ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 12 gennaio 2013

LE MINACCE NON POSSONO NULLA CONTRO LA VERITA’


Padre Giovanni Cavalcoli O.P. con il suo ultimo articolo apparso su Riscossa CristianaL’ “interpretazione eretica” del Concilio Vaticano II, ha destato perplessità e malcontento in molti. È per tale ragione che rispondiamo all’ennesimo attacco di chi non ammette l’esame teologico, filosofico e storiografico di una realtà apertasi 50 anni fa e i cui frutti non sono certo da portare ad esempio. Dare a qualcuno dell’«eretico» è molto grave, tanto più che nell’ultimo Concilio non si è voluto più condannare niente e nessuno.
Oggi, invece, assistiamo al paradosso: in nome proprio di quel Concilio dialogante con ogni realtà si lanciano anatemi fuori luogo e fuori logica contro i cattolici, contro la carne e il sangue di Cristo. Siamo nel 2013 e in questi ultimi anni alcuni intellettuali di buona volontà, dopo essersi posti legittime domande su che cosa abbia prodotto la crisi della fede e la crisi della Chiesa, si sono dati legittime risposte andando a scavare nella causa: il Concilio Vaticano II.
Per padre Cavalcoli è più importante essere fedeli ad un Concilio pastorale, che ha voluto dialogare con la cultura e il mondo moderni, piuttosto che rimanere fedeli alla Tradizione della Chiesa, che non commette errori perché conserva il sigillo dell’ortodossia. Il primo comandamento è «Non avrai altro Dio all’infuori di me», non sta scritto «Non avrai altro Concilio che il Vaticano II», questo, invece, è un diktat che molti vorrebbero imporre. Ma Nostro Signore non impone, Nostro Signore libera: «Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”» (Gv 8, 31-32). È questa verità che vuole avere il mondo della Tradizione, i cui membri sono disposti anche ad essere vilipesi e dileggiati pur di difenderla con suprema fedeltà d’amore. Cercare le verità di Dio significa scoprire gli errori ed errori si sono commessi in questi 50 anni, a partire dai documenti stilati nell’aula conciliare, composti in un clima che la cronaca di quei giorni ci definisce eccitato, irrequieto, litigante. L’ottimismo di molti di coloro che stavano seduti sugli scranni della Basilica di San Pietro si è rivelato ingiustificato e il linguaggio adottato allora appare oggi anacronistico: è inutile negare l’evidenza, è inutile cercare di far finta di niente. Come non si scherza con Cristo, non si può scherzare neppure con la Sua Sposa, Santa e Immacolata i cui vestiti a volte vengono sporcati, come affermava il Dottore della Chiesa santa Ildegarda di Bingen (titolo ricevuto il 7 ottobre 2012), della quale ben pochi parlano, essendo maestra decisamente scomoda per il nostro tempo. Lo stesso Santo Padre ha detto alla Curia Romana il 16 maggio 2012: «Nella visione di santa Ildegarda il volto della Chiesa è coperto di polvere ed è così che noi lo abbiamo visto». La Sibilla del Reno vide una vergine bellissima il cui abito però era «strappato per la colpa dei sacerdoti». Commentando la visione della santa renana il Papa ha così continuato: «Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la verità salva […]. Dobbiamo essere capaci di penitenza», perché «il vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione. Questo è un messaggio che non dovremmo mai dimenticare».
La Sposa di Cristo non guarda i superbi, ma coloro che sono disposti a consumarsi per lei, senza avere nulla, di immanente, in cambio. Gli umili come Ildegarda sono i veri grandi della terra, perché posseggono già tutto: Dio, ovvero Chi li ha creati.
A partire dall’Umanesimo, in un crescendo che culminerà nell’Illuminismo e da questo tornerà a crescere fino al devastante relativismo odierno, il pensiero ha iniziato a concentrarsi sull’uomo e con il trascorrere dei secoli ha abbandonato sempre più la correlazione fra Dio (e le Sue leggi di Fede e di morale) e l’umanità, intesa tanto collettivamente, quanto come caratteristica dell’individuo. Per fare ciò è stato necessario denigrare e ridicolizzare il periodo della storia umana dove maggiormente questo rapporto fra Creatore e creatura ha pervaso ed informato la vita, sia individuale che collettiva della cristianità. Si è partiti col definirlo Evo Medio (Medioevo), vale a dire un’epoca, sottointeso di barbarie, che si colloca accidentalmente tra l’antichità e l’epoca contemporanea, entrambe viste come civili. È evidente che l’unico punto di contatto e di comunione fra gli antichi e i moderni, punto che esclude il Medioevo, è l’assenza e/o l’irrilevanza della Fede cristiana, assenza e/o irrilevanza in cui sono fatti coincidere la civiltà ed il progresso, che hanno eliminato sempre più dall’orizzonte la cura delle anime, movimento che va sotto il nome di antropocentrismo (vale a dire centralità dell’uomo in contrapposizione alla centralità di Dio), elemento verso il quale, nelle stesse parole di Paolo VI nell’omelia finale dell’Assise, si è diretto il Concilio Vaticano II.
