ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 1 febbraio 2013

Cinquant'anni di culto dell'uomo, e li porta male!

QUALE ANTROPOCENTRISMO NEL VATICANO II? RECENSIONE DI “IL VATICANO II. ALLE RADICI D’UN EQUIVOCO”, DI MONS. BRUNERO GHERARDINI -

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L’ultimo saggio di Mons. Gherardini “Vaticano II. Alle radici di un equivoco”, secondo la definizione che egli stesso ne dà, “non è come gli altri. Come nessuno degli altri. È, a suo modo, polemico, mentre in ognuno degli altri la polemica – intendo quella personale – fu quasi sempre assente. [..] E sulla base della verità e della decenza, mai allontanando lo sguardo dalle questioni di metodo e di contenuto, è nata la presente pubblicazione”.

L’autore inizia con l’analisi storica dell’evento conciliare, evidenziando la costante conflittualità e il “colpo di mano” dei progressisti. “Se la manomissione del regolamento e l’introduzione di nuove norme per spalancar ai novatori l’accesso nelle commissioni conciliari – cioè, là dove si sarebbe giocato il 90% delle sorti del Concilio – vennero considerate e salutate come due vere e proprie vittorie, quella conseguita nella III Congregazione generale fu la vittoria per antonomasia. Dal suo punto di vista, la coalizione poteva ben menarne vanto. È significativo il fatto, già ricordato, che fra tutti gli schemi, giustamente ritenuti un monumento di Fede e di teologia, e ciò nonostante tutti cestinati, uno solo sia stato salvato: quello sulla sacra liturgia. [..]La conflittualità era esplosa durante la prima sessione conciliare. Ma non si fermò ad essa. Ottenute le prime vittorie, i progressisti non elusero ulteriori conflitti ed ancor meno li tacitarono. Tacitaron le voci discordi, in modo che il Concilio potesse procedere speditamente col vento in favore. Quel vento soffiò sempre dalla parte progressista”.
Tra i progressisti dell’Alleanza Mondiale (così definita dall’Autore) “quei tedeschi che, senza peli sulla lingua, prendevan le distanze dal concettualismo astratto della teologia romana e pressavan i Padri conciliari perché le prendessero a loro volta. Rahner era il vate indiscusso, spalleggiato da alcuni Padri di punta, quali i cardinali König, Döpfner e Frings, ma un ancor giovane H. Küng non era meno radicale del grande maestro; né, in ultim’analisi, lo erano Semmelroth, von Balthasar e l’olandese Schillebeeckx. Del gruppo faceva parte anche il giovane J. Ratzinger, che peraltro se ne dissociò [..]Fianco a fianco dei tedeschi operava un gruppo non meno efficiente [..] si tratta di Chenu, Congar, de Lubac, Daniélou”.



Ma il punto centrale di tutta la critica di Gherardini è l’antropocentrismo nei documenti conciliari, che è “la matrice d’altri equivoci, con esso collegati”. A tale riguardo l’autore parla di “anfibologia conciliare”, cioè, di compresenza antagonista di teocentrismo e antropocentrismo.  “L’antropocentrismo – spiega Gherardini - è la concezione che vede l’uomo al centro dell’universo, come valore di fondo e punto di confluenza di tutto ciò che esiste. Si tratta d’una concezione molto affine a quella di F. C. Schiller, che la fece dipendere dalla massima protagorea per la quale l’uomo è la misura di tutte le cose. È la massima dalla quale s’è ultimamente sviluppata una teoria filosofica, nota come Umanesimo (Troiano, Ferrari, Maritain). Essa assume l’uomo non solo come misura, ma anche come valore di fondo dell’intero universo, sul piano teoretico, dunque, prima che su quello apprezzativo. Maritain v’aggiunse la nota, del tutto insostenibile, d’una discrasia tra umanesimo ed incarnazione. Non ho elementi per dire, e nemmeno per sospettare, che gli estensori di GS (Gaudium et Spes n.d.r.) ed i Padri conciliari, nel redigere discutere e votar un tale documento, avessero tutti la ferma intenzione d’ancorar il magistero conciliare alla detta teoria. Di fatto, però, la dipendenza è innegabile. Ancor prima d’esser innalzato ad altezze vertiginose, l’uomo è costituito come punto focale ed oggetto dell’intero documento”.



