ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 23 gennaio 2013

A ciascuno il suo problema


(di Louis Salleron) Le accorate meditazioni sulla Chiesa di oggi che lo scrittore francese Louis Salleron (1905-1989) formula a mezza voce in questo articolo, quasi un amaro soliloquio, riteniamo possano far riflettere molti, specie uomini di Chiesa, sul dramma, e sul peccato, dell’indifferenza: questa abulia dello spirito che sembra impedire di reagire al veleno di certe concezioni ecclesiologiche oggi accreditate, e agli atteggiamenti che ne conseguono. Questo articolo apparve sulla rivista francese “Itinéraires” nell’ aprile 1976 (n. 202) e venne successivamente tradotto e pubblicato in Italia sul “Notiziario di Una Voce” (nn. 42-43, gennaio-aprile 1978).
* * *            Per un cattolico il Papa è il ricorso supremo. Ma nella crisi attuale, questo ricorso è di poco peso.
Se si trattasse soltanto di seguire Paolo VI nel suo insegnamento sulle grandi questioni relative alla fede tutto sarebbe semplice. Ma sarebbe difficile ritrovare la dottrina da egli professata nella prassi del suo governo. Sotto la bandiera dell’ecumenismo la Chiesa ha fatto una svolta verso il protestantesimo. La fedeltà alla tradizione diventa peccato contro lo Spirito. Si preferisce Lutero a Pio V. Ovunque sorgono Chiese nazionali. Il Papa sembra presiedere soltanto all’«autodemolizione» della Chiesa, che egli deplora senza che si veda quello che fa per tentare di fermarla.
            Per molti Paolo VI è il loro problema. Non è il mio. Pur vedendo il carattere catastrofico dell’era post-conciliare, non me ne spaventerei se vi vedessi il fatto di un uomo. Ciò che mi spaventa, ciò che è il mio problema è che tutta la Chiesa occidentale sembra essere perfettamente d’accordo con la situazione attuale. Se vi è disaccordo, è soltanto in quanto gli orientamenti romani sono giudicati troppo timidi. L’episcopato francese, tra l’altro saldamente arroccato a Roma dove i suoi rappresentanti occupano alcuni posti chiave, iniziando dalla Segreteria di Stato, ritiene che Paolo VI sia l’ostacolo maggiore alla rivoluzione che sogna. Ecco dove siamo arrivati.
            Non è però questo scivolamento della Chiesa che mi colpisce, è il fatto che nessun vescovo lo denunci. Diranno che c’è Mgr. Lefebvre. Ma non è vescovo diocesano. In Francia e praticamente in tutto l’Occidente, nessun vescovo si dissocia dalla «collegialità» per affermare, nella sua diocesi, la sua volontà di difendere la Fede, il testo esatto della Sacra Scrittura, il carattere sacrificale della Messa, il ministero sacerdotale, la catechesi cattolica. Lo potrebbe fare tanto più facilmente in quanto disporrebbe di un’ampia scelta di testi di Paolo VI e del Vaticano II per sostenere la sua presa di posizione. Ma no, la praxis collegiale fa legge; tutti i vescovi vi si sottopongono.
            È questo il mio problema, essendo questa situazione senza precedente nella Chiesa. Non ha precedenti in nessuna società. Nessun cambiamento profondo, nessuna mutazione, nessuna rivoluzione avviene senza che si manifestino opposizioni: questa volta invece non vi è opposizione alcuna nella Chiesa (ufficiale).
            Se si tenta di capire questa unanimità, soltanto due sono le spiegazioni. O i vescovi, che in cuor loro si preoccupano di quanto succede, pensano che occorre anzitutto assicurare l’unità della Chiesa mentre i raddrizzamenti avverranno in tempo utile; oppure essi pensano che sia lo Spirito Santo ad agire, il quale darà poi al Cristianesimo quelle forme nuove che intende dargli. In entrambi i casi, questa mancanza di reazione mi sembra tragica: infatti, Iddio non salva i cristiani senza di essi, né salva la Chiesa senza di essa.
            L’abbandono all’evoluzione è una dimissione; una Chiesa in preda a lotte interne sarebbe uno spettacolo triste, ma il segno di una Chiesa viva. La decomposizione della Chiesa sotto le apparenze dell’unità fa temere una Chiesa moribonda.
            So che vi sono santi. Vi sono gli innumerevoli martiri dei Paesi dove il cristianesimo è più crudelmente perseguitato che durante i primi secoli; vi sono martiri sconosciuti nei nostri Paesi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici che soffrono e muoiono in silenzio non sentendo di avere sufficiente autorità per testimoniare con la parola o non avendone la possibilità. C’è la carità attiva di innumerevoli dedizioni che sono il cristianesimo in atto. So tutto questo; non dubito della chiesa dei Santi; ma dubito della Chiesa istituzionale. Che essa ritenga di doversi difendere contro i temuti effetti della proclamazione delle Verità mi fa tremare per il suo avvenire.
