ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 18 novembre 2012

Quando i cattolici sapevano additare l'Anticristo

Era il 1880. Nel numero di ottobre, il periodico cattolico francese La Croix (che poi sarebbe
diventato quotidiano), già dedicava un articolo alla «grande probabilità politica del ritorno degli
ebrei in Giudea in un tempo molto ravvicinato». Un articolo allarmato: perché, spiegava La Croix,
il ritorno in massa degli ebrei in Terra Santa avrebbe configurato «ciò che la Scrittura chiama il
Regno della Bestia, questo messia atteso dai giudei».
Un articolo sorprendente, profetico. Che segnalava la nascita del Sionismo ben prima della sua creazione ufficiale, e ne illustrava lucidamente le tattiche e l'esito finale apocalittico, meta-storico.
Il titolo, a pagina 445 del numero 31 ottobre 1880 de La Croix, suona:
Costantinopoli e Gerusalemme. La Questione d'Oriente che finisce e quella che comincia
«Questione d'Oriente» si definiva, allora, la lunga disgregazione dell'Impero Ottomano («il Malato
d'Europa») indebolito, indebitato con le banche europee, e perciò al centro delle mire delle
potenze europee che se ne volevano dividere le spoglie, e si combatterono per strapparsele. La
Russia voleva un accesso al Mediterraneo attraverso il Bosforo, che traversa Costantinopoli ed era
controllato dal Sultano; per impedirglielo, gli anglo-francesi avevano scatenato la guerra di Crimea
(1854) contro lo Zar. L'Austria sbocconcellava i possedimenti turchi nei Balcani, da cui nascevano
la Serbia, il Montenegro, la Romania e l'Albania. La debolezza dell'Impero Ottomano era
accuratamente mantenuta ed aggravata dalle banche occidentali, che l'avevano indebitato fino alla
cifra stratosferica di 2,5 miliardi di lire-oro turche; con la minaccia della bancarotta e le «ricette di
risanamento», di fatto la Sublime Porta era esautorata, e gestita ­ come da curatori fallimentari ­
dalle banche ebraiche. Un intrico di avidità, complicità e attività di destabilizzazione (condotte in
gran parte dalle logge massoniche collegate con quelle occidentali, a creare «rivoluzioni colorate»,
allora di stampo nazionalista), che avrebbe portato alla Grande Guerra nel 1914. Eppure già nel
1880 La Croix vedeva albeggiare un'altra «questione d'Oriente»: la nascita dello Stato ebraico in
Palestina, allora ancora territorio turco.
Così esordiva il periodico cattolico:

«Riunire nella sua antica patria i suoi membri dispersi, rientrare in possesso di questa terra e
ricostituirvisi come nazione, è sempre stata per il popolo d'Israele la sua aspirazione suprema e lo
scopo costante dei suoi sforzi.
Gli ebrei celebrano ogni 20 aprile il giorno anniversario della uscita dall'Egitto dei loro padri. La
sera di quel giorno, questo popolo disperso in tutta la terra, alla stessa ora, si leva come un sol
uomo; afferra la coppa di benedizione posta davanti a lui e, con una voce fortemente accentata,
ripete tre volte il grande brindisi: "L'anno prossimo a Gerusalemme!" (Archives Israelites, 1864).
«Gerusalemme, dice il gran rabbino (di Francia) Isidore, è per noi la città del passato e
dell'avvenire. I nostri rituali sono tutti centrati sulla Madre Patria; quando ci alziamo, quando ci
corichiamo, quando ci mettiamo a tavola, noi invochiamo il nostro Dio perché `affretti il nostro
ritorno a Gerusalemme, senza ritardo e ai giorni nostri!'».
Questa speranza, spiega La Croix ai suoi lettori, «è indissolubilmente legata all'attesa del Messia.
