ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 14 febbraio 2013

Le ultime mosse di Benedetto.

L’enciclica sulla fede resta nel cassetto (come pure lo spinoso dossier)
Aria dimessa ieri a Palazzo Borromeo, sede dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede dove ventiquattro ore dopo l’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI al papato si sono ritrovate le principali cariche dello stato e del Vaticano per il tradizionale anniversario dei Patti lateranensi.


Mancava sostanzialmente solo il Papa, che però prima di dimettersi incontrerà ancora una volta in udienza privata il presidente Giorgio Napolitano.
A conti fatti, si è trattato di un consesso di dimissionari: c’erano Mario Monti e gli altri esponenti del governo italiano, in carica per il disbrigo degli affari correnti, il cardinale Tarcisio Bertone e i vertici della curia romana che dal 28 febbraio non saranno più in carica, come previsto nella situazione di sede vacante. Fra le autorità vaticane la domanda resta una: “Perché l’ha fatto?”.
Nei conciliaboli i sussurri dicono di un Papa stanco, ma anche da troppo tempo non supportato a dovere dai suoi principali collaboratori. Il suo gesto è stata un’ultima potente azione di governo che ha messo fine a una curia romana sulla quale dovrà lavorare, con rinnovate energie, il suo successore.
Nelle mani del 266esimo successore al soglio di Pietro, infatti, arriverà anche il dossier su Vatileaks che i tre cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi hanno redatto sotto segreto pontificio. Spetterà ora al successore di Ratzinger aprire il cassetto che nell’appartamento papale custodisce il dossier e conoscere così i nomi dei traditori interni e agire, se lo riterrà, di conseguenza. Non a caso ieri è stato l’Osservatore Romano a scrivere che il passo “controcorrente” delle dimissioni del Papa, una “uscita di scena di sconcertante dignità e naturalezza, cambierà molte cose” all’interno della chiesa.
Benedetto XVI ha preso la decisione delle dimissioni da solo. Come da solo ha deciso di non rendere pubblica, almeno per il momento, la sua enciclica sulla fede.
Padre Federico Lombardi, portavoce papale, conferma che un testo effettivamente esiste, ma “la sua elaborazione è ancora in una fase preparatoria” e, dunque, “non verrà pubblicata entro fine mese” come invece in molti pensavano. Nulla toglie, ovviamente, che nel corso del suo imminente ritiro a Castel Gandolfo, dove rimarrà fino all’elezione del nuovo Papa, e successivamente nel tempo in cui abiterà nel monastero appositamente ristrutturato all’interno del Vaticano, egli non finisca il testo e non lo pubblichi come sua personale riflessione, a conti fatti una sorta di testamento. Il Papa è “lucido” e “tranquillo”, dice Lombardi.
A conferma che la decisione di lasciare non è stata improvvisata. Lombardi dice di non prendere alla lettera le parole dell’Osservatore che parlano di una decisione presa a marzo. “E’ stato un cammino”. Di certo un cammino che era già chiaro quando il Papa ha promosso il suo segretario particolare Georg Gänswein. Nuovo prefetto della Casa pontificia, toccherà a lui introdurre il nuovo Pontefice nei gangli del governo della curia. Lascerà per questo nel tempo l’incarico di segretario particolare di Ratzinger.
Se non uscirà l’enciclica, non è detto che di qui al 28 egli non metta in campo altre azioni significative, come ad esempio qualche ultima nomina importante. “Fino al 28 febbraio Benedetto XVI è il nostro Papa”, dice Lombardi, sottolineando il fatto che da lui ci si può aspettare ancora qualche colpo significativo. Intanto sono confermate le visite “ad limina” in calendario fino al 28, le visite dei presidenti di Romania e del Guatemala, e un incontro con un gruppo di vescovi italiani.
Parole a loro modo storiche il Papa potrebbe consegnarle in uno dei suoi ultimi appuntamenti pubblici: l’incontro di giovedì mattina con il clero romano, una “conversazione” in cui – dice Lombardi – il Papa parlerà “in modo libero e spontaneo, non leggerà un discorso”. Gli appunti riservati dicono di parole dedicate alla sua esperienza al Concilio Vaticano II.
Dopo gli ultimi discorsi pubblici Ratzinger tornerà allo studio e alle letture. Fra queste, secondo Elio Guerriero, storico direttore della rivista Communio fondata da Ratzinger e da Hans Urs von Balthasar, c’è il versetto del Vangelo di Giovanni che recita così: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. E’ un versetto, sottolinea Guerriero, che è “una chiave per comprendere il suo pontificato e la decisione di lasciare il suo incarico prima del compimento naturale della vita. D’altro canto già da cardinale Ratzinger aveva sottolineato con forza la sua visione del papato come servizio testimoniale e, dopo l’elezione a Pontefice aveva insistito nel voler definire il suo incarico come servizio all’unità nella chiesa”.
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Come Celestino V"
VATICANISTA DE LA STAMPA
«È chiaro che le dimissioni di papa Benedetto XVI rimandano gli storici alla più nota delle dimissioni pontificie, quella di Celestino V, che rinunciò al papato dopo sei mesi, senza essere mai riuscito a insediarsi a Roma, il 13 dicembre 1294». Così Paolo Golinelli, docente di Storia Medievale presso l'Università di Verona, e autore per Mursia di `Celestino V, il papa contadino´, la biografia di Pietro del Morrone in corso di traduzione negli Stati Uniti. Ma le analogie non si fermano qui. «Come quelle di Celestino V, anche le dimissioni di papa Ratzinger - secondo Golinelli - sono state spontanee, e non imposte da altri o da circostanze esterne al papato stesso. Entrambe vengono dalla constatata impossibilità da parte dei pontifici di portare a termine il loro ideale di Chiesa: per entrambi - fatte le dovute proporzioni - una Chiesa spirituale, meno compromessa con i poteri politici ed economici dei loro tempi». Ma, soprattutto, continua lo storico, «entrambe basate su di un principio teologico incontestabile: il ritiro da parte del papa dell'adesione data al momento dell'accettazione del pontificato». Nel suo saggio Golinelli