Ma sarebbe proprio questo concetto di antropocentrismo secolaristico definito da Gherardini a pervadere i testi del Vaticano II e del Magistero postconciliare? A chi sollevava la questione di un indebito passaggio dal teocentrismo all’antropocentrismo, già Paolo VI, nella sua allocuzione del 7 dicembre 1965, rispondeva: “E un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità, proprio nel momento in cui maggiore splendore e maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità conciliare, sia il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo: l’idea di ministero ha occupato un posto centrale. Tutto questo e tutto quello che potremmo dire sul valore umano del Concilio ha forse deviato la mente della Chiesa in Concilio verso la direzione antropocentrica della cultura moderna? Deviato no, rivolto sì. Ma chi bene osserva questo prevalente interesse del Concilio per i valori umani e temporali non può negare che tale interesse è dovuto al carattere pastorale, che il Concilio ha scelto quasi programma, e dovrà riconoscere che quello stesso interesse non è mai disgiunto dall’interesse religioso più autentico, sia per la carità, che unicamente lo ispira (e dove è la carità, ivi è Dio!), e sia per il collegamento, dal Concilio sempre affermato e promosso, dei valori umani e temporali, con quelli propriamente spirituali, religiosi ed eterni : sull’uomo e sulla terra si piega, ma al regno di Dio si solleva”.
Nella Dives in Misericordia, Giovanni Paolo II afferma che “quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per cosi dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell'ultimo Concilio.” Anche Benedetto XVI, riguardo all’antropocentrismo di Giovanni Paolo II conferma che “il significato autentico di questa affermazione («La via della Chiesa è l’uomo» n.d.r.)  spesso malintesa, dell’enciclica sul «Redentore dell’uomo» si può veramente capire se ci si ricorda che per il Papa «l’uomo» in senso pieno è Gesù Cristo. La sua passione per l’uomo non ha nulla a che fare con un antropocentrismo autosufficiente. Qui l’antropocentrismo è aperto verso l’alto. [..]L’antropocentrismo del Papa è quindi, nel suo nucleo più profondo, teocentrismo. Se la sua prima enciclica è apparsa tutta concentrata sull’uomo, le sue tre grandi encicliche si coordinano naturalmente tra di loro in un grande trittico trinitario: l’antropocentrismo è nel Papa teocentrismo, perché egli vive la sua vocazione pastorale a partire dalla preghiera, fa la sua esperienza dell’uomo nella comunione con Dio e a partire da qui egli ha appreso a comprenderla”(Benedetto XVI, SI è identificato con la Chiesa, OR 1 maggio 2011).
Sulla stessa linea si pone anche Mons. Innocenti, teologo e prete romano, parlando nell’antropologia della Redemptoris Hominis. “È un’enciclica dottrinale che ha come centro unificatore una visione dell’uomo (antropologia) nella luce della Redenzione operata da Cristo (soprannaturale). Infatti il Papa non si limita ad opporsi ad ogni materialismo [..] ma poggia la sua leva su una stima dell’uomo che, lungi dall’essere frutto di argomentazioni meramente razionali, presuppone la fede specificamente cristiana, anzi cattolica” (La crisi italiana da Wojtyla a Ratzinger).



Analizzando e confrontando alcuni passaggi estratti da Gaudium et SpesDignitatis Humanae e Nostra Aetate, con rigoroso linguaggio teologico, il Nostro porta in luce alcune lacune esplicative, ma anche - a suo dire -  vere e proprie discrasie, che danno luogo a gravi fraintendimenti, vere e proprie brecce all’interno del Magistero Conciliare, per le quali potrebbero passare (e secondo lui son già passate) teorie al margine dell’eresia. Di qui la supplica di un intervento magisteriale forte, volto a dissipare ogni ombra di confusione.
Già agli inizi degli anni ’80 il Card. Siri metteva in guardia da una possibile distorsione degli Atti conciliari, esortando, altresì, teologi e fedeli, ad attenersi ad alcuni principi di base per non scivolare via dall’ortodossia. Ora sarà necessario lavorare perché nessuno distorca o male interpreti gli Atti del Concilio. Prevedo il tentativo di una distorsione e metto in guardia ricordando a tutti che il Concilio lo si interpreta solo così: il testo col contesto e con quello che nel testo è linea principale e subordinante; completando ed intendendo sempre tutto secondo la mente della dottrina certa nella Chiesa fino dall'inizio del Concilio; tenendo volto lo sguardo al Magistero della Chiesa solenne ed ordinario. E vi ricordo che l'esercizio di questo Magistero è commesso esclusivamente al Romano Pontefice ed ai Vescovi in quanto agiscono con e sotto il Romano Pontefice. Non c'è posto per altri, se parliamo di Magistero vero, perché il potere di questo Cristo non lo ha esteso oltre. Riprendiamo il cammino: avremo molto da lavorare. Abbiamo assolto un dovere ed ora, più maturi e più sicuri volgiamo di nuovo lo sguardo agli ordinari e straordinari doveri, aumentati certo gli uni e gli altri!”(Siri G. (1983) La giovinezza della Chiesa)

 di Armando Savini


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