Perché secondo gli insegnamenti del Talmud, sarà il Messia stesso, da loro sempre atteso, che avrà
la missione di liberare Israele disperso e riscattarlo dalla prigionia delle nazioni, per ricondurlo
`nella Terra Santa dopo aver disfatto Gog e Magog', ossia, come è detto a tutte lettere nei
commenti dei savi della sinagoga, `dopo aver sterminato i cristiani e i gentili'». Allora il popolo
eletto riedificherà Gerusalemme e il suo tempio, e il suo Messia ristabilirà «un regno temporale la
cui durata sarà quella del mondo». Tutte le nazioni saranno assoggettate agli ebrei, e gli ebrei
disporranno a loro piacimento degli individui della nazioni che lasceranno vivere, e naturalmente
di tutti i loro beni.
«A questo solo si riduce la redenzione che attende Israele dal suo messia; perché l'ebreo, che
perpetua l'infedeltà farisaica e l'odio di Cristo Dio, crede che il messia sarà un semplice mortale
venuto dal sangue di Davide che fra altre virtù `sarà dotato d'un odorato così fine che discernerà
ogni cosa grazie a questo senso... anche se non giungerà alla perfezione di Mosè'. Questo per il
suo naso. Quanto ai suoi costumi, (assicurano i talmudisti) `prenderà molte mogli', eccetera».
Dopo questa canzonatura della «sapienza» talmudica, La Croix torna al tono serio:
«Fatto notevole, l'idea che gli ebrei si fanno del loro futuro messia è, sotto molti aspetti, quella che
la Scrittura ci dà dell'Anticristo. Siamo infatti avvertiti (Vangelo di Giovanni, V, 13) che la
maggioranza di loro accetterà l'Anticristo come vero Cristo. Tali sono ancora, vivaci come ai primi
secoli, la loro fede e l'attesa che forma il nucleo indistruttibile della nazione nella sua schiacciante
maggioranza».
Vero, oggi ­ dice il giornale cattolico ­ gran parte degli ebrei moderni sembra aver abbandonato
questa fede, e si è data al razionalismo, ad una forma di «protestantesimo filosofico» o a
un'indifferenza assoluta.
«Ma non si equivochi sui sentimenti dell'ebreo che vive nel razionalismo o nell'indifferentismo.
Non si dovrà grattare troppo per ritrovarvi il vero ebreo pronto ad ergersi e ad accorrere alla voce
di qualche potente ambizioso che gli offrisse la speranza di `riscattarsi', ed acclamarlo come suo
Messia».
Il secondo paragrafo ha come titolo
«Pellegrinaggi ebraici, la nuova questione orientale che inquieta la politica inglese».
Vi si segnala come vengano organizzati «pellegrinaggi ebraici sempre più affollati e frequenti» in
Palestina, che comprano terreni e case a Gerusalemme e vanno ad abitarci «in masse

considerevoli». Il Foreign Office britannico è anche venuto a sapere che, «stanti i problemi
pecuniari in cui è piombata la Turchia (ottomana) dei finanzieri israeliti avrebbero proposto alla
Sublime Porta di acquistare la Palestina. Tuttavia la realizzazione di questo piano incontra seri
ostacoli; le difficoltà politiche essendo meno grandi che le religiose. Fra cui la ripugnanza dei
turchi di rinunciare alla moschea di Omar (costruita dove sorgeva il tempio di Salomone), il più
venerato dei loro templi dopo la Kaaba».
Questa informazione, nel 1880, è quasi incredibilmente anticipata. Evidentemente esistevano
profferte dai banchieri ebrei al Sultano, di risanare le sue finanze in cambio di Gerusalemme;
profferte che diventavano sempre più generose, di fronte all'accanito rifiuto della Sublime Porta.
Noi ne conosciamo solo una, forse l'ultima e la più ghiotta, avvenuta un ventennio dopo: nel 1901 il
«banchiere Mizrahi, a nome di un consorzio di banchieri, offrì al sultano, il debole Abdul Hamid,
di ripianare l'intero debito, più il rammodernamento della flotta da guerra, in cambio
dell'insediamento di colonie ebraiche attorno a Gerusalemme. Il sultano si rifiutò di discuterne».