dimostra inoltre che Celestino V aveva preparato, d'accordo col re di Napoli, Carlo II d'Angio', la sua elezione, scrivendo ai cardinali riuniti a Perugia e che la sua rinuncia fu una scelta autonoma, e non voluta da Benedetto Caetani, che gli succedette col nome di Bonifacio VIII (come ha invece sostenuto la propaganda antibonifaciana), nel momento in cui si accorse di non poter prendere possesso della sede pontificia, «prigioniero» com'era del re di Napoli, in Castelnuovo. «Credo davvero che la rinuncia al pontificato sia il gesto più eroico che un papa poteva fare», conclude Golinelli. «Nel De vita solitaria' anche Petrarca ha voluto ricordare, e proprio in merito alle dimissioni di Celestino, come la ricerca della solitudine avvicini a Dio». Celestino V (1210-1296), tra i papi più famosi e affascinanti del Medioevo, è stato spesso oggetto più di agiografie che di vere biografie storiche. Paolo Golinelli ne ripercorre la vicenda umana, inserendola nel contesto delle lotte politiche ed ecclesiastiche di fine Duecento, e nell'ambiente rurale e nella natura selvaggia nella quale egli crebbe e si fece eremita. Questa connotazione, mai prima evidenziata dalla critica, diviene l'occasione per ripensare al duro giudizio di Dante (Inferno III, 60), fornendone un'inedita interpretazione, mentre l'accurata lettura delle fonti porta a un riesame dei momenti chiave della sua esistenza, dalla sua stessa nascita «con la camicia», all'elezione pontificia; dall'approvazione del suo Ordine monastico alle dimissioni dal pontificato, che tanto fecero discutere; dai problemi quotidiani di un giovane eremita all'elevazione all'onore degli altari. Ne esce un quadro estremamente variegato, scritto con penna felice da uno storico apprezzato perché sa unire precisione documentaria a facilità di lettura. 
L'enciclica scomparsa
VATICANISTA DE LA STAMPA
«L' Enciclica di cui abbiamo parlato non arriverà ad essere pubblicata», ha affermato oggi il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi «Il testo - ha spiegato - non era a un punto di preparazione tale per essere tradotta e pubblicata». Come è noto Bendetto XVI aveva intenzione di pubblicare una nuova Enciclica sulla fede, dopo le prime due sulle altre virtù teologali: carità (Deus est caritas) e la speranza (Spe salvi). La terza enciclica (Caritas in veritate) era stata sui temi sociali. Mancherà dunque la quarta. Il testo dedicato alla Fede su cui Benedetto XVI stava lavorando non è l'unica enciclica che non sarà pubblicata nella sua veste di testo ufficiale.  Pio XI, nell'estate 1938, progettò di pubblicare un'enciclica contro tutti i razzismi, dunque anche contro l'antisemitismo, e diede l'incarico a due studiosi gesuiti di redigere il testo. La prima stesura del documento era pronta per la fine di quell'anno, ma il pontefice, ormai malato, non fece nemmeno in tempo a leggerla prima di morire nel febbraio 1939. A raccontare questo episodio è stato anni fa uno dei maggiori esperti della storia contemporanea della Santa Sede, padre Robert Graham, ora scomparso, che ha ricordato come il documento, conservato negli Archivi Vaticani, fu pubblicato già negli Stati Uniti nel 1972.  In realtà, spiegò padre Graham, non era mai scomparsa né si trattava in senso tecnico di un'enciclica, in quanto Papa Ratti non aveva nemmeno visto il testò'. Resta però l'importanza storica di questa iniziativa poco conosciuta. Nell'estate 1938, Pio XI convocò nel suo studio privato il gesuita Jean Lapage, un americano di origine francese, e gli chiese di scrivere il testo di un'enciclica contro il razzismo. Lapage, prima di impegnarsi in questo lavoro così delicato e importante, chiese l'aiuto di un altro specialista, il gesuita tedesco Gustav Gundlach, professore della Gregoriana, noto per le sue posizioni antinaziste. Insieme si recarono a Parigi, dove lavorarono, in gran segreto e per alcuni mesi, alla bozza di enciclica, che aveva come linea ispiratrice quella della «solidarietà della razza umana». Tornati a Roma però, la loro fatica non ebbe seguito, a causa dell'aggravarsi delle condizioni di salute di Pio XI. Sembra che il testo passò al nuovo pontefice, Pio XII (eletto nel marzo del 1939), che ne utilizzò alcune idee nella «Summi Pontificatus», l'enciclica dell'ottobre 1939, in cui la Chiesa cattolica, un mese dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, condannava ogni forma di totalitarismo. Quando il documento commissionato a Lapage-Gundlach fu pubblicato, nel 1972 negli Usa, fece molto scalpore. Le associazioni ebraiche osservarono come la pubblicazione di un'enciclica di Pio XI contro ogni forma di razzismo avrebbe potuto forse frenare le persecuzioni contro gli ebrei e comunque dare un chiaro segnale al regime nazista e a quello fascista sulla posizione della Santa Sede. Papa Ratti, nel marzo 1937, aveva già scritto un'enciclica in tedesco, «Mit brennender Sorge», in cui condannava il regime di Hitler. 
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L'Era Wojtyla finisce adesso.Voglio condividere con voi una sensazione, che è venuta crescendo in questi giorni. E cioè che il 28 febbraio prossimo, alle ore 20, finisca non solo il pontificato di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, ma anche quello di Giovanni Paolo II.Voglio condividere con voi una sensazione, che è venuta crescendo in questi giorni. E cioè che il 28 febbraio prossimo, alle ore 20, finisca non solo il pontificato di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, ma anche quello di Giovanni Paolo II.
MARCO TOSATTI
Voglio condividere con voi una sensazione, che è venuta crescendo in questi giorni. E cioè che il 28 febbraio prossimo, alle ore 20, finisca non solo il pontificato di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, ma anche quello di Giovanni Paolo II. E ho l’impressione che l’uscita dall’epoca wojtyliana avverrà in maniera definitiva solo quando, verso la metà di marzo, dalla loggia della basilica di San Pietro i fedeli sentiranno le parole: “Nuntio vobis gaudium magnum…” con il nome del successore; di Benedetto, ma soprattutto di Giovanni Paolo II.  

