Sul “Settimanale di Padre Pio” (edito dai Francescani dell’Immacolata) ho dato inizio ad un lungo viaggio sul pianeta “miracoli”. Riporto per i lettori di “Libertà e persona” il primo articolo pubblicato, chi avesse voglia di seguirmi nell’avventura lo invito ad abbonarsi alla rivista ( www.settimanaleppio.it ). Un viaggio sul pianeta “miracoli” non poteva trovare miglior veicolo di un settimanale dedicato a un Santo che ha rappresentato una sfida per tutti.
I miracoli sono una cosa seria. Qualche fedele
cattolico che si definisce adulto, invece, sembra schernirsi e ne fugge
quasi inorridito, mentre altri sono in preda ad un certo “miracolismo”
che li vede intenti a ricercare apparizioni, prodigi e visioni in ogni
dove. Insomma, la serietà dei miracoli sembra essere in grande
difficoltà, non solo tra chi si definisce ateo o agnostico.
La Tradizione della Chiesa Cattolica, in cui il numero di fenomeni miracolosi è enormemente più alto che in qualsiasi altra confessione, ha sempre attribuito ai miracoli un valore di prova “certissima” della divina Rivelazione. Nella Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I, infatti, troviamo scritto: “Perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche le prove esteriori della sua rivelazione: cioè fatti divini, in primo luogo i miracoli e la profezie che, manifestando in modo chiarissimo l’onnipotenza e la scienza infinita di Dio, sono segni certissimi della divina Rivelazione, adatti ad ogni intelligenza” (DH 3009).
Leggendo questo passo mi sono sempre chiesto perché, di fronte ad un segno “certissimo” ed “adatto ad ogni intelligenza”, la teologia del miracolo in casa cattolica sia caduta sostanzialmente nel dimenticatoio. Eppure, trattandosi di segni “certissimi”, quella dei miracoli è una questione molto rilevante e che interessa tutti gli uomini in cerca del senso della vita.
Per questo credo valga la pena indagare e approfondire, perciò, se avrete la pazienza di seguirmi vorrei sviluppare con voi, cari lettori del Settimanale di Padre Pio, un appuntamento fisso che chiameremo appunto “Miracoli”.
Cominciamo allora questa indagine sulle tracce dei segni “adatti ad ogni intelligenza” e che, invece, sembrano diventati ripugnanti proprio alla ragione, perciò cominceremo partendo da lontano, per capire cosa è accaduto a questa “intelligenza” che sembra divenuta cieca di fronte a qualcosa che, invece, si dovrebbe adattare a lei molto bene.
Un miracolo può essere inteso, in linea generale e per quanto ci interessa ora, come un fatto straordinario che accade nella realtà e che possiamo in qualche modo vedere e/o toccare, gustare e/o udire. Tutto ciò che possiamo “misurare” con i nostri sensi, però, può anche essere un inganno, in quanto – è esperienza quotidiana – sappiamo che possiamo prendere lucciole per lanterne. Da questo punto di vista se noi pensiamo che tutto ciò che accade nella realtà “misurabile” trova spiegazione ultima in quella realtà, allora ciò che abbiamo definito “miracolo” non può essere altro che un mero errore di misurazione, o una pura illusione. D’altra parte se, invece, ammettiamo che la realtà non si esaurisce in ciò che possiamo “misurare”, allora il discorso cambia. E di molto.
Siamo di fronte ad un bivio fondamentale, se andiamo da una parte ci troveremo in valle, mentre se andiamo dall’altra ci incamminiamo verso la vetta. C.S. Lewis, in un suo famoso libro che si intitola proprio “Miracoli”, lo rileva molto bene: “le cose che impariamo dall’esperienza dipendono dal tipo di filosofia che accompagniamo a quell’esperienza.” Questa considerazione del grande filologo e scrittore irlandese andrebbe scolpita sulla pietra come il primo comandamento per qualsiasi cercatore di verità, è qui, infatti, che dobbiamo metterci sulle tracce della ragione, per capire come mai sembra divenuta ripugnante ai miracoli. Infatti, prima di chiederci se quel “miracolo”, cioè quel fatto straordinario che possiamo vedere o udire, toccare o gustare, è accaduto, oppure no, dobbiamo chiederci se riteniamo che un miracolo sia possibile.
Se noi pensiamo che tutto ciò che esiste è la Natura (l’Universo come unico sistema interconnesso), allora nulla può fare ingresso in lei dal di fuori e tutto si spiega nell’incessante divenire del grande processo naturale. Invece, se la ragione ultima della realtà è un Fatto primo che esiste di per sé al di là della Natura, e da cui tutto origina e dipende, allora non è da escludersi che questo Fondamento possa intervenire nella realtà. In quest’ultimo caso non potremmo restare indifferenti, la nostra prospettiva esistenziale dovrebbe necessariamente fare i conti con questa Realtà della realtà.