(Maurizio Blondet, «Cronache dell'Anticristo», Effedieffe).
Basta poco per capire l'attrattiva di una simile offerta. Già solo il rammodernamento della flotta
sarebbe bastato a cedere: era la debolezza militare marittima a mettere l'impero ottomano alla
mercé, quasi inerme, della marina britannica e di quella francese, potentissime, e delle minacce e
spoliazioni che costoro operavano. Ma l'offerta di ripianare totalmente il debito è quasi incredibile:
allora, come ho detto, ammontava ad una cifra inimmaginabile, 2,5 miliardi di lire turche.
Non solo la Porta era schiacciata dal servizio del debito; essa era in mano ad un consorzio di
banche straniere creditrici, tedesche, francesi e inglesi (ma tutte ebraiche) che avevano scelto come
loro agente a Costantinopoli... la Banca Commerciale Italiana. Che non era affatto italiana ma
ebraica, fondata come fu dai giudeo-tedeschi Otto Joel e Federico Weil, e successivamente guidata
dal loro fidatissimo delegato, l'ebreo polacco Giuseppe Toepliz. Più precisamente, i due
mandarono come gestore del debito pubblico ottomano, e agente pignoratore, il fidato emissario
cristiano Giuseppe Volpi (futuro conte di Misurata). Costui era in stretti legami con Emmanuel
Carasso, ebreo veneziano, ricco mercante di grani, massone e mazziniano, ed animatore delle
cellule sovversive che i dunmeh (pseudo-musulmani, ebrei turchi) avevano creato nell'armata
turca.
Come l'impero ottomano aveva potuto indebitarsi fino a tale astronomico livello, da perdere la sua
sovranità cedendola di fatto ai banchieri-creditori?
All'epoca, basterà ripetere con lo storico Giacomo Saban (su La Rassegna Mensile di Israel, 8
aprile 1983, pagina 74) «tutte le funzioni importanti delle finanze pubbliche erano in mano agli
ebrei». Ecco perché. Nella sola Salonicco, come si sa, gli ebrei erano la maggioranza della
popolazione: 75 mila; senza contare i dunmeh cripto-giudei, che si dichiaravano turchi nei
censimenti. (Financial Integration, Disintegration and Emerging Re-Integration in the Eastern
Mediterranean, c.1850 to the Present)
Dunque, nel 1880 La Croix dava l'allarme: presto, le manovre e le trame ebraiche rischiano di far
sorgere uno Stato ebraico. E «gli uomini di Stato d'Inghilterra, nonostante la gran perspicacia che
li distingue, non si pongono davanti a questa questione ad un livello più elevato di quello
dell'interesse nazionale», mentre la posta in gioco è meta-storica e spirituale. La Croix ha il
coraggio di delinearla così:
«Il giorno in cui i giudei potessero completare il loro disegno, e chiamando le loro innumerevoli
falangi disperse nel mondo intero, riunirsi di nuovo in corpo nazionale nella Palestina, e
ricostruire Gerusalemme, l'equilibrio politico delle nazioni che è già appeso ad un filo sarebbe
completamente rotto. Tutto si precipiterebbe attratto da una forza invincibile verso questo nuovo
centro del mondo, da cui si vedrebbe presto sorgere l'impero universale degli ebrei, ossia l'impero

anti-cristiano per eccellenza, che riunirà nel pugno di un uomo solo tutto il potere politico e
religioso, e tenendo sotto il suo tallone i popoli sedotti o schiacciati» (pagina 446).
L'unificazione del potere politico con quello religioso, del potere temporale con l'autorità
spirituale, è il carattere «imperiale e pontificale» del Sovrano Universale, del Cristo Re che verrà.
