Autoritarismo, indifferenza, compromesso e seduzione. Quattro atti della strategia conciliare.
In queste ultime settimane stiamo maturando una convinzione che vorremmo condividere con i nostri Lettori: essa riguarda le nuove strategie di controllo esercitate nei confronti dell'opposizione interna alla Chiesa, in particolare della parte più conservatrice dei movimenti tradizionalisti.
Negli anni immediatamente seguenti al Concilio, l'atteggiamento della Gerarchia nei confronti dei refrattari al nuovo corso è stato caratterizzato da una reazione estremamente autoritaria: si pensi al caso paradigmatico di Mons. Lefebvre, ma anche agli innumerevoli casi di persecuzione verso Prelati e sacerdoti legati alla Messa tridentina, o di docenti universitari critici sul Concilio, o di scrittori non allineati all'entusiasmo dei progressisti.
In quegli anni, era talmente evidente la rivoluzione in atto, da non consentire alcun dissenso, senza esclusione di scomuniche, sospensioni a divinis, rimozioni, espulsioni, trasferimenti, intimidazioni, minacce. Se si pensa alle melliflue parole di Giovanni XXIII all'inizio del Concilio, c'è da chiedersi se non soffrissero di uno sdoppiamento della personalità:
Questo autoritarismo a senso unico venne esercitato anche ai massimi livelli della Gerarchia, giungendo a proibire e dichiarare abrogata definitivamente l'antica Liturgia.
Per scongiurare il rischio di un cambiamento di rotta, Paolo VI impose che i Cardinali di ottant'anni non potessero né eleggere né essere eletti al Soglio di Pietro (Motu Proprio Ingravescentem aetatem, 20 Settembre 1970): erano quelli che avrebbero potuto porre un freno all'assedio modernista. Le epurazioni all'interno della Curia Romana furono macroscopiche e dimostrarono l'empietà e la mancanza di Carità verso degnissimi ecclesiastici, colpevoli solo di amare la Chiesa.
La Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di abbracciare le armi del rigore.
Allocuzione Gaudet Mater Ecclesia, 11 Ottobre 1962
Questo autoritarismo a senso unico venne esercitato anche ai massimi livelli della Gerarchia, giungendo a proibire e dichiarare abrogata definitivamente l'antica Liturgia.
La Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI.
Notifica Conferentia Episcopalium, 28 Ottobre 1974
Il Novus Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II.
Allocuzione al Concistoro Segreto, 4 maggio 1976.
Per scongiurare il rischio di un cambiamento di rotta, Paolo VI impose che i Cardinali di ottant'anni non potessero né eleggere né essere eletti al Soglio di Pietro (Motu Proprio Ingravescentem aetatem, 20 Settembre 1970): erano quelli che avrebbero potuto porre un freno all'assedio modernista. Le epurazioni all'interno della Curia Romana furono macroscopiche e dimostrarono l'empietà e la mancanza di Carità verso degnissimi ecclesiastici, colpevoli solo di amare la Chiesa.
I Vescovi diocesani, i Rettori dei Collegi Pontifici e dei Seminari, i Superiori degli Ordini religiosi colsero il segnale vaticano e dettero il via ad una caccia alle streghe tanto indecorosa quanto grottesca: ricordiamo tutti i casi emblematici di santi e buoni parroci scacciati dalla parrocchia e confinati in cappellanie di cimiteri o ospizi, i seminaristi allontanati senza spiegazioni, i professori giubilati, i fedeli trattati al pari di mentecatti o ribelli. Si giunse a far intervenire il braccio secolare per impedire la celebrazione della Messa tridentina, o per sgombrare chiese in cui chierici e fedeli osavano disobbedire alla tirannia romana recitando il Rosario in latino.
In altri casi si fece leva sul senso dell'obbedienza e dell'autorità di tanti ecclesiastici, per ottenere da essi, obtorto collo, la rinunzia a qualsiasi legittimo segno di dissenso. Un'obbedienza fraintesa, a dire il vero, frutto di una formazione anni Quaranta e Cinquanta in cui la vigilanza verso il Modernismo si era attenuata, pur mantenendo ferma la disciplina del Clero. Fu un gravissimo errore: separare l'obbedienza dalla sua ragion d'essere finì per consentire ai novatori, a distanza di pochi anni, di imporre le proprie idee in seno al Concilio, potendo contare su una massa di Prelati, chierici e fedeli tanto obbedienti quanto impreparati ad esercitare un sano e doveroso giudizio critico.
E per chi - come la Fraternità San Pio X - osa dissentire, ecco arroccarsi nella sua torre d'avorio la sacra maestà dell'infallibile Magistero Conciliare, ecco innalzarsi la tremenda folgore del Principe degli Apostoli, ecco riproporsi su sfolgorante trono Bonifazio VIII o Leone X. Quella tiara pavidamente deposta dinanzi al mondo ritorna a splendere corusca in capo al Vicario di Cristo solo quando fulmina anatemi contro i disobbedienti al Concilio. Si contendono la triplice corona anche altri zelatori della causa progressista, che se ne cingono con la serietà degna di un Mago Otelma, dopo averla rimossa dallo stesso stemma del Pontefice.
Inutile aspettarsi che tanto spiegamento di apostolici sdegni venga usato contro chi nega la Transustanziazione o la Sacra Verginità di Nostra Signora.
