Dopo l'articolo pubblicato ieri, "Mistica
e misconosciuta. Il caso di Maria Valtorta", di Emilio Biagini,
pubblichiamo ora l'autorevole intervento di P.Serafino M. Lanzetta, FI, che
ringraziamo per il suo prezioso contributo su questo argomento.
PD
IL “CASO VALTORTA” TRA CONSENSI E CONDANNE. COME
ORIENTARSI?
di P. Serafino M. Lanzetta, FI
Ancora oggi Maria Valtorta (1897-1961) e la sua Opera
letteraria sono oggetto di posizioni contrastanti: di dubbi e prevenzioni
accanto a notevoli interessamenti, quando non a veri e propri vagheggiamenti.
Vi sono pro e contro. Al punto che l’editore dell’Isola del Liri, E. Pisani, ha
voluto curare un volume in questo senso, riportando i giudizi negativi, di cui
dà un’interpretazione e i pareri favorevoli.
In quest’intervento mi concentro solo sull’opera principale
di M. Valtorta, che in un primo tempo prese nome di Poema dell’Uomo-Dio,
oggi invece ha un titolo definitivo, L’Evangelo come mi è stato
rivelato. Non ho nessuna pretesa di dare un verdetto, ma solo di trovare un
“filo rosso” in questa lunga e intrecciata vicenda, soprattutto allo scopo di
orientare al meglio il lettore cattolico.
Quest’Opera si compone di 10 volumi e si presenta come un
“completamento” dei Vangeli, per le numerose e dettagliate descrizioni di
luoghi, persone, costumi, particolari anche sottilissimi, dell’epoca di Gesù.
Soprattutto è messa in forte rilievo la figura di Giuda e il comportamento del
Signore nei suoi confronti: un mistero che si ripete sovente e che rappresenta
la ferita più acuta del Cuore di Cristo. Valtorta presenta la sua Opera nata da
visioni o dettature soprannaturali. Si fa largo uso di allocuzioni del tipo:
«Dice Gesù», mentre la scrittrice è definita «piccolo Giovanni», ovvero
discepola prediletta. Svariate volte accade a livello letterario – questo è il
rischio principale nel lettore – di porre quest’Opera, come divinamente dettata
o ispirata, in contiguità con i Vangeli canonici, quasi come un quinto Vangelo.
L’Opera non può in nessun modo essere contigua ai Vangeli nel senso che li
completi quanto al contenuto o alla forma. Scartando subito l’ipotesi, come
erronea, di un’opera che si situi sullo stesso livello della Rivelazione
pubblica (quella fatta da Cristo agli Apostoli finché erano in vita e contenuta
nella S. Scrittura e nella Tradizione orale), resta da chiarire se
effettivamente si tratta di rivelazioni soprannaturali e perciò di parole
uscite direttamente dalla bocca del Signore oppure di un’opera letteraria
dell’autrice, con tratti di elevata mistica e spiritualità.
Alla fine del 10° volume si riportano le sette ragione
(tutte eccellenti) per le quali è stata scritta l’Opera. Si risponde alle
possibili obiezioni, una di queste, propria la possibilità di vederla come
un’aggiunta alla Rivelazione. Si dice giustamente «che non fu con quest’opera
fatta aggiunta alla Rivelazione, ma ricolmate le lacune che si erano prodotte
per cause naturali e voleri soprannaturali». Ricolmare le lacune, ancora una
volta, si deve situare non sul piano pubblico dei Vangeli ma su quello del
contributo privato, che quindi non impegna in nessun caso la fede teologale.
Subito dopo, però, verso la fine del commiato all’Opera, si aggiunge un
elemento che lascia pensierosi. È Gesù che si rivolge a Valtorta e le dice:
«Giovanni scrisse quelle parole, come te scrivesti tutte quelle riportate
nell’Opera, sotto dettatura dello Spirito di Dio. Non vi è nulla da aggiungere
o togliere, come non vi fu nulla da aggiungere o togliere alla orazione del Padre
nostro e alla mia preghiera dopo l’Ultima Cena». Mentre rimane, così
dicendo, ancora in bilico la chiara distinzione tra Vangeli e Opera
valtortiana, sorprende l’accento sulla dettatura per i Vangeli canonici. Non si
tratta di dettatura ma di ispirazione, che è radicalmente diverso.
