religiosa e sulle
religioni del mondo) una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di
contro-sillabo».[25]
«Si potrebbe fare una lista impressionante delle tesi insegnate a
Roma prima del Concilio come unicamente valide e che furono eliminate
dai Padri del concilio».[26]
«È chiaro, sarebbe vano nasconderlo, il decreto conciliare Unitatis
Redintegratio afferma su più punti altra cosa che “Fuori dalla Chiesa
non vi è salvezza”, nel senso in cui si è inteso questo assioma durante
dei secoli. (…) Lumen Gentium ha abbandonato la tesi che la Chiesa
Cattolica sarebbe Chiesa in maniera esclusiva».[27]
«In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a
capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa
riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di
liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano
necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a
una determinata realtà in se stessa mutevole. (…) Il Concilio Vaticano
II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e
certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche
corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità
ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera
identità».[28]
Di fronte a questi cambiamenti che toccano la fede e sono alla radice
della grave crisi che la Chiesa sta subendo, è doveroso manifestare
pubblicamente la propria opposizione, alla luce del vero magistero vivo
della Chiesa che è il suo insegnamento costante, infallibile e
definitivo, il solo capace di illuminare l’oscurità e l’incertezza
dottrinale contemporanea.
da La Tradizione Cattolica anno XXIII n° 2
[1] Giovanni Paolo II, Motu proprio Ecclesia Dei afflicta del 2 luglio 1988
[2] Benedetto XVI, Lettera ai vescovi, 10 marzo 2009
[3] Pietro Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica, ed. Studium 1952 p. 293
[4] Il decreto Lamentabili di S. Pio X nella sua 21° proposizione condanna l’errore opposto.
[5] Concilio Vaticano I, Costituzione Dei Filius, c. 4; DS 3020
[6] Gv 14,26
[7] Sess. 4
[8] Cfr. Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica p. 332 et ss.
[9] Cfr. Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica p. 204
[10] Tesi 22
[11] Marin Sola, L’évolution homogène du dogme catholique n° 59
[12] Conc. Vat. I Dei Filius cap. 4; DS 3020
[13] Concilio Vaticano I, Pastor aeternus, c. 4
[14] Pastor aeternus cap 3 Dz 3059
[15] La nuova teoria proposta da Lumen gentium (cap. 3, 22)
secondo cui il corpo dei vescovi unito al Papa sarebbe, oltre al Papa
solo, un altro soggetto permanente ed ordinario del potere supremo, è
totalmente contraria all’insegnamento tradizionale della Chiesa.
[16] Non è stata ancora definita l’infallibilità per ciò che non è
presentato dal Papa come di fede divina. Marin Sola, L’Evolution
homogène du dogme catholique, T. I n° 269 p. 472
[17] Contra ep. fundam. C. 5, PL, 42, 176
[18] Cfr. Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica p. 204
[19] Billot, De Ecclesia Q 14 Tesi 31, 1 p. 640
[20] Arnaldo Xavier da Silveira, La nouvelle messe de Paul VI: qu’en penser? DPF 1974, p. 300 et ss.
[21] Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, vedi introduzione all’articolo.
[22] È il criterio che ci propone san Vincenzo di Lerino: «Quod semper quod ubique quod ab omnibus».
[23] Come per esempio mons. Brunero Gherardini e padre Serafino Lanzetta. Leggere in particolare Lo hanno detronizzato, mons. Marcel Lefebvre, ed. Amicizia Cristiana 2009.
[24] Y. Congar, La crise de l’Eglise et Mgr Lefebvre, le Cerf 1977, p. 54
[25] I principi della teologia cattolica, Card. Ratzinger 1982
[26] Card. Suenens, I.C.I del 15 maggio 1969
[27] Congar, Essais oecumeniques, le Centurion 1984 p. 216
[28] Benedetto XVI, Discorso alla Curia, 22-12-2005
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