Il merito precipuo della Fraternità, tra gli altri, è di non essersi lasciata sinora trarre in inganno dall'uso improprio dell'autorità da parte della chiesa conciliare, replicando con la semplicità e la pacatezza della Verità ai sofismi della sinagoga romana. Il motivo di tanta furia nella Gerarchia le viene proprio dal constatare il fallimento di quel metodo autoritario che in molti altri casi aveva ottenuto immediati risultati. Ma come? Questi che sono tradizionalisti osano disobbedire al Vicario di Cristo e al Sacrosanto Concilio Ecumenico? Proprio così: in nome della Verità stessa, che ha posto dei limiti ben chiari all'esercizio dell'autorità e alla virtù dell'obbedienza.
Secondo atto, l'indifferenza
Dopo alcuni decenni, gran parte dei Cardinali, dei Prelati e dei sacerdoti che avevano combattuto o anche solo criticato le novità e le deviazioni conciliari riposavano nel seno di Abramo. Altri, esasperati dalla crisi dilagante, si erano rinchiusi in se stessi, trovando rifugio nella preghiera, nella Messa celebrata nel proprio appartamento, nella propaganda di nicchia, nella stampa di periodici cattolici. Altri ancora avevano perso il lume della ragione, ed erano giunti a veder complotti ovunque, anche dove non ce n'erano, e potevano esser facilmente screditati o trattati con la sufficienza che si accorda ai pazzi.
Si noti che questo modo di procedere non è per nulla dissimile da quello usato dai regimi comunisti nei confronti dei dissidenti: prima li si perseguita e li si assedia senza pietà, poi quando essi cedono alle pressioni psicologiche e reagiscono, li si rinchiude in manicomio.
Rimanevano ancora molti da domare: l'indifferenza li avrebbe dispersi in gran parte. Il Vescovo che chiede l'intervento della Santa Sede per richiamare un docente eretico rimane senza risposta; il sacerdote che ricorre alla Congregazione per denunciare abusi tollerati o addirittura incoraggiati dal proprio Vescovo viene abbandonato a sé stesso, non senza mandar copia della sua missiva all'Ordinario - Vos videbitis - ; il gruppo di laici che protesta con il Vescovo per gli abusi del parroco non viene nemmeno ricevuto in udienza. Gli articoli della stampa in cui si denunciano eresie e sacrilegi del Clero rimangono lettera morta. Nessuno interviene. Nessuno risponde. Nessuno reagisce.
Questa indifferenza da parte dell'Autorità serviva a far sentire abbandonato a sé stesso, impotente e indifeso, chiunque si appellasse ad essa. La resistenza dei buoni, pur animati dalle migliori intenzioni, avrebbe conosciuto momenti di sconforto, di desolazione, di rammaricato abbandono della santa causa, di defezione degli scandalizzati.
Ovviamente, lo stillicidio di abusi si moltiplica, e si moltiplicano le prese di posizione della Gerarchia a favore della corrente opposta: incontri ecumenici, concelebrazioni sacrileghe, chiese concesse agli eretici e ai pagani, massoni che pontificano dai giornali cattolici, Cardinali che insegnano gli errori di Lutero e Vescovi che negano i dogmi.
Ogni tanto giunge una timida voce da Roma, in cui un atto disciplinare viene sì promulgato, ma non divulgato, o presentato come petizione di principio priva di qualsiasi efficacia e, soprattutto, senza alcuna pena per il trasgressore. Il Papa ricorda l''obbligo per i chierici di indossare la veste talare: chi non la metteva prima non ha certo iniziato a metterla dopo. Il Papa ricorda che la Comunione va di norma amministrata in bocca: chi la dava sulla mano prima non ha certo smesso dopo. Il Papa dice che solo la Chiesa Cattolica è l'unica Chiesa di Cristo: chi propagandava l'ecumenismo prima non ha certo smesso dopo. Il Papa loda il latino e il gregoriano: chi disprezzava la lingua sacra e il canto liturgico non ha certo cambiato idea. Il Papa dice che il fedele ha diritto di comunicarsi in ginocchio: chi gli negava la Comunione prima continua a trattarlo come un fanatico anche dopo.
Nullum jus sine poena: se non si punisce chi viola la norma - magari con delle sanzioni pecuniarie, come facevano saggiamente nel Rinascimento i Vescovi coi loro preti - tanto vale non legiferare, e ci si risparmia anche la brutta figura dinanzi al mondo.
Così il meschino che va a pestare i piedini in Curia perché il suo parroco lo ha preso a male parole perché voleva nientemeno che comunicarsi alla balaustra non solo non ottiene soddisfazione né dal Vescovo né dalla Congregazione, ma viene deriso, trattato come uno scemo, screditato sul giornale cittadino. E ci si stupisce se, preso dall'esasperazione, lo si sente rispondere Et cum spiritu tuo alla messa nuova, come ultima forma di protesta.
Si noti che l'indifferenza non si esplica solo nei riguardi dei più oltranzisti, ma anche dei moderati e moderatissimi: l'infelice che chiede il Novus Ordo in latino, l'ingenuo che vorrebbe cantare il Credoalla Messa domenicale, il tapino che vorrebbe far indossare al Vescovo la pianeta per la festa patronale, il pio parroco che vorrebbe l'organo al posto delle chitarre imposte dal comitato parrocchiale. Va da sé che, dinanzi a queste richieste ridicole (e per le quali non si dovrebbe nemmeno consultare i Superiori, che non possono concedere ciò che è già legittimo), sentirsi chiedere da un parrocchiano i funerali tridentini per il padre appena defunto suona come un'enormità inaudita.