Come dicevo, ci sono e ci sono stati pro e contro. Tra i
responsi favorevoli all’Opera di Valtorta troviamo un giudizio molto equo di
Mons. Ugo Lattanzi, professore alla Lateranense e perito al Vaticano II, il
quale dice:
«Secondo il mio modesto parere, i volumi, sfrondati di
alcune esuberanti descrizioni, purgati e potati delle scene che ho detto (scene
che a suo giudizio lasciavano perplessi), e corretti nelle espressioni
“insolite”, potrebbero essere pubblicati come “Vita romanzata di Gesù”,
naturalmente senza allusioni a presunte rivelazioni non dimostrate».
Il Card. Siri, richiestogli di comporre una prefazione al
testo, di dare cioè una sorta di imprimatur al primo volume, in data 6 marzo
1956, risponde dicendo di aver avuto «un’impressione eccellente» dal testo, e
faceva un’osservazione interessante: «la gente parla con una andatura
letteraria del nostro tempo, non di quel tempo». Comunque non si sentì di fare
una prefazione, dal momento che l’Opera era stata avocata a sé dalla Suprema
Congregazione del S. Uffizio.
Non fu possibile ottenere l’imprimatur all’Opera. Così il S.
Uffizio, con decreto del 16 dicembre 1959, la condannava inserendola
nell’Indice dei Libri proibiti. Le motivazioni erano essenzialmente due: non vi
era l’imprimatur nella stampa anonima dei quattro volumi e si trattava di una
«lunga, prolissa vita romanzata di Gesù». con Paolo VI sarà abolito l’Indice,
tuttavia il tenore della condanna conserverà il suo peso morale.
Accanto a ciò però è da notare un interessamento
straordinario all’Opera valtortiana da parte di due illustri persone: il b.
Gabriele Allegra, O.F.M. e il p. Gabriele M. Roschini, O.S.M. Il p. Allegra,
grande biblista e traduttore della Bibbia in cinese, ne consigliava la lettura
e vi vedeva altresì uno strumento prezioso sia a livello scientifico che
spirituale. Il p. Roschini, invece, all’inizio della sua opera mariologica, La
Madonna negli scritti di Maria Valtorta (1973), confessa che dopo
mezzo secolo di ricerca, di studi e d’insegnamento sulla Madonna, mai prima
d’ora aveva incontrato un vero capolavoro: un’idea così chiara, così viva, così
completa del Capolavoro di Dio, la Vergine Maria. Roschini presenta la Valtorta
come una delle più grandi mistiche contemporanee.
Il giudizio ecclesiastico sull’Opera valtortiana, dopo la dura
sentenza dell’Indice, in realtà non è cambiato sostanzialmente. Nel 1985,
l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Card.
Ratzinger, scrive al Card. Siri di Genova. La lettera era stata sollecitata dal
p. Giuseppe Losacco, O.F.M. capp., residente nella diocesi genovese, che si era
rivolto alla CDF per chiedere chiarificazioni in merito agli scritti di Maria
Valtorta. Il Card. Ratzinger conferma che la messa all’Indice dell’Opera
valtortiana conserva «tutto il suo valore morale» e aggiunge che «non si
ritiene opportuna la diffusione e raccomandazione di un’Opera la cui condanna
non fu presa alla leggera ma dopo ponderate motivazioni al fine di
neutralizzare i danni che tale pubblicazione può arrecare ai fedeli più
sprovveduti». Gli interpreti della lettera leggeranno il lemma “sprovveduti” in
senso restrittivo, così da favorire invece la conoscenza dell’Opera a quelli
provveduti. Chi sarebbe veramente sprovveduto?
