Una nota cantante italiana, già finalista al concorso di Miss Italia e frequentatrice di reality televisivi - prove che ha affrontato senza chiedere sconti per la sua cecità, salvo poi farsene forte ogni volta che le cose non prendevano la piega da lei voluta -, ha partecipato (e vinto) alle Paralimpiadi di Londra del 2012, esibendo un grande rosario tatuato sul collo del piede e un altro crocifisso metallico, penzolante da una vistosa catenina, che le ballonzolava sullo stomaco generosamente scoperto.
Nessuno ci ha trovato niente da dire, nemmeno il solito «Famiglia cristiana» e meno ancora il solito salotto televisivo in cui, chioccianti attorno alla solita presentatrice, i soliti, eterni ospiti fissi hanno sproloquiato le solite, immancabili banalità circa l’indomita forza d’animo dell’eroina, capace di affrontare e vincere anche il dolore del tatuaggio per amore dell’Idea; ascoltandola poi estatici mentre ella magnificava la propria impresa, affermando, peraltro, che doveva tutto ad una benefica Forza superiore.
Peccato che l’esibizionismo c’entri poco o niente con il vero rispetto e l’autentica confidenza in quella Forza, alla quale ci si accosta, semmai, nel religioso silenzio della propria anima, lontano dai microfoni e dai riflettori. È già un fatto discutibile, anche se ormai quasi universalmente accettato. che, per gareggiare in una competizione di atletica leggera, bisogni per forza presentarsi seminudi, tanto più in una disciplina che non ha niente a che fare con gli sport balneari; ma che su quelle nudità bisogni ostentare il crocifisso, così come altre soubrette lo fanno per mettere in maggiore evidenza le generose curve del seno, è decisamente troppo.
Si è perso di vista il confine tra il sacro e il profano; nel parlare, nel vestire, nella scelta dei tempi e dei luoghi, si mescolano continuamente le due cose: il che non è solamente una mancanza di umiltà e di rispetto verso la dimensione del sacro, ma anche verso quella del profano; perché ciascuno dei due ambiti possiede una sua dignità, ognuno dei due possiede un proprio statuto ontologico e, di conseguenza, esige di essere accostato tenendo conto della sua autonomia. In altre parole, chi non rispetta l’ambito del sacro, non rispetta neppure quello del profano: il giusto atteggiamento verso le cose parte dall’alto e scende verso il basso, a cascata, investendo ogni più piccolo aspetto o manifestazione del reale.
Oggi, non solo tale rispetto essenziale sembra essere venuto meno; si è arrivati al punto che il sacro diventa pretesto di ostentazione, di esibizione, di immodestia, di vanità, perfino di provocazione sessuale; non basta vestire l’immodestia, la vanità e la provocazione con gli abiti profani, bisogna vestirle anche con quelli del sacro: si pretende di strumentalizzare e di piegare i simboli del sacro ad un uso che non è solamente profano, ma che appartiene alla sfera più bassa del profano: quella del narcisismo e della smania di successo.
Un tempo, a partire dal 1971, un famoso marchio italiano di jeans, denominato «Jesus», mandava a spasso le ragazze con la scritta «Chi mi ama mi segua» stampata sulle natiche, le cui forme venivano sottolineate dall’aderenza dei pantaloni: era una parodia del sacro, una dissacrazione del religioso; ma almeno era esplicita, franca, inequivocabile nella sua volgarità.
Oggi la volgarità ha fatto un ulteriore salto di qualità: le persone non acquistano già bello e pronto il capo “blasfemo”, si abbigliano da se stesse in maniera blasfema, però convinte – in buona o in mala fede, non si sa – di rendere onore a Dio, di manifestare con franchezza il loro credo religioso in un mondo desacralizzato. E lo fanno in una maniera tale che rivela la totale scomparsa, in loro, non solo del buon gusto, ma anche del senso del limite, del confine tra sincerità e menzogna, tra narcisismo e devozione.
E proprio questo è l’ultimo stadio raggiunto dalla pornografia della vita quotidiana, nel senso letterale del termine – pornografia è l’ostentazione della parte rispetto all’intero, avulsa dal resto, brutalmente decontestualizzata-: lo stadio nel quale non si vede più il confine tra cose totalmente diverse; dove si mescolano malizia e spiritualità; dove si riesce a introdurre una nota sensuale e provocante, ma con simulata naturalezza, perfino là dove ci dovrebbero essere soltanto pudore, sobrietà, raccoglimento.
