echi bolognesi
Si è parlato di liturgia in modo semplice
e schietto, venerdì 26 ottobre, al Teatro Guardassoni di Bologna,
davanti a un bel numero di persone, tra cui diversi sacerdoti.
Riportiamo alcuni echi della serata bolognese.
Tre i relatori intervenuti: il dott. Daniele Nigro, classe 1987, laureato in Giurisprudenza con una tesi in diritto canonico, autore del recentissimo libro I diritti di Dio; il rev.do don Riccardo Pane,
cerimoniere arcivescovile di Bologna e professore alla Facoltà
Teologica dell’Emilia-Romagna, del quale è uscita da poco la seconda
edizione del libro Liturgia creativa; infine don Nicola Bux,
consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le
Cause dei Santi e consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche
del Sommo Pontefice, autore del noto volume Come andare a Messa e non perdere la fede.
Il dottor Nigro ha affrontato il grave problema della diffusa inosservanza del diritto liturgico, al punto che ormai si è persino smarrita l’idea che esista uno ius divinum,
cioè un giusto rapporto tra Dio e l’uomo, che dà forma alla preghiera
liturgica. La liturgia, al contrario, è diventata una terra di
saccheggio, dove ciascuno ritiene di poter esprimere i propri gusti e
realizzare i propri desideri. Se da un lato, occorre evitare di avere
una concezione esclusivamente giuridica della liturgia, dall’altro non
bisogna cadere nella trappola di considerare le leggi che regolano il
culto come leggi meramente positive, cioè leggi “arbitrarie” e quindi
eludibili. L’autore ha suggerito un esempio suggestivo, che aiuta a
liberare il campo da un equivoco molto diffuso, cioè che il rispetto
attento delle norme liturgiche soffochi la creatività dell’uomo e sia in
definitiva un ostacolo alla preghiera autentica. “Il fatto che le opere
di Giuseppe Verdi siano sempre le stesse e in definitiva – ha detto il
relatore – debbano essere eseguite sempre le stesse partiture, non
comporta che le esecuzioni siano tutte uguali, né ancor meno il loro
ascolto diventi monotono. Al contrario è proprio l’ascolto ripetuto ed
attento dello stesso identico brano a plasmare gli affetti, le emozioni,
i desideri”.
Don Riccardo Pane ha
messo in luce che nell’applicazione della riforma liturgica è in atto
una rivoluzione copernicana: la liturgia, di qualsiasi rito, è
caratterizzata da un teocentrismo sostanziale; oggi però si deve
purtroppo riscontrare che il baricentro è stato spostato: il centro della liturgia siamo diventati noi. Esempi? Forse il più eclatante è quello della musica sacra,
che di sacra non ha più nulla non solo per la qualità della melodia ma
anche per i testi, che pongono sempre più a tema i travagli umani, ma
non Dio. Si può dunque lecitamente parlare di un “arianesimo liturgico”, perché Dio è sparito dall’orizzonte della celebrazione.
Per questo è stato fatto l’esempio dei funerali che sono divenuti la
celebrazione dei defunti e dei loro cari e non più del Mistero pasquale
di Cristo; oppure i matrimoni che mettano al centro gli sposi e la loro
“sensibilità” e non la sponsalità di Cristo con la sua Chiesa, e così
via. La conclusione dell’intervento di don Pane è stato amaramente
divertente, infatti, ha passato in rassegna i titoli dei capitoli del
suo libro, titoli che fanno sorridere a denti stretti per la realtà che
fotografano. Per dare un cenno riportiamo il titolo che riguarda il
capitolo 7: “delle preghiere dei fedeli, ovvero: come insegnare al buon
Dio a fare il suo mestiere”.
L’intervento conclusivo di don Nicola Bux
ha sottolineato che la liturgia è essenzialmente “Dio al centro”. Per
questo il discorso sul culto ha strettamente a che fare con il problema
della “desertificazione”, termine recentemente coniato da Papa Benedetto
XVI per descrivere l’attuale situazione dei paesi di antica tradizione
cristiana. Infatti è la liturgia che insegna a mettere Dio al centro della vita, personale e comunitaria; il culto, ha sottolineato più volte il relatore, fa l’etica. Ora,
come debba essere la liturgia è già stato stabilito e siamo noi a dover
entrare in essa e farci trasformare, giorno dopo giorno, e non il
contrario. In questa luce si comprende anche il falso problema della necessità di “comprendere” la Messa.
Da decenni si va ripetendo che l’elemento centrale per la
partecipazione liturgica sia la comprensione di ciò che si dice. In
realtà, ha fatto notare don Bux, ciò che rende possibile una vera
partecipazione è il poter percepire che nella liturgia è presente Dio;
per questo, si può esser presenti alla liturgia bizantina o armena o
celebrata in lingua latina e non “capire” nulla, eppure uscirne elevati
ed arricchiti dall’incontro con Dio. Don Nicola Bux ha concluso
incoraggiando i presenti: si può davvero parlare di un nuovo movimento
liturgico che ormai è una realtà sempre più diffusa ed attiva in ogni
parte del mondo.
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