L'Anticristo, Simia Dei, lo scimmiotterà: imperatore e pseudo-papa insieme, seduttore o
oppressore dei popoli che non si lasceranno sedurre.
Ma il periodico cattolico francese nell'anno 1880, non si limita a questa profezia. Illustra anche
come ciò sarà realizzato: con il potere finanziario, con la «giudaizzazione dei popoli» moderni, con
la Massoneria. Di questo, alla prossima puntata.
(Continua)
Quando i cattolici sapevano additare l'Anticristo
(parte II)
Maurizio Blondet 11 Novembre 2012
Nel precedente articolo abbiamo visto come il periodico La Croix indicava, già nel 1880, il
silenzioso ma massiccio ritorno di «pellegrini» ebrei a Gerusalemme, che poi vi acquistavano case
e terreni per restarvi. Additava l'antica volontà ebraica di realizzare lo Stato israelita, e di come
questo progetto rischiasse di realizzarsi; progetto che il periodico cattolico definiva senza ambagi
«lo Stato dell'anticristo per eccellenza». E indicava che il solo ostacolo alla realizzazione dello Stato
ebraico in Gerusalemme era di natura religiosa: l'avversione del Sultano ­ che allora aveva la
Palestina ­ di abbandonare la moschea di Omar, il luogo più sacro ai musulmani dopo la Mecca.
Ma questo pilastro può essere aggirato? Pagina 447: «Si considerino da una parte l'immensa
ricchezza del giudeo, le sue banche senza numero, il suo credito illimitato, la sua vasta intelligenza
degli affari, la sua abilità politica. Già i suoi banchieri, armati del loro terribile grimaldello
(finanziario, ndr) cercano di irretire la Sublime Porta al fine di entrare attraverso di essa nel pieno
possesso del retaggio dei loro padri». Per ora, l'impero ottomano resiste. È il solo ostacolo serio.
«Basta considerare la condizione politico-sociale elevata a cui è arrivato il popolo ebraico e il posto
che ha conquistato. Le difficoltà politiche sono molto minori». Anzi al contrario ­ si legge nel
periodico ­ «la politica attualmente in uso è fatta per favorirla. Non ha essa iscritto nel suo diritto
internazionale, e con fiumi di sangue nei campi di battaglia, il famoso `principio di nazionalità'? Si
riconosce ai popoli della stessa lingua o della stessa origine il diritto di unirsi insieme sotto la
stessa potenza, o il `diritto' per i più forti di strapparli ai loro sovrani legittimi sotto pretesto di
restituirli alla loro nazionalità: chi più della nazione ebraica avrebbe il diritto di beneficiare di
questo principio?».
Oltretutto, gli ebrei «porterebbero per la loro scomparsa dal mezzo dei popoli in cui esercitano la
loro sordida usura, un grande sollievo. I popoli, lungi dal lagnarsi della loro dipartita,
benedirebbero il nuovo esodo come un immenso beneficio, dovessero pure accollarsi le spese del
trasloco».
Oggi «quale Faraone moderno oserebbe ostacolare quelli dei suoi sudditi composti dei figli di
Jacob, opporsi alla loro uscita d'Egitto per emigrare alla loro terra promessa, se un giorno si
levassero al richiamo di qualche falso profeta? Oggi la macchina dello Stato non è più messa in
moto che da due leve: l'opinione e l'interesse... ».
Da qui, La Croix segue con due capitoli intitolati: «Le Juif et la presse» (l'Ebreo e la stampa) e «Le
Juif et l'argent».

Quanto alla stampa: «La prima delle due leve, l'opinione, è mossa a sua volta solo dalla stampa;
con l'eccezione di un piccolo gruppo di fogli cattolici o indipendenti, è intera, o almeno la sua
componente più potente, in mano degli ebrei. Il personale di questi organi non è più che il servo
moderno legato alla gleba della pagina; passa con la proprietà del giornale a qualche signore
individuale o collettivo della finanza, che novanta volte su cento, è l'ebreo, o in persona o in
denaro».