Intendiamoci: non c’è nulla di male nella sensualità e nemmeno nella provocazione; a patto che esse siano sfoggiate a casa loro, nell’ambito che è di loro pertinenza. Che una bella donna ami mettersi in mostra, non è certo cosa innaturale; quanto ai limiti del buon gusto e della opportunità, si tratta di questioni che hanno a che fare con l’educazione, con il rispetto dovuto agli altri ed a se stessi, insomma con il mondo dei valori; e la nostra epoca, che è una tipica epoca di trapasso, sta attraversando una crisi di valori abbastanza consistente da spiegare la gran confusione che regna anche in fatto di buon gusto e di opportunità.
Ma che quella bella donna voglia mettersi in mostra in un ambito che non è profano, ma sacro; sfruttando simboli che non sono profani, ma sacri; approfittando di un tempo che non è profano, ma sacro - pensiamo a certe ragazze della pubblicità vestite, o per meglio dire svestite, da Babbo Natale: tutto ciò ha a che fare non solo con la confusione dei valori, ma anche con la distruzione delle barriere fra ambiti radicalmente diversi, come lo sono il sacro e il profano.
Quando si tengono aperti i centri commerciali tutte le domeniche, Natale e Pasqua compresi; quando, per pubblicizzare un determinato prodotto, si inondano i giornali e i cartelloni murali con le fotografie di giovani suore che baciano giovani preti, sulle labbra, con sensuale abbandono; quando si trasforma la notte che precede la commemorazione dei defunti, nella notte delle streghe e del Diavolo, sostituendo pensieri e pratiche di “pietas” verso le anime dei trapassati con pensieri e pratiche pagani, sguaiati, radicalmente irreligiosi: allora la mescolanza dei due ambiti è totale, e rispecchia l’inversione dei valori caratteristica delle epoche di materialismo e di edonismo sfrenato, come lo è la nostra.
Né si creda che la sfera del sacro sia esclusivamente quella che attiene alla dimensione religiosa. L’arte, la filosofia, la scienza – la vera scienza – possiedono, ciascuna, una dimensione sacrale, alla quale sarebbe doveroso accostarsi con umiltà, rispetto, devozione. Vi è una sacralità dell’opera d’arte, così come vi è una sacralità del pensiero e così come vi è una sacralità della ricerca scientifica: e il profano dovrebbe avvicinarsi a queste cose trattenendo il fiato e camminando in punta di piedi. Si osservi, invece, come si comportano moltissime persone durante un concerto di musica classica, una rappresentazione teatrale, una conferenza filosofica o scientifica; si osservino il parlottare e l’agitarsi scomposto del pubblico, lo squillo dei telefonini cellulari lasciati distrattamente accesi, lo sbadigliare, l’alzarsi prima del tempo.
E ora si trasportino queste osservazioni nell’ambito che è proprio del sacro per eccellenza, ossia nella dimensione religiosa. Anche qui vi sono sguardi e gesti d’impazienza; telefonini che squillano fuori luogo; abbigliamenti e atteggiamenti inadatti e inopportuni; commenti a voce alta che disturbano la concentrazione e il devoto raccoglimento. Le funzioni religiose, già largamente permeate di spirito secolare e ridotte, sovente, a poco più che delle semplici assemblee civili, non incutono quel senso reverenziale di timore e tremore che corrisponde al loro intimo significato: un elevarsi dell’anima a Dio, un discendere dello spirito divino tra i fedeli. Nelle parole delle omelie, non di rado, si sente parlare di tutto, tranne che del bene e del male, del lecito e del’illecito, delle cose di Dio e delle cose del mondo.
Oppure si osservi il comportamento delle persone nei cimiteri, specialmente in occasione della ricorrenza dei defunti. Quasi nessuno si fa più il segno della croce quando entra o quando esce; quasi tutti parlano a voce alta, alcuni ridono e scherzano come se fossero in piazza; i bambini corrono qua e là, come ai giardini pubblici: tutto l’insieme si riduce a uno stanco rito borghese, che consiste nel cambiare i fiori sulle tombe e davanti ai loculi, così come si potrebbe cambiare l’olio del motore quando si porta la macchina dal meccanico o dal benzinaio.