E ancora: indifferenza a senso unico. Lo zelo di certi preti dinanzi alle innovazioni più discutibili in materia liturgica; il compiacimento di certi sedicenti teologi di fronte alle farneticazioni dogmatiche più estreme; la condiscendenza cortigiana di certi Presuli davanti all'opportunità di presenziare a convegni coi rappresentanti delle sette e della Massoneria; il prono asservimento di certi Curiali verso i cosiddetti intellettuali laici; la mancanza di qualsiasi scrupolo ed anzi l'assoluta connivenza nel dare sepoltura ai suicidi, ai concubinari o ai pubblici peccatori; lo slancio degli apostolici amplessi con la Sinagoga e gli idolatri sono segni inequivocabili di appartenenza a quelle accolite e di condivisione dei loro intenti. Con loro l'indifferenza sarebbe maleducazione e le delicate coscienze del postconcilio non possono mancare di dar segni di solidarietà, comprensione, reciproca collaborazione, sbandierati nei bollettini parrocchiali e vantati sulla stampa.
L'indifferenza verso la Fraternità San Pio X, ad esempio, e l'estrema lentezza di qualsiasi gesto di conciliazione, non trovano eguali nel campo opposto, laddove si tratta di negare dogmi fondamentali pur di compiacere il Calvinista, il Luterano, l'Evangelico, l'Ortodosso, il Turco. Per costoro ogni sforzo è giustificato, ogni appello al dialogo è doveroso, ogni mea culpa è necessario.
E intanto il popolo trae insegnamento da questi comportamenti, li metabolizza, vi si rassegna. Ma qualcuno non cede.
Terzo atto, il compromesso
Dopo aver eliminato i più fieri oppositori (primo atto) e aver frustrato le proteste dei superstiti ignorandoli (secondo atto), ci si è accorti che il dissenso non è stato ridotto al silenzio e che anzi, soprattutto tra i giovani, serpeggia la minaccia di una resistenza cattolica e si fa sempre più pressante la richiesta della Messa tridentina come espressione orante della Fede immutata della Chiesa.
Ecco allora che si cerca di ridurre il danno: Giovanni Paolo II promulga un indulto col quale, per favorire le diserzioni nel campo avverso, si dichiara disponibile ad accogliere i sacerdoti della Fraternità lasciando loro il rito antico e autorizza la celebrazione della Messa di San Pio V per i gruppi di laici ex lefebvriani. La Curia ci mette del suo, complicando le procedure e lasciando intendere che quell'indulto va applicato solo ai vecchi rimbambiti che non si vogliono staccare dalla liturgia della loro infanzia. Sindrome di San Peter Pan. I Vescovi praticano l'ostruzionismo, pretendendo che i firmatari della richiesta siano schedati, e solo dopo mille rinvii autorizzano la Messa in chiese minuscole, a porte chiuse, senza campane e senza canti. I decreti di concessione recano nell'intestazione lo stemma di Sua Eccellenza e sono controfirmati dal Cancelliere, con timbro a secco e protocollo, come ai tempi di Pio IX. Intanto ai chierici transfughi si raccomanda di farsi vedere ogni tanto, per prudenza, al Novus Ordo, e ai sacerdoti di celebrarlo saltuariamente. Alcuni accettano, altri non cedono ma si chiede loro di smetterla di parlare del Concilio, della Dignitatis humanae, del Breve esame critico. Li si tollera in riserve ben circoscritte, li si lascia bearsi della ritrovata comunione con Roma a cantare l'Oremus pro Pontifice, tutti presi da mille dispute con gli ex confratelli, rimasti oltre cortina.
Giovanni Paolo II defunge ed è santo subito: infatti, nonostante morto, continua per alcune ore a nominare amici degli amici in posti chiave, il tutto con il sigillo papale, gelosamente custodito da mons. Stanislao. Un altro miracolo incontestabile: non esser riuscito a distruggere la Chiesa nonostante l'eroico impegno. Apokolokyntosis, seu Ludus de morte Wojtylae per plateam.
Poi viene eletto Benedetto XVI. Dopo una breve parentesi in cui mons. Piero Marini cerca di mantenere la rotta del precedente Pontificato, viene graziosamente defenestrato e gli succede il quasi omonimo Guido, che in breve cancella decenni di mostruosità liturgiche. Si giunge a vedere Benedetto XVI vestito da Papa.
Voci autorevoli si levano a mettere in dubbio il totem conciliare. Stimati studiosi pubblicano saggi in cui sono scoperti i metodi giacobini con cui la minoranza progressista ha potuto imporre la propria volontà all'augusta assise. Si moltiplicano le richieste di liberalizzazione della Messa tridentina, appoggiate agli scritti dell'allora Card. Ratzinger. Si invoca una maggior dignità nei riti, anche in quelli riformati.
Nel frattempo la causa di Beatificazione di Giovanni Paolo II procede spedita e il Papa va ad Assisi, anziché a Canossa, a benedire con la propria presenza l'ecumenismo irenista inaugurato dal predecessore. Baci, abbracci e udienze a Rabbini, Protestanti, eretici, Massoni, musulmani. Si replica il déjà vu wojtyliano in nome della pace e della tolleranza.