Quanto all'argent: «L'altra leva, il prestito ad interesse, è non meno nelle mani ebraiche. Succhiata
dall'usura, non si può negare che la miglior parte della ricchezza del mondo, il suo oro più bello, è
nella banca ebraica. È a questo nuovo altare del Vitello d'Oro che (...) le società e gli Stati, sempre
vergognosamente a corto di denaro, vanno a prosternarsi con i loro libri di preghiere in mano,
ossia il loro bilancio in deficit».
«E il Gran Sacerdote della finanza aderendo ai loro desideri e sfruttando con consumata abilità i
bisogni imperiosi degli uni e degli altri, le loro necessità presenti, i loro problemi o anche i loro
disastri finanziari, estrae dal suo portafoglio una larga benedizione che li salva dalla bancarotta
accrescendo però il loro debito futuro, e li strappa dal pantano per affondarceli più avanti. Ecco
perché questi pii fedeli escono dal tempio della Fortuna sempre più impegnati dalla `riconoscenza
concreta'... che hanno lasciato con le loro firme e loro libertà nella mani dello ierofante».
Vedete con quanta lucidità e senza riguardi «politicamente corretti» si poteva ancora, nel 1880,
rivelare i meccanismi della finanza usuraria e la sua intenzione più profonda: schiavizzare le
comunità indebitandole sempre più. Viene in mente il motto di Ezra Pound: «Un popolo che non
s'indebita fa rabbia agli usurai».
Continuiamo la lettura di La Croix:
«Ma non ci si può lusingare di conoscere il proprio ebreo, né l'estensione della potenza politica che
esercita sugli Stati, della sua influenza morale sulla società, se per comprendere il posto che occupa
oggi nel mondo e la parte che gli spetta negli eventi che ne hanno cambiato la faccia, ci si limita a
considerare il lato giornalistico o finanziario. Bisogna vederlo nel profilo che tiene accuratamente
nell'ombra, dove si rivelano i suoi tratti veritieri. Noi proietteremo qualche raggio di luce per
mostrarlo nel suo vero aspetto: ossia del Giudeo massone, il grande promotore e gestore della
rivolta delle nazioni contro il Signore e contro Cristo».
E qui principia il capitolo dal titolo illuminante: «La giudaizzazione dei popoli moderni».
La Croix ricorda ancora che «il segreto della conservazione mirabile del popolo ebraico nonostante
la sua dispersione durata tanti secoli è la fede incrollabile nel loro futuro messia e nel destino
futuro che tale messia darà al suo popolo», ossia «di sottomettere tutte le nazioni e far di esse un
immenso popolo di schiavi impiegati a servire unicamente i giudei e ingozzarli di ricchezze e di
piaceri. Il pudore impedisce di entrare nei dettagli dei piaceri promessi dal Talmud ai giudei di
quel futuro felice. È tutta lì, in fondo, la felicità messianica che desideravano i loro padri, ed è per
questo che rifiutarono il vero Messia venuto per riformare i loro cuori e condurli, attraverso il
distacco dei beni presenti, all'acquisizione dei beni celesti».
Oggi, spiega il foglio cattolico, vige un ebraismo «filosofico», che «conserva la fede in un messia
ideale o collettivo, un messia-nazione: ossia al ruolo dominatore che la loro nazione, secondo loro,
è chiamata a prendere alla fine sulla scena del mondo (...). Egli ha l'ambizione di succedere nel
mondo nientemeno che all'impero romano, anzi in un senso più profondo e intenso, il popolo-re e
il popolo-papa. Uno di loro, Levy Bimj (Archives Israelites, 1864) ha scritto: "È necessario vedere
presto il popolo ebraico costituito in tribunale supremo, giudice d'ultima istanza dei conflitti tra
nazioni, e la cui parola faccia legge. E questa parola, è la parola che Dio pronuncia attraverso i suoi
figli maggiori, gli ebrei, e davanti alla quale devono inchinarsi con rispetto i figli minori, ossia

l'universalità degli uomini". Dunque gli ebrei filosofi e gli ebrei credenti, portati da una stessa
intenzione, tendono allo stesso fine e operano alla medesima opera».