            In un recente articolo apparso su «Le Monde», Andre Fontaine evocava per inciso un pensiero di Tocqueville, secondo il quale le religioni sono sempre minacciate da due pericoli: gli scismi e l’indifferenza. Avrebbe potuto aggiungere il sincretismo che ne è per così dire la sintesi. Gli scismi sono la minaccia dei periodi di fede, l’indifferenza è la minaccia dei periodi di indebolimento della fede.
            Siamo in un’epoca d’indifferenza. I dogmi non hanno più importanza. Etienne Gilson lo aveva notato quando, nella traduzione del Credo, il «consustanziale» fu cambiato in «della stessa natura». Il Cardinale Lefebvre rispose con un rifiuto categorico ad una petizione, firmata dai più grandi nomi cattolici, che chiedeva il ripristino di «consustanziale». Al suo rifiuto dava due ragioni. La prima era, per l’appunto, che la questione «all’ora presente ha perso molto della sua importanza» (ha effettivamente perso molto della sua importanza perché ormai risolta da sedici secoli, ne riprende ora in quanto oggi viene rimessa in questione). La seconda ragione era che la petizione costituiva ai suoi occhi una mossa insolente da parte dei laici nei riguardi dell’episcopato: «Agli occhi di molti un tale modo di agire sembra ingiungere all’episcopato di pronunciarsi in merito ad un grave punto di dottrina, cioè a quanto pare, nel dubbio che l’Episcopato stesso non abbia il suo pieno accordo». Così per il Card. Lefebvre il «consustanziale» è un grave punto di dottrina mentre nello stesso tempo ha perso molto della sua importanza. D’altra parte, questo punto di dottrina è, per ipotesi, molto meno importante dell’atteggiamento di sottomissione silenziosa che deve essere propria dei laici nei riguardi dell’episcopato. Sembra impossibile manifestare una maggiore indifferenza verso il Credo cattolico.
Questa indifferenza è oggi palese in ogni settore. Ma a proposito della Messa ha raggiunto un grado impensabile nei secoli precedenti.
            Come sappiamo, Paolo VI ha approvato un nuovo rito della Messa. In un’epoca di fede questa nuova Messa avrebbe suscitato innumerevoli proteste e contestazioni. Orbene, è andata liscia come l’olio. Perche? Per indifferenza.
            Il Papa, si dice, ha il diritto di fare un nuovo rito e si aggiunge che quello che è stato promulgato è assai superiore al precedente. È possibile, ma è qui che si manifesta palesemente l’indifferenza. Il rito di Pio V era così antico che il semplice attaccamento alla tradizione – con tutto ciò che rappresenta la tradizione nella Chiesa – avrebbe dovuto creare uno choc in buona parte dell’episcopato. Non vi fu choc alcuno, vi fu soltanto indifferenza. Una Messa caccia l’altra e se la nuova è più bella della vecchia, perché lamentarsi?
            Lo scandalo è tanto più grande (se si considera) che la nuova Messa è stata fatta con la collaborazione di teologi protestanti, che è stata messa a punto con lo scopo di renderla accettabile ai protestanti e che la sua prima «Presentazione» (l’Istitutio generalis) era fatta in termini così lontani dalla dottrina cattolica che fu necessario rifarla perché fosse compatibile con l’insegnamento dogmatico del Concilio di Trento (confermato del resto da Vaticano II). La Presentazione è stata cambiata, ma il rito è rimasto immutato. Di modo che abbiamo una Messa equivoca.
            Meglio ancora, il rito tradizionale è perseguitato. Non dico che sia vietato perché non vi è testo legale che lo vieti. Ma testi illegali lo vietano e i vescovi sostengono che è vietato e perseguitano i sacerdoti che vi rimangono fedeli: tutta la propaganda ufficiale vuol far credere ai sacerdoti e ai fedeli che è vietato. Si è visto un monaco di Solesmes coprirsi di vergogna scrivendo un libro per affermare che la nuova Messa è obbligatoria e la Messa tradizionale vietata: o spirito di Dom Guéranger!
            Si dirà che vi è stata la protesta solenne dei cardinali Ottaviani e Bacci. È vero. Ha salvato l’onore della Chiesa e rimane l’ancora di salvezza per le restaurazioni future. Vi è anche l’attaccamento irremovibile di Mgr. Marcel Lefebvre (da non confondere con il defunto cugino cardinale) alla dottrina cattolica della messa e del sacerdozio. Ma egli è solo per questo messo al bando dell’episcopato francese e perseguitato dalla burocrazia vaticana.