Si noti che, appena il Papa si discosta di un nulla dalla linea conciliare, arriva subito la bacchettata: lo scandalo della pedofilia, i complotti veri o presunti che coinvolgerebbero l'aiutante di camera, le lettere riservate dei Prelati. E ora anche lo IOR che non può più avere bancomat perché non garantirebbe, a differenza delle banche delle Isole Cayman, garanzie sulla trasparenza contro il riciclaggio di denaro. Tutti modi con cui si assedia il Santo Padre da dentro e da fuori. E che si non osi toccare il Giudeo: se l'ultimo degli scaccini esprime un pur discutibile giudizio sugli Ebrei, il Pontefice deve risponderne in prima persona dinanzi al sinedrio mediatico, il suo portavoce deve genuflettersi e ribadire che la Nostra Aetate è documento dell'infallibile magistero filosionista del Concilio e che hanno fatto bene a crocifiggere il Redentore e fanno bene ad andarne orgogliosi: noi, alla fine, siamo solo dei poveracci e non vediamo l'ora di essere loro figli nella fede, dopo averli avuti come fratelli maggiori. Inquietante: a sentir loro si direbbe abbiano giaciuto con nostra madre. E dire che ci è stato insegnato che la Chiesa è il nuovo Israele, e che l'Antica Legge è stata abrogata dalla Nuova ed Eterna Alleanza.
Poi è tutto un susseguirsi di notizie e di smentite: il tal giorno uscirà un documento papale sulla Messa antica, anzi no. Il Papa celebrerà un pontificale come ai tempi di Pio XII anzi no. Il Papa metterà il triregno, anzi no. Il Papa indosserà il fanone, anzi no.
A dispetto della falange progressista, il famoso Motu Proprio Summorum Pontificum finalmente è stato promulgato, e già si cerca di ridurne la portata. Si attende un documento applicativo, ma a Milano fingono di non essere sudditi del Pontefice Romano e non applicano né quello né questo. I Vescovi brontolano, si lamentano nelle Conferenze Episcopali, nei convegni. Alcuni apertamente disobbediscono, altri silenziosamente temporeggiano, pochi concedono la sospirata Messa romana. E come la concedono? Non secondo le norme del Motu Proprio, ma applicando a malincuore l'Indulto di Giovanni Paolo II. Così designano una chiesa in cui celebrare la Messa, non parrocchiale ovviamente, e tengono i tradizionalisti ben separati dalla gente perbene. Ovviamente, se la volontà papale fosse rispettata, le Messe tridentine si moltiplicherebbero in tutto l'orbe, e avrebbero certamente un seguito maggiore. E invece, nemmeno nella Diocesi del Papa si obbedisce, sempre secondo quel principio che rende vincolante sub gravi qualsiasi iniziativa di senso progressista, mentre ignora completamente anche le più severe disposizioni disciplinari e canoniche della Sede Apostolica quando non piacciono ai novatori. Proprio come i democratici di oggi: finché il popolo sovrano fa quel he vogliono, viva la democrazia; appena chiedono qualcosa che non garba loro, ecco la deriva plebiscitaria.
Nel frattempo la causa di Beatificazione di Giovanni Paolo II procede spedita e il Papa va ad Assisi, anziché a Canossa, a benedire con la propria presenza l'ecumenismo irenista inaugurato dal predecessore. Baci, abbracci e udienze a Rabbini, Protestanti, eretici, Massoni, musulmani. Si replica il déjà vu wojtyliano in nome della pace e della tolleranza.
Si noti che, appena il Papa si discosta di un nulla dalla linea conciliare, arriva subito la bacchettata: lo scandalo della pedofilia, i complotti veri o presunti che coinvolgerebbero l'aiutante di camera, le lettere riservate dei Prelati. E ora anche lo IOR che non può più avere bancomat perché non garantirebbe, a differenza delle banche delle Isole Cayman, garanzie sulla trasparenza contro il riciclaggio di denaro. Tutti modi con cui si assedia il Santo Padre da dentro e da fuori. E che si non osi toccare il Giudeo: se l'ultimo degli scaccini esprime un pur discutibile giudizio sugli Ebrei, il Pontefice deve risponderne in prima persona dinanzi al sinedrio mediatico, il suo portavoce deve genuflettersi e ribadire che la Nostra Aetate è documento dell'infallibile magistero filosionista del Concilio e che hanno fatto bene a crocifiggere il Redentore e fanno bene ad andarne orgogliosi: noi, alla fine, siamo solo dei poveracci e non vediamo l'ora di essere loro figli nella fede, dopo averli avuti come fratelli maggiori. Inquietante: a sentir loro si direbbe abbiano giaciuto con nostra madre. E dire che ci è stato insegnato che la Chiesa è il nuovo Israele, e che l'Antica Legge è stata abrogata dalla Nuova ed Eterna Alleanza.
Poi è tutto un susseguirsi di notizie e di smentite: il tal giorno uscirà un documento papale sulla Messa antica, anzi no. Il Papa celebrerà un pontificale come ai tempi di Pio XII anzi no. Il Papa metterà il triregno, anzi no. Il Papa indosserà il fanone, anzi no.
A dispetto della falange progressista, il famoso Motu Proprio Summorum Pontificum finalmente è stato promulgato, e già si cerca di ridurne la portata. Si attende un documento applicativo, ma a Milano fingono di non essere sudditi del Pontefice Romano e non applicano né quello né questo. I Vescovi brontolano, si lamentano nelle Conferenze Episcopali, nei convegni. Alcuni apertamente disobbediscono, altri silenziosamente temporeggiano, pochi concedono la sospirata Messa romana. E come la concedono? Non secondo le norme del Motu Proprio, ma applicando a malincuore l'Indulto di Giovanni Paolo II. Così designano una chiesa in cui celebrare la Messa, non parrocchiale ovviamente, e tengono i tradizionalisti ben separati dalla gente perbene. Ovviamente, se la volontà papale fosse rispettata, le Messe tridentine si moltiplicherebbero in tutto l'orbe, e avrebbero certamente un seguito maggiore. E invece, nemmeno nella Diocesi del Papa si obbedisce, sempre secondo quel principio che rende vincolante sub gravi qualsiasi iniziativa di senso progressista, mentre ignora completamente anche le più severe disposizioni disciplinari e canoniche della Sede Apostolica quando non piacciono ai novatori. Proprio come i democratici di oggi: finché il popolo sovrano fa quel he vogliono, viva la democrazia; appena chiedono qualcosa che non garba loro, ecco la deriva plebiscitaria.