Nel nostro mondo, oggi, sembra che tutti i cercatori di verità, di fronte a questo bivio svoltino per la via che li conduce a valle, vale a dire ritengono che la spiegazione ultima di ciò che accade non vada cercata al di là di ciò che possiamo misurare. E’ quello che viene spesso definito come scientismo, ossia riduzione della verità ad un fatto misurabile per cui, in ultima analisi, solo la matematica è fonte di certezza. Così, di fronte al fatto miracoloso, si diviene scettici, increduli, ovviamente incapaci di indagarlo per verificarne la provenienza, e si finisce per dire: “non credo ai miracoli”.
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2012/11/sulla-serieta-dei-miracoli/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sulla-serieta-dei-miracoli
La Tradizione della Chiesa Cattolica, in cui il numero di fenomeni miracolosi è enormemente più alto che in qualsiasi altra confessione, ha sempre attribuito ai miracoli un valore di prova “certissima” della divina Rivelazione. Nella Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I, infatti, troviamo scritto: “Perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche le prove esteriori della sua rivelazione: cioè fatti divini, in primo luogo i miracoli e la profezie che, manifestando in modo chiarissimo l’onnipotenza e la scienza infinita di Dio, sono segni certissimi della divina Rivelazione, adatti ad ogni intelligenza” (DH 3009).
Leggendo questo passo mi sono sempre chiesto perché, di fronte ad un segno “certissimo” ed “adatto ad ogni intelligenza”, la teologia del miracolo in casa cattolica sia caduta sostanzialmente nel dimenticatoio. Eppure, trattandosi di segni “certissimi”, quella dei miracoli è una questione molto rilevante e che interessa tutti gli uomini in cerca del senso della vita.
Per questo credo valga la pena indagare e approfondire, perciò, se avrete la pazienza di seguirmi vorrei sviluppare con voi, cari lettori del Settimanale di Padre Pio, un appuntamento fisso che chiameremo appunto “Miracoli”.
Cominciamo allora questa indagine sulle tracce dei segni “adatti ad ogni intelligenza” e che, invece, sembrano diventati ripugnanti proprio alla ragione, perciò cominceremo partendo da lontano, per capire cosa è accaduto a questa “intelligenza” che sembra divenuta cieca di fronte a qualcosa che, invece, si dovrebbe adattare a lei molto bene.
Un miracolo può essere inteso, in linea generale e per quanto ci interessa ora, come un fatto straordinario che accade nella realtà e che possiamo in qualche modo vedere e/o toccare, gustare e/o udire. Tutto ciò che possiamo “misurare” con i nostri sensi, però, può anche essere un inganno, in quanto – è esperienza quotidiana – sappiamo che possiamo prendere lucciole per lanterne. Da questo punto di vista se noi pensiamo che tutto ciò che accade nella realtà “misurabile” trova spiegazione ultima in quella realtà, allora ciò che abbiamo definito “miracolo” non può essere altro che un mero errore di misurazione, o una pura illusione. D’altra parte se, invece, ammettiamo che la realtà non si esaurisce in ciò che possiamo “misurare”, allora il discorso cambia. E di molto.
Siamo di fronte ad un bivio fondamentale, se andiamo da una parte ci troveremo in valle, mentre se andiamo dall’altra ci incamminiamo verso la vetta. C.S. Lewis, in un suo famoso libro che si intitola proprio “Miracoli”, lo rileva molto bene: “le cose che impariamo dall’esperienza dipendono dal tipo di filosofia che accompagniamo a quell’esperienza.” Questa considerazione del grande filologo e scrittore irlandese andrebbe scolpita sulla pietra come il primo comandamento per qualsiasi cercatore di verità, è qui, infatti, che dobbiamo metterci sulle tracce della ragione, per capire come mai sembra divenuta ripugnante ai miracoli. Infatti, prima di chiederci se quel “miracolo”, cioè quel fatto straordinario che possiamo vedere o udire, toccare o gustare, è accaduto, oppure no, dobbiamo chiederci se riteniamo che un miracolo sia possibile.
Se noi pensiamo che tutto ciò che esiste è la Natura (l’Universo come unico sistema interconnesso), allora nulla può fare ingresso in lei dal di fuori e tutto si spiega nell’incessante divenire del grande processo naturale. Invece, se la ragione ultima della realtà è un Fatto primo che esiste di per sé al di là della Natura, e da cui tutto origina e dipende, allora non è da escludersi che questo Fondamento possa intervenire nella realtà. In quest’ultimo caso non potremmo restare indifferenti, la nostra prospettiva esistenziale dovrebbe necessariamente fare i conti con questa Realtà della realtà.
Nel nostro mondo, oggi, sembra che tutti i cercatori di verità, di fronte a questo bivio svoltino per la via che li conduce a valle, vale a dire ritengono che la spiegazione ultima di ciò che accade non vada cercata al di là di ciò che possiamo misurare. E’ quello che viene spesso definito come scientismo, ossia riduzione della verità ad un fatto misurabile per cui, in ultima analisi, solo la matematica è fonte di certezza. Così, di fronte al fatto miracoloso, si diviene scettici, increduli, ovviamente incapaci di indagarlo per verificarne la provenienza, e si finisce per dire: “non credo ai miracoli”.
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