Con l’ultimo Concilio la prospettiva è completamente mutata: basta leggere le pagine dei Padri della Chiesa per accorgersi immediatamente che la loro prospettiva era tutt’altra rispetto a quella dei teologi e degli “esperti” che hanno influenzato le sessioni conciliari. È sufficiente leggere le pagine dei Dottori della Chiesa per accorgersi dell’immensa distanza che li separa da Küng, Rahner, Maritain, De Lubac, Congar, von Balthasar, Schillebeeckx… David Maria Turoldo, Monsignor Tonino Bello, Cardinale Carlo Maria Martini, Cardinale Gianfranco Ravasi... Nei primi ci si tuffa nel Cielo, nei secondi ci si tuffa nei labirinti del mondo. Con i primi si risolvono i problemi religiosi e di coscienza, con i secondi ci si riempie di dubbi e di ansie.
Nell’umiltà sta il segreto della risoluzione dei problemi che si sono creati con lo scollamento della pastorale conciliare dalla Tradizione, che è il DNA della Chiesa. Un giorno il Cardinale Giacomo Biffi disse che la Chiesa ha l’AIDS, ovvero che essa ha perso gli anticorpi e che cos’è la roncalliana medicina della Misericordia (verso gli errori e non verso gli erranti) se non l’eliminazione dell’unico vero anticorpo che ha salvaguardato umanamente la Chiesa per due millenni, vale a dire la serena certezza di fede che autorizza ed impone la condanna degli errori? Il vaccino della Tradizione è dunque essenziale, come è essenziale scoprire le patologie della Chiesa perché venga curata con i mezzi corretti. Chi ama di più il proprio figlio, una madre che di fronte alla malattia fa finta che il problema non esista oppure una madre che chiama il medico per diagnosticare la patologia e per farlo curare al meglio? Chi amò di più la Sposa di Cristo? Sant’Atanasio, sant’Ilario di Poitiers, sant’Eusebio di Vercelli e tanti altri santi che difesero con coraggio la Fede; santa Caterina da Siena e santa Ildegarda di Bingen, che chiamarono all’appello gli uomini di Chiesa, esortandoli ad essere davvero uomini, oppure personaggi come Jean Marie Villot, Michele Pellegrino, Giacomo Lercaro, Agostino Casaroli, Léon-Joseph Suenens, Hélder Pessoa Câmara, che tentarono in tutti i modi di adeguare la Fede alle dottrine mondane?
San Giovanni Bosco fece avere una profezia a Leone XIII circa i problemi che sarebbero sorti nella Chiesa[1] e il fondatore dei Salesiani è senza dubbio una delle personalità che più amò la Sposa di Cristo e lo dimostrò con il pensiero e con l’azione, volendo non solo vedere, ma anche agire contro l’errore, lottando strenuamente contro la Massoneria e il liberalismo (relativismo) che minacciavano la stessa Chiesa e nella Chiesa i conti tornano sempre perché essa non appartiene agli uomini, ma a Cristo di cui Egli è Sovrano assoluto.
In data 13 gennaio 2013 il settimanale nazionale della Diocesi di Torino “il nostro tempo”, fondato nel 1946 dalla nobile figura di Monsignor Carlo Chiavazza (che fu anche cappellano nella Divisione Tridentina degli Alpini nella Campagna di Russia) e che da diversi anni, sotto la guida di Beppe Del Colle, segue una linea decisamente progressista, ha pubblicato due interessanti pagine a firma di don Giuseppe Trucco, parroco del Santo Volto (quella «cattedrale» industriale, che non ha nulla che riconduca al sacro, firmata dall’architetto svizzero Mario Botta). Il sacerdote, non certo di simpatie tradizionali, constata, però, la devastazione:
«L’uomo del Ventesimo secolo ha perso il senso della sua finitudine e si è atteggiato a superuomo. Ha posto se stesso sul piedistallo e al centro del mondo con delirio di onnipotenza, convinto di costruire un mondo a sua misura e sotto il suo esclusivo dominio. Un uomo convinto di poter risolvere tutto, di vincere con la scienza la natura, di fare a meno delle spinte soprannaturali, in una parola di liberarsi del concetto stesso di Dio, o di neutralizzarlo ponendolo fuori campo, quale indifferente alle sorti umane: un dio minore che non si interessa agli uomini, che non può o non vuole intervenire. Il Dio della Rivelazione letto come una pura finzione bonaria e per i deboli». La disamina di don Trucco è cruda: «Nelle nazioni di antica tradizione cattolica, l’Italia in primo luogo, il messaggio cristiano era gradatamente diventato substrato di tutta la cultura e aveva plasmato cristianamente  tutti i settori di vita. Il sistema cristiano, con valori fatti risalire al Vangelo interpretato e veicolato dalla Chiesa, era cosa di ordinaria accettazione. Il costume cristiano poteva sostituire il convincimento personale senza che fossero avvertite troppe contraddizioni. Si era creata [grazie agli insegnamenti e alla pastorale della Chiesa, ndr] una religiosità sorretta da tradizioni e condizionamenti sociali, a cui raramente ci si sottraeva. L’infrazione [l’errore, ndr] era comunemente avvertita e accettata come peccato, dal quale ci si liberava qualche volta l’anno ricorrendo alla Chiesa. L’autorità era rispettata e ritenuta necessaria sia a livello civile che religioso. Lo Stato [c’era tolleranza e non si inneggiava alla libertà religiosa, ndr], la Chiesa, la famiglia e la scuola erano i pilastri che garantivano una pacata trasmissione di modi di vivere. C’era un certo dissenso, ma solo raramente era di massa. Era comunque sperimentato e accettato che la vita comportasse massicce dosi di rinunce, di sacrifici, di impegno.