Quarto atto, la seduzione
Il quarto atto sembrerebbe iniziato da poco, e forse rappresenta il momento più cruciale di questa perversa strategia: la seduzione.
Essa si rende necessaria, nella mente di chi vi ricorre, per tacitare le voci ancora dissonanti e per dare il colpo di grazia alla parte ancora sana della Chiesa. Non vogliamo credere che la Santità di Nostro Signore sia coinvolta in questa operazione: preferiamo pensare che parte dei discorsi e degli interventi pubblici degli ultimi mesi siano il frutto di un intervento della Segreteria di Stato, un organo vaticano che ha dimostrato di voler sostituire il Papa nel governo della Chiesa. La tiara che inalbera nel suo emblema, quando lo stemma di Benedetto XVI è sormontato dal mitriregno, è molto significativa perché conferma l'usurpazione in atto da decenni di insediamento dei progressisti. Uno strapotere venuto a galla anche sulla stampa, rivelando cordate di Cardinali indegne di una corte rinascimentale.
La seduzione è strumento astutissimo con cui il nemico, dopo esser retrocesso di poche posizioni per non esser sconfitto rovinosamente, cerca di irretire i buoni alla propria causa. Il ricorso alle minacce era servito all'inizio, quando i sacerdoti erano ancora formati alla vecchia scuola e si era loro insegnato ad obbedir tacendo. L'indifferenza era servita per fiaccare le residue energie dei pochi che non si erano piegati al ricatto. Il compromesso aveva fatto ritenere a molti che forse qualcosa si poteva ancora salvare, che non si poteva continuare a dar contro alla Gerarchia dopo aver avuto dei segnali promettenti di presunta resipiscenza: tornare a pieno titolo in comunione con Roma; vedersi riconosciuto il diritto di poter celebrare l'antica Liturgia; poter citare frasi inequivocabilmente cattoliche del Magistero senza il timore di sentirsi additare come fanatici; vedere dei Cardinali e dei Vescovi pontificare secondo il rito straordinario nelle Basiliche Romane; assistere alla designazione a Prefetto del Culto Divino di mons. Ranjit, e poi alla sua nomina a Cardinale: tutto questo non poteva non lasciar nutrire speranze per quanti non desiderano altro che servire il Papa e la Chiesa. E intanto si vedeva il Papa celebrare finalmente in modo decoroso, rivestito di splendidi paramenti, con la mitria di Pio IX in capo.
Per questo la desistenza di tanti non dev'essere giudicata severamente: essa è mossa da un sincero amore per il bonum certamen, anche se pecca forse di eccessiva indulgenza verso alcuni aspetti contraddittori da parte della medesima Gerarchia e del Santo Padre. Mons. Fellay ha dato prova di onestà e buona volontà, e certamente con lui i tanti che, su entrambi i versanti, non potevano che auspicare una pacificazione della Fraternità ed un suo più proficuo impegno all'interno della Chiesa, nelle sue parrocchie, nelle sue Curie, nei Sacri Palazzi.
E coloro che, pur in piena comunione con Roma, erano sempre stati oggetto di ostracismo e di discriminazione hanno gioito in cuor loro sperando di poter finalmente assistere ad un ritorno alla fedeltà alla Tradizione, allo slancio apostolico, alla sana spiritualità, alla solida dottrina, alla sacra Liturgia.
Ecco tesa la trappola. Lasciamo pure - si sono detti - che il Papa si mostri come il Duodecimo, che usi il fanone, che parli di adorazione di Dio e non di creatività: sono manie di un vegliardo che non possono e non devono toccare il Concilio. Ben venga quindi l'ermeneutica della continuità, se ci serve a salvare il Vaticano II perdendo per strada certi eccessi: al prossimo Conclave si farà presto a ribaltare tutto. E magari intanto beatifichiamo, dopo Wojtyla, anche Montini, come già siamo riusciti a fare con Giovanni XXIII. Canonizziamo i Papi del Concilio, e sarà impossibile sconfessare il Concilio stesso. Tanto, anche i tradizionalisti sono molto prudenti a dire che lo Spirito Santo era altrove e che due Pontefici hanno distrutto la Chiesa.
Chi sta fuori, continui pure a protestare: rimarrà separato da Roma. Chi è dentro, non può più protestare, perché da prima sapeva che il Concilio non si tocca e non è oggetto di discussione, a differenza di qualsiasi verità cattolica. E se, come oggi ancora accade, vi è chi protesta ugualmente, che sia fatto oggetto di riprovazione come un fanatico e un integralista, incapace di una mediazione tra l'immutabile dottrina e la necessità di aggiornare la sua esposizione al mondo odierno. Ma noi sappiamo bene che le pubbliche dichiarazioni di ortodossia non trovano riscontro nemmeno nel Prefetto del Sant'Uffizio, eretico ex professo. Sappiamo bene che i fasti romani sono ignorati nella maggior parte del mondo, dove imperversano i progressisti, i neocatecumenali, i seguaci dei movimenti carismatici, i fautori dell'inculturazione e via elencando.