            Naturalmente all’indifferenza nei riguardi della Messa fa seguito una uguale indifferenza per tutto il resto. Ma ancora una volta, non è il fatto che nella Chiesa di Francia – essendo francese penso ad essa in primo luogo – esista una corrente generale di abbandono della tradizione cattolica, è il fatto che questa corrente sia unanime – voglio dire: nell’episcopato – che mi spaventa. Mi sento raggelare il sangue vedendo che non un solo vescovo difende la verità cattolica nella sua diocesi. A che cosa credono? Quale grado d’indifferenza hanno raggiunto? Il mio problema è questo: è questa unanimità. Parlando il 12 febbraio 1976 al centro culturale San Luigi di Roma, Mgr. Etchegaray dichiarava: «Quando si tratta di propagare la fede, l’unità passa prima di tutto il resto». Parole estremamente ambigue. L’unità ha senso soltanto se è al servizio della verità e oggi tutto tende a far passare l’unità prima della verità. Non è più la fede che viene propagata, bensì l’ubbidienza incondizionata all’episcopato. Un episcopato che ammette ogni libertà per quelli il cui progressismo serve di cauzione allo spirito conciliare e che condanna con estremo rigore quelli che la loro fedeltà alla tradizione mette ai suoi occhi fuori della «Chiesa del Concilio».
            In Francia spunta all’orizzonte di un prossimo avvenire una Chiesa nazionale che, afferrando la prima occasione, sfornerà sacerdoti ordinando uomini sposati la cui missione sarà di costituire, sulle rovine delle parrocchie, delle adunate di cristiani aggregati secondo le loro affinità politiche e sociali. Che diventerà il cattolicesimo in mezzo a tutto questo?
            All’apice romano si profila, parallelamente, il bozzetto di una Chiesa ecumenica, realizzazione di un sincretismo, frutto della proliferazione degli scismi su uno sfondo d’indifferenza. Il papa diventerebbe presidente di una confederazione di Chiese confessanti fedi diverse intorno ad un Credo comune ridotto al minimo. In breve, la Chiesa cattolica sposerebbe le strutture e lo spirito del protestantesimo, pur conservando il suo nucleo storico proprio mediante qualche sottile combinazione giuridica e teologica.
            È forse impossibile? È impossibile per il momento. Ma domani? Il fabbisogno di religione della maggioranza degli uomini si riduce praticamente al sentimento ed a una liturgia qualsiasi. L’esaltazione del sentimento dell’amore del prossimo e della lotta contro le ingiustizie, combinati con svariate liturgie corrisponderebbe perfettamente ad una religione ecumenica diversificata, abbastanza analoga all’anglicanesimo che ammette confessioni cristiane che vanno dal Credo quasi cattolico al più vago degli umanesimi. Molti cattolici, del resto, credono di vedere nell’atteggiamento del papa un incoraggiamento a questa evoluzione. Poiché, anche se è vero che Paolo VI ricorda sempre le esigenze della fede cattolica, i gesti che prodiga nei riguardi degli ortodossi, dei protestanti e più generalmente dei credenti di ogni confessione e perfino dei membri della «grande famiglia umana» sono interpretati da molti quale annuncio di una «unità ecumenica» che non può tardare (la più breve, la più semplice e finora l’ultima in data delle allocuzioni di Paolo VI su questo argomento è quella che ha pronunciato all’Angelus della domenica 5 gennaio 1976 – D.C., n. 1692 del 15 febbraio 1976).
            È allora che mi preoccupo. L’unità attuale della Gerarchia cattolica già porta in sé le rotture che il suo carattere equivoco farà esplodere un giorno o l’altro. In effetti, un giorno o l’altro la Chiesa dovrà necessariamente prendere posizione sia da una parte, sia dall’altra. Tenterà un raddrizzamento della Fede e della Legge e si scontrerà con il clan progressista che ha praticamente in mano tutto «l’apparato», oppure continuerà a varare l’ecumenismo, e a quel punto è impossibile che non reagisca un numero notevole di vescovi e di sacerdoti, che nell’attesa avevano scelto l’ubbidienza. In ambedue i casi, lo scisma, la frattura, si rivelerà in tutta la sua estensione. So che la realtà futura è sempre diversa da come la si può pensare, ma lo schema che indico si verificherà necessariamente sotto una forma o l’altra. Il dramma sarà tanto più grande in quanto l’episcopato nella sua superficiale unità collegiale si comporta come se tutto fosse per il meglio, come se le piccole sbavature che si possono lamentare fossero destinate a scomparire da sé.
            Ecco il mio problema: questo silenzio di tutti i vescovi, questa dimissione di tutti i vescovi. La Chiesa non è più concepita da loro che quale adunanza della quale essi sono capi, le cui parole d’ordine successive vanno accettate, quali esse siano, se uno vuole rimanere cattolico. Si pensa al comunismo i cui militanti devono sempre considerare verità assoluta la verità del momento che li mantiene nella linea generale del Partito. Lo Est, est, Non, non cede il posto ad un evangelismo politico, evolutivo e polimorfo che diventa il Credo comune. Queste grandi ondate del sentimento, carismatiche o rivoluzionarie, sono spesso apparse nella Storia, ma non senza opposizioni e resistenze: oggi, al livello della Gerarchia, cerco invano l’opposizione, la resistenza. Il mio problema è questa novità radicale. (di Louis Salleron)

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.