Ad ogni modo, la cautela verteva sulla possibilità di
confondere il racconto della Valtorta con i Vangeli. Infatti, a tal proposito è
da rilevare un altro intervento, questa volta della Conferenza Episcopale
Italiana, ad opera dell’allora Segretario Mons. Tettamanzi. Così scriveva
Tettamanzi all’editore dell’Opera valtortiana:
«Proprio per il vero bene dei lettori e nello spirito di un
autentico servizio alla fede della Chiesa, sono a chiederLe che, in
un’eventuale ristampa dei volumi, si dica con chiarezza fin dalle prime pagine
che le “visioni” e i “dettati” in essi riferiti non possono essere ritenuti di
origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme
letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a suo modo, la vita di
Gesù».
Il punto delicato del “caso Valtorta” è e rimane proprio
questo: si tratta di visioni e dettature soprannaturali oppure è un’opera umana
sebbene spiritualmente elevata? Ogni giudizio personale non può che allinearsi
alla chiarezza delle parole dell’allora Mons. Tettamanzi. Il contrario,
infatti, non consta. Non si può dire che si tratta di rivelazioni
soprannaturali, aventi per origine immediata Gesù Cristo o la SS. Vergine: non
lo si può escludere in linea di principio (almeno in modo mediato, in ragione
della vita santa dell’autrice e di eventuali carismi mistici), ma in nessun
caso si può affermarlo categoricamente e per ogni pagina che compone i dieci
volumi. Ci sono elementi che fanno pensare a un’opera di altissimo valore
letterario e di grande aiuto spirituale per tanti (non per tutti, ma per coloro
che ne traggono beneficio spirituale); ma di qui concludere sulla sua certa
origine soprannaturale è scorretto, fino a quando la competente autorità
ecclesiastica non l’abbia espressamente manifestato.
In altre parole, non si può leggere la Valtorta pensando di
ascoltare allo stato puro le parole di Gesù Cristo o della Madonna. Sono
interpretazioni dell’autrice, alla quale non mancava una dovizia narrativa e
una grande capacità di scrittura. Basti ricordare che scrisse, prima dei
fenomeni mistici del Poema, su ordine del suo direttore spirituale, il p.
Migliorini, in meno di due mesi sette quaderni di suo pugno, dando prova di un
grande talento di scrittrice.
Di più, non si può invocare come veridicità soprannaturale
dell’Opera le tantissime e precise indicazioni geografiche, topografiche,
storiche, di usi e tradizioni dell’epoca, contro una cultura pressoché
elementare della scrittrice e la non consultazione di fonti o di materiale
scritturistico a livello scientifico. Questi elementi, che sono presenti,
depongono piuttosto a favore di un’opera esimia sotto molti punti di vista, ma
non sono per sé prova dell’ispirazione soprannaturale del
Signore. Infatti, se si usasse solo questo metro, sullo stesso piatto della
bilancia andrebbero messe anche quelle pagine che risentono di ridondanze, di
sentimenti eccessivi, di descrizioni prolisse – a mio personalissimo giudizio,
anche alcuni passaggi in cui poco c’è di teologico – che molto si distanziano
dalla sobrietà dei Vangeli e che invece sono indice di un pensiero tutto femminile
e contemporaneo alla scrivente.
Il giudizio più lungimirante a tal proposito rimane quello
di S. Pio da Pietrelcina, riportatomi da alcuni suoi figli spirituali. P. Pio
diceva grossomodo così: «Leggi, se ti fa del bene». Anche Pio XII aveva detto
qualcosa di simile, quando, molto prima che scoppiasse la bufera con il S.
Uffizio, disapprovò una prefazione che parlava di fenomeno soprannaturale ma
disse di pubblicare l’opera così com’era. Chi leggeva avrebbe capito. Così si
evitano due estremi dannosi per la vita cristiana: un esaltante fanatismo, o
una presa di posizione aprioristica e pregiudizievole.
LA VALSTORTA PRUOMOVE PONZIO PILATO A PROCONSOLE. SOLO QUESTO BASTA E AVANZA PER
RispondiEliminaCAPIRE CHE RACCONTA BALLE.
LUCIANO