Navigando in internet si scopre una galassia di siti in cui chiunque può dire la sua, dal sedevacantista a don Gallo, dal tradizionalista moderato alle donne prete. In questa congerie di opinioni, si nota però un progressivo intiepidimento di certi siti tradizionalisti, considerati autorevoli e - si dice - letti anche al di là del Tevere. Con intiepidimento intendiamo non una giusta moderazione nei commenti di esagitati anonimi, ma una strana ed innaturale inclinazione al confronto indulgente, privo di verve, non più pungente e polemico. Siti che sino a qualche tempo fa ponevano domande chiare e pressanti, ora si limitano a dar conto delle Messe e delle Novene celebrate in questo o quel paese. Blog in cui apparivano interessanti interventi di egregi professori ed esperti di materie ecclesiastiche, ora pubblicano titubanti resoconti dei colloqui con la Fraternità, riportando più il dissenso interno che i veri problemi di una pacificazione non garantita da precisi impegni canonici e chiarificazioni dottrinali sui punti controversi del Vaticano II. Vi è chi non ha esitato ad auspicare - come poi è avvenuto - l'allontanamento di Mons. Williamson, immolato sull'altare del clerically correct in nome del dialogo con le Autorità Romane ed ora abbandonato a sé stesso, con tutte le lacerazioni che ne deriveranno.
Si giunge a divulgare missive concilianti dell'Ecclesia Dei in cui si invitano i sacerdoti della Fraternità alla moderazione e alla prudenza nel criticare il Concilio, limitando la trattazione delle divergenze in sede accademica ed evitando il ricorso alla stampa. Il tutto mentre i novatori, che si vedono tagliar l'erba sotto i piedi, non esitano a gridare al ritorno al Medioevo, a mobilitare i loro sodali dei giornali laici per stigmatizzare il rischio di una messa in discussione del Concilio, a scomodare la Sinagoga per lamentare i tentativi di sminuire il Concilio, a scatenare l'opinione pubblica contro chi tocca il Concilio, a tacciare di eresia chi anche solo mette un punto interrogativo sull'infallibilità e l'inerranza del Concilio.
Ci chiediamo: che speranza di restaurazione della Chiesa si può onestamente nutrire dinanzi a questo spiegamento di forze progressiste, che si guardano bene dal trattare le proprie divergenze in sede accademica e che si permettono di dare ordini al Papa su quello che deve dire e quello che invece deve tacere? E come può il Santo Padre correggere gli eccessi interpretativi del Vaticano II, quando sono proprio questi su cui nessuno può esprimere la propria perplessità?
Va detto che, mentre si discetta sulla valenza dogmatica del Concilio, i nemici della Chiesa moltiplicano i propri assalti: matrimoni e adozioni per gli omosessuali, scuole di ogni ordine scristianizzate, contraccezione e aborto come normale prassi ospedaliera, predazione degli organi, eutanasia, usura, paganizzazione della società, pansessualizzazione del tempo libero, ignoranza imposta per legge. E poi arriverà anche il momento in cui si dovranno riconoscere diritti sessuali ai minori (quello che oggi è un crimine domani sarà legale, se lo stabilisce una minoranza con l'appoggio dei burocrati che legiferano), la poligamia, il sacrificio rituale e perché no il culto pubblico dell'idolo rivoluzionario e massonico. Ricordiamoci però che i progressisti, i novatori, i fautori del dialogo ecumenico sono già proni alla mentalità del secolo e non vorranno scontri frontali, anzi saranno disposti a farsi evangelizzatori ed apostoli della tolleranza, della libertà, della fraternità universale, dell'accoglienza della diversità.
Il nostro timore è che si giunga ad ammettere, in seno alla medesima Chiesa, tesi opposte e inconciliabili, cercando di annullare le occasioni di scontro: si darà spazio ai tradizionalisti e ai modernisti, si arriverà forse ad avere degli Atenei cattolici a fianco ad Università eretiche, a dar la Comunione in ginocchio e a tollerare che vi sia chi la profana amministrandola in mano. Una Chiesa in cui si veda il Papa pontificare in rito antico un giorno, presiedere un incontro di preghiera con gli idolatri il giorno dopo, abbracciare gli Ebrei come padri nella fede quello dopo ancora. Un grande, enorme supermercato della Religione, in cui ognuno può sceglier ciò che più gli aggrada, a patto che non bestemmi l'idolo conciliare: tutto questo ti darò, se prostrato mi adorerai. Gli uni citeranno laGaudium et Spes, gli altri la Sacrosanctum Concilium, ciascuno nei passi che ritiene accettabili per il proprio modo di credere. Alcuni chierici useranno la talare e il cappello romano, altri gireranno in borghese; i conservatori citeranno le omelie del Card. Ranjit o Canizares, i moderati quelle del Card. Cafarra, i progressisti quelle del Card. Ravasi e di mons. Muller. Si potrà scegliere se sentire la Messa antica in una Basilica barocca, la Messa riformata in una chiesa di cemento armato o la Messa neocatecumenale in uno stadio. L'Anglicano e il Luterano che si sentiranno uniti a Roma ancorché eretici potranno contare su un Ordinariato né più né meno che la Fraternità San Pio X, e a ciascuno sarà riconosciuto il diritto di conservare i propri riti, le proprie idee. Tutti contenti, tutti sotto il grande manto della nuova chiesa conciliare, che sarà unita e divisa ad un tempo, santa e dannata, cattolica ed eretica, apostolica ed ecumenica. Una terrificante visione orizzontale che ricorda la torre di Babele più che la Gerusalemme celeste di cui è figura la Santa Chiesa.