La mancanza di proprietà, di maturità, di buon gusto, si nota anche in quegli ambiti che, pur non essendo di pertinenza del sacro, dovrebbero, nondimeno, godere di uno statuto socioculturale “alto”, pur all’interno della società profana: scuole, ospedali, palazzi di giustizia, uffici pubblici, sale d’aspetto di medici o dentisti. Invece, già a cominciare dall’abbigliamento, si vede quotidianamente che ben pochi entrano in simili luoghi con un atteggiamento rispettoso; la maggioranza si veste, d’estate specialmente, quasi come se dovesse recarsi in spiaggia; parla come se si trovasse in strada o al mercato; molti si portano la musica da ascoltare con l’Ipod e se ne vanno per i corridoi di un liceo o per le scale di un ufficio pubblico con la stessa disinvoltura con cui si muoverebbero per le stanze di casa loro, ciabattando e urtando le altre persone, magari anche esibendo generose superfici del proprio corpo, così, tanto per seguir la moda.
Che ci siano dei tempi e dei luoghi, oltre che delle modalità precise, per regolarsi in una maniera piuttosto che in un’altra, nelle varie circostanze della vita; che non tutto si possa fare in qualunque momento e in qualunque luogo; che una mamma che deve allattare il proprio bambino farebbe cosa educata evitando di scoprirsi il seno in piena sala d’aspetto ferroviaria, anche se nessuna legge esplicitamente lo proibisce, o che un giovane che entra nel cortile della scuola con la moto dovrebbe rallentare e dare la precedenza ai pedoni, anche se non vi sono gli appositi cartelli stradali a ricordarlo: tutto questo sembra ormai dimenticato.
Resta il dubbio fino a che punto le persone siano semplicemente inconsapevoli e maleducate e fino a che punto si nascondano dietro il comodo lasciapassare della spontaneità, della spigliatezza, della “modernità”. Resta il dubbio fino a che punto ci si trovi in presenza di scarsa maturità e di scarsa consapevolezza e fino a che punto gli esibizionisti, i narcisisti, i malati di protagonismo facciano semplicemente finta di non accorgersi della inopportunità e della cafoneria dei loro comportamenti, per poter occupare sempre maggiori spazi di visibilità e costringere il prossimo a prendere atto che loro ci sono, che si credono belli e interessanti, che hanno il diritto di occupare l’eterno palcoscenico del mondo, l’eterna fiera delle vanità.
Non lo sapremo mai; non sapremo mai dove finiscano la trasandatezza, l’esibizionismo, la volgarità e dove incominci una subdola strategia per attirare l’attenzione su di sé, in qualunque modo ed a qualunque costo. L’individualista di massa ha la forza del numero dalla sua: se ostenta, se provoca, se mette gli altri perfino in imbarazzo con i suoi comportamenti, può sempre respingere qualsiasi critica, dicendo che tutto quel che gli altri devono fare, se non hanno voglia di vederlo, è guardare altrove. Facile a dirsi: ma provate a mettervi nei panni, per esempio, dell’impiegato di un ufficio postale, e a dover trattare con un utente che si presenta al vostro sportello con tre o quattro chiodi infilati sulla lingua, nel naso, sulle labbra, perforandole da parte a parte: non saprete, letteralmente, da che parte guardare. Eppure state bene attenti a lasciarvi sfuggire il più piccolo segno di disagio, se non vorrete esporvi all’accusa di essere delle persone retrograde, intolleranti, perfino razziste. Non parliamo poi se quell’utente si presenta con i pantaloni così bassi da mostrarvi i peli del pube: attenti a dove guardate, se non volete fare la figura del “porco”. E così via.
Insomma: il sacro e il profano hanno significato in una società e in una cultura che possiedono il senso del limite, il senso della distinzione, il senso dei valori. Se ciò non avviene, allora il sacro e il profano si mescolano in un torbido minestrone dove tutto diventa lecito, tutto diventa giusto e buono, purché si abbia l’accortezza di invocare il sacrosanto diritto all’autenticità: parola magica, quest’ultima, che apre tutte le porte, come la formula di Alì Babà. Anche se quei comportamenti sono l’esatto contrario dell’autenticità, anche se sono nello stile massificato che adottano gli uomini e le donne da nulla, anonimi, insignificanti, e tuttavia smaniosi di riconoscimenti per il loro supposto valore, famelici di notorietà, impazienti di strappare sguardi ammirati.
Inversione di valori: quando il falso viene spacciato per vero; il brutto, per bello; il cattivo, per buono. Inversione voluta, programmata, imposta quasi per decreto, con la scusa che nessuno può ergersi a giudice dei supremi valori e che essi eccedono le capacità umane. Tutto perfettamente logico - del resto - in un mondo che ha ucciso Dio, forse per poter meglio infierire sul prossimo…
di Francesco Lamendola - 23/01/2013
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]
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