Perché no lasciare al chansonnier Paolo Conte di dedicarsi al “gioco dei segreti“, possibilmente declinato nella sua versione più bella, quella dell’intimità degli affetti?
Sembra di no. Non tira abbastanza, si vede. A tirare alla grande invece è il pacco melenso delle dietrologie dantesche. Come se, a banalizzare, scimmiottare e semplificare Dante gli rendessimo o ci rendessimo un qualsivoglia favore. Non è così. Dante è palloso e pesante – questa la diagnosi impietosa del lettore medio italiano e non. Perciò molti lo comprano e pochi lo leggono. Dante è sommo poeta e portatore di densissimi messaggi cristiani, di quel cristianesimo costantiniano e metafisico, escatologico e ierocratico che oggi dispiace anzitutto ai preti. Va tenuto così, come tutti i prodotti di qualità nostrana: prendere o lasciare.
Lasciano perplessi i tentativi di commercializzare il prodotto, buoni al massimo a ottenere l’effetto carnascialesco in stile Rondò veneziano. Pacchianissimo.
Due i più celebri e recenti modi di abbrutimento che cavalcano in tale direzione.
Il primo è il notissimo e tristissimo exploit di Roberto Benigni, maschera divisa tra la banalizzazione della tradizione cattolica italiana (non a caso applauditissimo dagli intellettuali della primavera ecclesiale) e la iper-prezzolata celebrazione dei mostri sacri neo-pagani (la Rivoluzione italiana anti-italiani e la Santa Costituzione).
Il secondo è lo scrittore piacione Dan Brown, il quale continua a montare il fortunato filone dell’esoterismo impossibile, sicuro che una bella fetta di lettori lo seguirà ciecamente in qualsiasi complottismo romanzato, inneggiando senza posa alla ragione e alla scientia nuda e cruda.
Contro quest’ultimo si erige il puntualissimo Introvigne:
Non è difficile immaginare che nel nuovo romanzo ci sarà presentata la solita figura di un Dante membro di società segrete ed eretico, un personaggio che fingeva di essere cattolico per sfuggire all’Inquisizione ma che in realtà credeva soltanto a quella religione sincretista ed esoterica, condita da una notevole avversione per la Chiesa Cattolica, che piace tanto a Brown e che unisce gli Illuminati di «Angeli e demoni», i membri del Priorato di Sion del «Codice da Vinci» e i massoni de «Il simbolo perduto». (QUI)
Il sociologo – notava di recente un mio amico che nella fitta selva di sociologi rossi Introvigne rappresenta una felice e imprevista eccezione – in un dotto excursus ci informa delle origini di certi miti circa l’esoterismo di Dante, attribuendole a Gabriele Rossetti. Le cui idee avrebbero variamente influenzato il figlio, pittore preraffaellita, nei cui capolavori spicca
un’intensa spiritualità che è però venata di estetismo e svuotata del cattolicesimo. Ma almeno si tratta di una spiritualità genuina e profonda – «Beata Beatrix», in particolare, è una commovente meditazione sul peccato, la morte e le colpe di Rossetti verso la moglie appena defunta, Lizzie Siddal (1829-1862) –: anche se non è davvero quella di Dante.
Come a dire che un tempo la fascinazione esoterica si accompagnava almeno a studiosi e artisti dotati di profondità e genio.
Con Brown corriamo il rischio che si tratti semplicemente delle idee correnti in qualche loggia massonica.
Quanto a Benigni, non mi pare meriti studi. Anche se mi ha divertito scoprire – su segnalazione del solito segugio Manfredini - che esistono pure siti dediti alla demitizzazione bultmanniana del pajaso aretino:
Fine della carrellata sconsolante.
Consoliamoci con una vertigine di Sermonti che ci riporta all’intrigo del genio fiorentino.
E con la sospesa icona preraffaellita della Beata Beatrix rossettiana.
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