Che il Signore illumini le menti e infiammi di santo ardore la volontà di quanti Gli sono fedeli, sudditi e Pastori. Che confonda i piani dei Suoi nemici e li umili nella loro superbia.
Essa si rende necessaria, nella mente di chi vi ricorre, per tacitare le voci ancora dissonanti e per dare il colpo di grazia alla parte ancora sana della Chiesa. Non vogliamo credere che la Santità di Nostro Signore sia coinvolta in questa operazione: preferiamo pensare che parte dei discorsi e degli interventi pubblici degli ultimi mesi siano il frutto di un intervento della Segreteria di Stato, un organo vaticano che ha dimostrato di voler sostituire il Papa nel governo della Chiesa. La tiara che inalbera nel suo emblema, quando lo stemma di Benedetto XVI è sormontato dal mitriregno, è molto significativa perché conferma l'usurpazione in atto da decenni di insediamento dei progressisti. Uno strapotere venuto a galla anche sulla stampa, rivelando cordate di Cardinali indegne di una corte rinascimentale.
La seduzione è strumento astutissimo con cui il nemico, dopo esser retrocesso di poche posizioni per non esser sconfitto rovinosamente, cerca di irretire i buoni alla propria causa. Il ricorso alle minacce era servito all'inizio, quando i sacerdoti erano ancora formati alla vecchia scuola e si era loro insegnato ad obbedir tacendo. L'indifferenza era servita per fiaccare le residue energie dei pochi che non si erano piegati al ricatto. Il compromesso aveva fatto ritenere a molti che forse qualcosa si poteva ancora salvare, che non si poteva continuare a dar contro alla Gerarchia dopo aver avuto dei segnali promettenti di presunta resipiscenza: tornare a pieno titolo in comunione con Roma; vedersi riconosciuto il diritto di poter celebrare l'antica Liturgia; poter citare frasi inequivocabilmente cattoliche del Magistero senza il timore di sentirsi additare come fanatici; vedere dei Cardinali e dei Vescovi pontificare secondo il rito straordinario nelle Basiliche Romane; assistere alla designazione a Prefetto del Culto Divino di mons. Ranjit, e poi alla sua nomina a Cardinale: tutto questo non poteva non lasciar nutrire speranze per quanti non desiderano altro che servire il Papa e la Chiesa. E intanto si vedeva il Papa celebrare finalmente in modo decoroso, rivestito di splendidi paramenti, con la mitria di Pio IX in capo.
Per questo la desistenza di tanti non dev'essere giudicata severamente: essa è mossa da un sincero amore per il bonum certamen, anche se pecca forse di eccessiva indulgenza verso alcuni aspetti contraddittori da parte della medesima Gerarchia e del Santo Padre. Mons. Fellay ha dato prova di onestà e buona volontà, e certamente con lui i tanti che, su entrambi i versanti, non potevano che auspicare una pacificazione della Fraternità ed un suo più proficuo impegno all'interno della Chiesa, nelle sue parrocchie, nelle sue Curie, nei Sacri Palazzi.
E coloro che, pur in piena comunione con Roma, erano sempre stati oggetto di ostracismo e di discriminazione hanno gioito in cuor loro sperando di poter finalmente assistere ad un ritorno alla fedeltà alla Tradizione, allo slancio apostolico, alla sana spiritualità, alla solida dottrina, alla sacra Liturgia.
Ecco tesa la trappola. Lasciamo pure - si sono detti - che il Papa si mostri come il Duodecimo, che usi il fanone, che parli di adorazione di Dio e non di creatività: sono manie di un vegliardo che non possono e non devono toccare il Concilio. Ben venga quindi l'ermeneutica della continuità, se ci serve a salvare il Vaticano II perdendo per strada certi eccessi: al prossimo Conclave si farà presto a ribaltare tutto. E magari intanto beatifichiamo, dopo Wojtyla, anche Montini, come già siamo riusciti a fare con Giovanni XXIII. Canonizziamo i Papi del Concilio, e sarà impossibile sconfessare il Concilio stesso. Tanto, anche i tradizionalisti sono molto prudenti a dire che lo Spirito Santo era altrove e che due Pontefici hanno distrutto la Chiesa.
Chi sta fuori, continui pure a protestare: rimarrà separato da Roma. Chi è dentro, non può più protestare, perché da prima sapeva che il Concilio non si tocca e non è oggetto di discussione, a differenza di qualsiasi verità cattolica. E se, come oggi ancora accade, vi è chi protesta ugualmente, che sia fatto oggetto di riprovazione come un fanatico e un integralista, incapace di una mediazione tra l'immutabile dottrina e la necessità di aggiornare la sua esposizione al mondo odierno. Ma noi sappiamo bene che le pubbliche dichiarazioni di ortodossia non trovano riscontro nemmeno nel Prefetto del Sant'Uffizio, eretico ex professo. Sappiamo bene che i fasti romani sono ignorati nella maggior parte del mondo, dove imperversano i progressisti, i neocatecumenali, i seguaci dei movimenti carismatici, i fautori dell'inculturazione e via elencando.