Per i lettori increduli che proprio questo sia il progetto ebraico, oggi possiamo citare ciò che disse
David Ben Gurion (nato David Gruen), capo del primo governo di Israele, alla rivista americana
Look, e che la rivista pubblicò il 6 gennaio 1962. A vari uomini politici Look aveva chiesto di
immaginare il futuro. Ben Gurion rispose fra l'altro, profeticamente ispirato: «... Tutti gli eserciti
saranno aboliti e non ci saranno più guerre. In Gerusalemme, le Nazioni Unite (veramente `Unite')
edificheranno un Tempio dei profeti per celebrare l'unione federata di tutti i continenti: questa
sarà la Corte Suprema dell'Umanità per comporre le controversie tra i continenti federati, come
profetizzato da Isaia... ». Come si vede, il massimo esponente del sionismo «socialista» e laico
della sua epoca, condivideva il sogno e progetto del rabbino Levy: non creare uno Stato fra gli altri,
laicamente alla pari, ma il mistico Regno mondiale e messianico di Israele, a cui tutti i popoli
sarebbero stati soggetti.
Molto spesso personalità ebraiche di spicco si sono fatte sfuggire particolari del progetto. Nel
secondo Congresso Sionista, tenuto a Basilea nel 1896, il delegato Mandelstamm di Kiev proclamò:
«Gli ebrei respingono energicamente l'idea di fondersi con le altre nazioni, ed aderiscono
strettamente alla loro storica speranza: l'impero mondiale». Al Congresso Ebraico Mondiale del
1903, Nahum Sokolof, rilevante esponente sionista, esclamò: «Gerusalemme diverrà un giorno la
capitale della pace mondiale». Questa «pace mondiale» imposta dal Tribunale Rabbinico
dell'umanità, il quale (come disse Ben Gurion a Look) «avrà a sua disposizione una forza di Polizia
internazionale», quella che doveva essere l'ONU quale la voleva Bernard Baruch, il finanziere e
consulente di sei presidenti americani, che infatti voleva chiamare la Società della Nazioni «League
to enforce Peace», Lega per Imporre la Pace. Il progetto di fare dell'ONU il nucleo del governo
mondiale sembra per ora rallentato, avendone preso il sopravvento popoli del Terzo Mondo. Ma
non mai accantonato. «Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale; o col consenso, o con la
forza»: così il banchiere James Warburg davanti alla Commissione Esteri del Senato USA, il 17
febbraio 1950. Warburg era membro del Council on Foreign Relations. Come consigliere ed intimo
del presidente Roosevelt, dopo la guerra aveva raccomandato la castrazione dei maschi tedeschi,
colpevoli di aver fatto la guerra al popolo ebraico.
Riprendiamo a leggere La Croix del 31 ottobre 1880:
«Fintanto che è sussistita tra i popoli d'Europa la grande unità cattolica, l'ebreo era come ridotto
all'impotenza (...) ma i tempi sono cambiati. La grande rivolta contro la Chiesa, inaugurata da
Lutero, ha rotto questa unità e fatto pullulare dalle rovine innumerevoli sette, da cui dovevano
nascere, come conseguenza logica e inevitabile, l'incredulità e l'ateismo moderni. Fu allora che il
giudeo, con la perspicacia di cui è dotato, giudicò che arrivava l'era nuova, l'era che lui chiama
`emancipazione', l'ora suonava per la parte sovrana che egli sogna.
Uscendo dal suo Talmud e dalle sue banche, comincia con la perfida abilità e il proselitismo
ardente che lo caratterizzano, a sfruttare le divisioni religiose dei popoli cristiani e ad inaugurare la
`giudaizzazione'».