Credo che Joseph Ratzinger abbia mostrato un grande coraggio, quando nell’aprile di otto anni fa accettò di diventare Papa. Non era qualche cosa che desiderava, o voleva; da tempo questo uomo, il cui carisma principale certamente non è il governo, desiderava andare in pensione, ritirarsi a vivere con il fratello, studiare, e scrivere. L’hanno scelto; ha subito la decisione, non è scappato. Ma soprattutto ha dimostrato il suo coraggio nell’accettare di vivere un’eredità immensa, e pesante. Una parte del mantello di Giovanni Paolo II gli è stata messa indosso, suo malgrado: i viaggi, le piazze, gli incontri di folla, un presenzialismo mediatico che il pontefice polacco, estroverso, atletico, innamorato della vita e del mondo viveva come una seconda pelle. Un carico che lo ha stancato fisicamente e psicologicamente.  

Un’altra parte dell’eredità se l’è trovata e ha dovuto gestirla: scandali, questioni irrisolte, lasciate tali da un pontefice che di governo si è sempre occupato poco (“Quando farà un viaggio in Curia” era la battuta che circolava in Vaticano su Giovanni Paolo II); che si è sempre fidato molto dei collaboratori; e che non sempre è stato ripagato in maniera adeguata alla sua fiducia. Benedetto XVI ha lavorato, in silenzio, per rimediare a una situazione che aveva stigmatizzato; ricordiamo la denuncia della “sporcizia nella Chiesa”. Ha allontanato, prima della scadenza naturale, decine di vescovi che non si erano mostrati all’altezza; ha studiato in profondità ogni dossier (le “ponenze”) che gli veniva presentato per la nomina di un nuovo vescovo; ha cercato di spingere verso la trasparenza un mondo per storia a tradizione poco amante della luce.  

Ha cercato di convincere la Chiesa e il mondo che lui, Benedetto, era solo se stesso, con i suoi pregi e i suoi limiti; solo “lui”, non era un altro; ma dietro le spalle sempre aleggiava l’ombra gigantesca del suo predecessore, la sua memoria mediatica impressa nelle menti e nel cuore di oltre un miliardo di fedeli. Forse il suo lavoro più grande e difficile, completato e perfezionato dalla Grande Rinuncia che Giovanni Paolo II non ha mai voluto fare, è stato proprio questo: traghettare la Chiesa dall’era wojtyliana in un futuro diverso. E’ stato, forse il Papa volutamente meno appariscente dai tempi di Pio XII. E grazie al suo regno discreto, e alla sua ammissione di debolezza, ha liberato il prossimo pontefice dall’obbligo di essere un Superuomo. 

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