Navigando in internet si scopre una galassia di siti in cui chiunque può dire la sua, dal sedevacantista a don Gallo, dal tradizionalista moderato alle donne prete. In questa congerie di opinioni, si nota però un progressivo intiepidimento di certi siti tradizionalisti, considerati autorevoli e - si dice - letti anche al di là del Tevere. Con intiepidimento intendiamo non una giusta moderazione nei commenti di esagitati anonimi, ma una strana ed innaturale inclinazione al confronto indulgente, privo di verve, non più pungente e polemico. Siti che sino a qualche tempo fa ponevano domande chiare e pressanti, ora si limitano a dar conto delle Messe e delle Novene celebrate in questo o quel paese. Blog in cui apparivano interessanti interventi di egregi professori ed esperti di materie ecclesiastiche, ora pubblicano titubanti resoconti dei colloqui con la Fraternità, riportando più il dissenso interno che i veri problemi di una pacificazione non garantita da precisi impegni canonici e chiarificazioni dottrinali sui punti controversi del Vaticano II. Vi è chi non ha esitato ad auspicare - come poi è avvenuto - l'allontanamento di Mons. Williamson, immolato sull'altare del clerically correct in nome del dialogo con le Autorità Romane ed ora abbandonato a sé stesso, con tutte le lacerazioni che ne deriveranno.
Si giunge a divulgare missive concilianti dell'Ecclesia Dei in cui si invitano i sacerdoti della Fraternità alla moderazione e alla prudenza nel criticare il Concilio, limitando la trattazione delle divergenze in sede accademica ed evitando il ricorso alla stampa. Il tutto mentre i novatori, che si vedono tagliar l'erba sotto i piedi, non esitano a gridare al ritorno al Medioevo, a mobilitare i loro sodali dei giornali laici per stigmatizzare il rischio di una messa in discussione del Concilio, a scomodare la Sinagoga per lamentare i tentativi di sminuire il Concilio, a scatenare l'opinione pubblica contro chi tocca il Concilio, a tacciare di eresia chi anche solo mette un punto interrogativo sull'infallibilità e l'inerranza del Concilio.
Ci chiediamo: che speranza di restaurazione della Chiesa si può onestamente nutrire dinanzi a questo spiegamento di forze progressiste, che si guardano bene dal trattare le proprie divergenze in sede accademica e che si permettono di dare ordini al Papa su quello che deve dire e quello che invece deve tacere? E come può il Santo Padre correggere gli eccessi interpretativi del Vaticano II, quando sono proprio questi su cui nessuno può esprimere la propria perplessità?
Va detto che, mentre si discetta sulla valenza dogmatica del Concilio, i nemici della Chiesa moltiplicano i propri assalti: matrimoni e adozioni per gli omosessuali, scuole di ogni ordine scristianizzate, contraccezione e aborto come normale prassi ospedaliera, predazione degli organi, eutanasia, usura, paganizzazione della società, pansessualizzazione del tempo libero, ignoranza imposta per legge. E poi arriverà anche il momento in cui si dovranno riconoscere diritti sessuali ai minori (quello che oggi è un crimine domani sarà legale, se lo stabilisce una minoranza con l'appoggio dei burocrati che legiferano), la poligamia, il sacrificio rituale e perché no il culto pubblico dell'idolo rivoluzionario e massonico. Ricordiamoci però che i progressisti, i novatori, i fautori del dialogo ecumenico sono già proni alla mentalità del secolo e non vorranno scontri frontali, anzi saranno disposti a farsi evangelizzatori ed apostoli della tolleranza, della libertà, della fraternità universale, dell'accoglienza della diversità.
Il nostro timore è che si giunga ad ammettere, in seno alla medesima Chiesa, tesi opposte e inconciliabili, cercando di annullare le occasioni di scontro: si darà spazio ai tradizionalisti e ai modernisti, si arriverà forse ad avere degli Atenei cattolici a fianco ad Università eretiche, a dar la Comunione in ginocchio e a tollerare che vi sia chi la profana amministrandola in mano. Una Chiesa in cui si veda il Papa pontificare in rito antico un giorno, presiedere un incontro di preghiera con gli idolatri il giorno dopo, abbracciare gli Ebrei come padri nella fede quello dopo ancora. Un grande, enorme supermercato della Religione, in cui ognuno può sceglier ciò che più gli aggrada, a patto che non bestemmi l'idolo conciliare: tutto questo ti darò, se prostrato mi adorerai. Gli uni citeranno laGaudium et Spes, gli altri la Sacrosanctum Concilium, ciascuno nei passi che ritiene accettabili per il proprio modo di credere. Alcuni chierici useranno la talare e il cappello romano, altri gireranno in borghese; i conservatori citeranno le omelie del Card. Ranjit o Canizares, i moderati quelle del Card. Cafarra, i progressisti quelle del Card. Ravasi e di mons. Muller. Si potrà scegliere se sentire la Messa antica in una Basilica barocca, la Messa riformata in una chiesa di cemento armato o la Messa neocatecumenale in uno stadio. L'Anglicano e il Luterano che si sentiranno uniti a Roma ancorché eretici potranno contare su un Ordinariato né più né meno che la Fraternità San Pio X, e a ciascuno sarà riconosciuto il diritto di conservare i propri riti, le proprie idee. Tutti contenti, tutti sotto il grande manto della nuova chiesa conciliare, che sarà unita e divisa ad un tempo, santa e dannata, cattolica ed eretica, apostolica ed ecumenica. Una terrificante visione orizzontale che ricorda la torre di Babele più che la Gerusalemme celeste di cui è figura la Santa Chiesa.
Che il Signore illumini le menti e infiammi di santo ardore la volontà di quanti Gli sono fedeli, sudditi e Pastori. Che confonda i piani dei Suoi nemici e li umili nella loro superbia.
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