«Giudaizzarli significa de-cristianizzarli politicamente, socialmente ed individualmente, e con ciò
abbassare tutte le barriere delle leggi cristiane che lo tenevano lontano dalle cariche, dagli impieghi
e dai poteri pubblici; e dopo avere corrotto, diviso, sbriciolato le società umane, dominarle e
dirigerle segretamente al compimento dei loro disegni, aprirsi in mezzo ad esse una via senza
ostacoli per cogliere l'obbiettivo delle sue eterne speranze; e prepararsi, in mezzo ai popoli
materializzati e istupiditi, i complici e gli utili idioti del suo trionfo.
Per giungere a questa conquista giudaica, bisognava formare delle armate attive, ben addestrate e
fortemente disciplinate.

La Massoneria sarà la scuola e il campo di manovra dove si prepareranno, nel mistero, le armate
anticristiane. Il nome di questa scuola è moderno, ma in realtà è antica: essa ha la sua origine nella
Kabala ebraica (...) cominciata all'ombra del Tempio contro la persona di Cristo (...). Questa
associazione cabalistica l'abbiamo vista apparire di colpo nel mondo al momento in cui il
protestantesimo, questa insurrezione dei popoli cristiani contro la Chiesa, è venuto a spezzare
l'unità religiosa delle nazioni e preparare la loro apostasia.
Questa società occulta, prima Chiesa di Satana, (...) ha chiamato nel suo seno tutti i nemici di Dio e
del Cristo; ha reclutato i malcontenti di tutti i culti, teso le braccia a tutte le rivolte e gli odi
antireligiosi e a tutte le ambizioni malsane».
Dopo aver descritto le profanazioni dell'Eucarestia avvenute al suo tempo per opera di massoni (o
meglio di donne istruite dalla Massoneria a ricevere l'Ostia per poi sottoporla «alle più
abominevoli dissacrazioni»), La Croix dà conto di un fatto:
«Il maggior numero di logge è fatto da cristiani, e sono state tenute a lungo a conservare questa
fisionomia escludendo l'ebreo dal loro seno (...). Oggi il giudeo non è escluso però da alcuna loggia.
Per contro, esistono logge da cui il non-ebreo non ha alcun accesso.
A Londra, dove si trova come si sa il focolaio della Rivoluzione, esistono due logge giudaiche che
non hanno mai visto un cristiano passare la loro soglia. È lì che si concentrano e si organizzano
tutti gli elementi rivoluzionari che covano e fanno sbocciare nelle logge cristiane. Una loggia
simile, composta esclusivamente di giudei, è anche stabilita a Roma, dove ella è il supremo
tribunale della Rivoluzione. Da là sono dirette le altre logge come da capi segreti, di modo che,
come ha ammesso un giudeo stesso, `la maggior parte dei rivoluzionari non sono che delle
marionette messe in moto dagli ebrei per mezzo del mistero'» (Le Monde, 5 novembre 1862).
Una conferma sull'esistenza di questa loggia romana esclusivamente ebraica è indirettamente stata
confermata dal massimo studioso del messianismo ebraico, Gershom Scholem (Sabbatai Sevi, The
Mystical Messiah, 1973). Grazie a ciò, sappiamo oggi che già attorno al 1666 Nathan di Gaza, lo
studente rabbinico che si fece promotore del falso messia Sabbatai Zevi propagandandone la
dottrina (secondo cui nell'era messianica «Dio permette ciò che è vietato», e la salvezza si ottiene
peccando), viaggiò molto a questo scopo presso le comunità ebraiche del Mediterraneo. Fu anche a
Venezia e a Roma ­ dove tra l'altro, attesta Gershom Scholem, «partecipò ad una cerimonia
cabbalistica per accelerare la fine del Papato». La loggia ebraica di Roma esisteva dunque già.
(parte I)
Maurizio Blondet 09 Novembre 2012
(Continua)
http://it.gloria.tv/?media=359779

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