Ogni parrocchia si preoccupava di conservare lo status cristiano con l’amministrazione dei sacramenti. Si presupponeva che non ci fosse necessità di particolare preparazione specifica. L’ambiente familiare e sociale erano sufficienti. La messa con la predica e l’istruzione religiosa collettiva al pomeriggio della domenica erano sufficienti anche per i cristiani più esigenti. Per i sacramenti dell’iniziazione c’era il catechismo di Pio X con domande a cui rispondere con stupende risposte teologiche da studiare a memoria. Una fede solida (fidarsi sostanzioso di Dio) senza pretesa di dimostrazioni razionali. Fede che ha prodotto pur in tempi difficilissimi generazioni di santi comuni quali nonne, nonni, madri ecc.».
Possibile che non si possa ritornare ad avere «stupende risposte teologiche»? Nella Tradizione queste risposte ci sono, pronte all’uso. Noi, fedeli del XXI secolo, figli del XXI Concilio, desideriamo capire perché in esso non sono state date «stupende risposte teologiche» e a distanza di 50 anni, consapevoli della distruzione e della desolazione, non necessitiamo di ermeneutiche, ma della possibilità di attingere alle sorgenti della Tradizione che è stata chiaramente tradita.
Padre Cavalcoli ha scritto: «È evidente che qui i “tradizionalisti” non sono coloro che legittimamente, in piena comunione con la Chiesa e nel rispetto del Concilio, amano evidenziare i perenni valori della Sacra Tradizione con particolare riferimento alla S. Messa Tridentina, notoriamente liberalizzata dal Sommo Pontefice, ma si tratta di quei tradizionalisti i quali, in nome di un loro arbitrario immediato contatto con la Tradizione, erigendosi a giudici del Magistero, pretendono di trovare nel Concilio tradimenti o deviazioni dal dogma o accenti modernistici o compromessi con gli errori del mondo moderno». Guarda caso viene citato Monsignor Lefebvre, questo Vescovo torna continuamente a solleticare le coscienze cattoliche: un grillo parlante che non potrà mai essere schiacciato e messo a tacere perché, come egli disse, ricordando san Paolo «Tradidi quod et accepi» («Ho trasmesso quello che anch’io ricevuto», 1Cor 15,3) e chi riceve il bene, il vero, il bello (doni del Signore) è responsabile davanti a Dio e agli uomini di quel che ha ricevuto ed è chiamato a trasmetterlo.
Attenzione a condannare gratuitamente: qui non c’è soltanto il capro espiatorio Monsignor Marcel Lefebvre ed i suoi figli, ma c’è tutto un mondo ormai sollecitato a non subire gli errori, ma ad identificarli affinché chi è in grazia di stato di poter agire intervenga, come ha palesemente dimostrato il Santo Padre liberalizzando la Santa Messa di sempre (sulla quale Monsignor Lefebvre non aveva ceduto di un solo passo) e abrogando il decreto di scomunica ai Vescovi della FSSPX.
Il Concilio, come dimostrato ormai da molti studiosi come Romano Amerio, Monsignor Brunero Gherardini, Roberto de Mattei, Giovanni Turco, Padre Serafino Lanzetta, Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, Paolo Pasqualucci… non è intoccabile. Può essere studiato, esaminato, compreso, senza ipocrisie; se poi esaminandolo e studiandolo si arriva a determinate conseguenze la responsabilità non è di coloro che vogliono a buon diritto comprendere, ma di chi ha prodotto determinati errori, che possono essere tranquillamente recuperati senza definire per questo un Concilio eretico come in malafede qualcuno afferma, depistando il problema sui soggetti e non sull’oggetto. Comunque, alla fine di tutte le ridde umane, ogni cosa è nelle mani di Dio e sarà Lui a giudicare chi sono stati i veri eretici e chi i perseguitati per amor Suo.



[1] Esiste un manoscritto che riporta un’impressionante profezia di don Bosco sulla Chiesa e sul Sommo Pontefice, profezia che riconduce inevitabilmente a La Salette e al terzo Segreto di Fatima. Essa reca la data 24 maggio - 24 giugno 1873, nonché una lettera profetica recante le stesse date e alcuni consigli che don Bosco comunicò nel 1878 a papa Leone XIII, «Esordio delle cose più necessarie per la Chiesa». Cfr. G.B. Lemoyne,Memorie biografiche di don Giovanni Bosco raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne, vol. IX, ed. 1917, Appendice «B».

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