E a proposito: non esiste l’annullamento, esiste la nullità.
Così come per il cattolico non esiste il divorzio, ma in cambio esiste
la separazione, che persino un prete può consigliare a un coniuge
restio. E come non bastasse la domanda apparentemente di lana caprina ma
in realtà fondamentale: “Ma un divorziato che vive castamente può
comunicarsi?”. C’è divorziato e divorziato. Seguiteci e saprete…
Una volta fui pregato da un confratello di celebrare un matrimonio
in sua vece accogliendo il consenso di questi sposi – che io non
conoscevo – perché lui aveva avuto un improvviso e inderogabile impegno.
Per farsi breve: l’assemblea, inclusi gli sposi, non sapevano quando
sedersi e quando alzarsi e cosa rispondere durante la celebrazione della
Santa Messa. Io celebravo e l’accolito e il sacrestano mi rispondevano.
Gli sposi non conoscevano neppure la preghiera del Padre Nostro, ecc …
insomma: non avevano la più pallida idea che stavano celebrando e
amministrandosi un sacramento. La sera stessa preparai una relazione e
la inviai all’arcivescovo metropolita di quella diocesi, facendo
presente che, mio malgrado, mi ero trovato costretto a presiedere la
celebrazione di un sacramento per il quale mancavano tutti i più
basilari requisiti di validità. L’arcivescovo – peraltro un canonista –
mi fece rispondere dal suo cancelliere che dovevo imparare a essere più
flessibile e a capire certe situazioni, per così dire… popolari.
Antonio Margheriti Mastino In compagnia di
don Ariel S. Levi di Gualdo
LEGGERE ENZO BIANCHI EQUIVALE ALL’ASSOLUZIONE PLENARIA. E ANCHE DIVORZIATI (DOPO LA LETTURA) POSSONO COMUNICARSI
|
Mastino |
Un pischello adolescente sente la necessità di informarmi
della situazione famigliare di una pischelletta della quale (dice,
senza sapere che dice) sarebbe innamorato perso (pure su ‘ste cose mi
scrivono… e questa è niente: dovete vedere quando m’arrivano messaggi
di ragazzetti che mi chiedono cosa preparare per cena alla ragazza che viene per il week-end), innamorato perso, dicevo, ma che al momento è troppo timido per avere le palle di dichiararsi a lei invece che a me.
Mi divertono gli adolescenti: sono gli unici che mi
fanno ridere, per le cazzate che raccontano, perché sono spiritosi,
pimpanti, al fondo puliti, rispettosi sempre. Forse perché fra me e
l’insegnante a scuola non vedono differenza: d’età, almeno. Quasi
sempre, infatti, mi danno del “lei”, come appunto si fa con
l’insegnante. Al contempo mi stanno dicendo che sì, riconoscono in me
qualcuno che sa qualcosa più di loro e che forse gliela può trasmettere,
è vero. Ma fra le righe mi stanno dando anche del “vecchio”. E sono un
trentenne… figurarsi a quaranta.
Ma vi dicevo del pischello. Mi informa a proposito
della ragazza protagonista occulta dei suoi sogni, e si presume – anzi, è
una certezza – delle sue pippe, di quanto segue: “…ehm suo padre è
divorziato, convivente ma nonostante ciò si comunica e legge i libri di
Enzo Bianchi che gli consiglia il parroco… devo lasciar perdere?“
Rispondo che sì, non ne vale la pena. Ma poi: che
uno prenda la comunione in stato di peccato mortale non sono cavoli
miei: sono cacchi suoi e del parroco. Cavoli loro dinanzi a Dio e a
lucifero. Perché la comunione presa in stato di peccato mortale, lungi
dall’essere una benedizione è invece una maledizione.
A questo punto interviene il mio amico don Ariel Levi Di Gualdo,
che puntualizza sardonico su Enzo Bianchi. E dice: “Caro Antonio, forse
i libri del Signor Enzo Bianchi, oltre alle note deviazioni dalla
dottrina cattolica ripetutamente segnalate con allarme da diversi dei
nostri migliori teologi, può essere che contengano in appendice anche
l’assoluzione plenaria, bisognerebbe chiederlo a quei vescovi italiani
che lo invitano a predicare gli esercizi spirituale al clero delle loro
diocesi” .
Tengo a precisargli: “Del resto al seminario di Verona per
ammetterti come seminarista devi confessare tutti i libri che hai
letto, dopodiché ti devi purgare con la lettura coatta di libri mirati
di Enzo Bianchi e di Martini, se vuoi entrarci. E magari in quel
seminario ci fossero solo problemi dottrinali… sono quelli morali che mi
preoccupano. Che in genere sono i prodromi di quelli dottrinali”.
Flaviano, pure lui deve dire la sua: “Il Bianchi,
oltre ad essersi insediato molto bene anche nella mia diocesi, predica
anche gli esercizi ai frati per ordine del vescovo. Per cui il problema,
caro Mastino, non è scrivere libri per constatarne le eresie, il
problema sono i vescovi”.
Ma ecco che interviene un altro ragazzetto, a riportarmi alla concretezza domandandomi: “Ma un divorziato che vive castamente può ricevere la comunione o no?”.
Gli rispondo sinteticamente: “No. Se si è sposati in chiesa, non
esiste il divorzio. Esiste la separazione. Ci si può separare e vivere
in castità, e in tal caso si può ricevere la comunione”. Ma poi mi
lascio prendere la mano, per non apparir troppo severo: “Oddio, se uno
non è tanto casto può sempre confessarsi…”.
Arriva precisazione da spaccatura in quattro del
capello Gianbattista: “C’è differenza comunque tra un divorziato per sua
scelta e chi invece il divorzio lo subisce. Chi lo subisce e non ha
altre relazioni non è in stato di peccato. Giusto?”
Giusto? Eh… ‘na parola! E chi lo sa?! Quando arriviamo alle questioni di lana caprina le questioni si complicano! E tuttavia mi rendo conto che il quesito è meno pleonastico di quanto possa sembrare a una prima occhiata. Anzi, è importantissimo. Cruciale, direi.
Fortuna mia che interviene provvidenzialmente a
levarmi le castagne dal culo il succitato amico don Ariel Levi Di
Gualdo, che è pure un teologo, ma principalmente conosce il catechismo,
ragion per cui raramente parla a capocchia. E fa chiarezza su tutta la
linea. La riporto tutta la sua risposta, perché ne facciamo uso qualora
si presenti il caso che ci domandino ragione, a noi cattolici, delle
prese di posizione della Chiesa.
Il reverendo padre, figlio in Cristo del suo
arcivescovo Luigi Negri, si arma di santa pazienza e inizia la filippica
ben poco clericale, e pur gesuitica (del resto è allievo del gesuita
Peter Gumpel), sgranando la casistica. Sentiamolo.
MOLTI MATRIMONI DI OGGI SONO DI FATTO NULLI. E STENDIAMO UN VELO PIETOSO SULLE SPOSE
“Cercherò di rispondere in dettaglio un po’ a tutti gli interventi.
La Chiesa detta ai vescovi e ai loro sacerdoti delle norme generali,
poi è necessario valutare sempre, con prudenza e profonda coscienza
caso per caso, perché ogni situazione è infatti diversa dalle altre.
Esempio: l’uomo quasi sessantenne che fatti ormai soldi,
per prima cosa molla la moglie ultra cinquantenne per fuggire con una
ragazza di 25 anni conosciuta mentre era aggrovigliata ad un palo della
lap-dance; o per inverso la donna cinquantenne che di punto in bianco
molla il marito per fuggire con un boy-toy di 27 anni … beh, direi che è
a dir poco ovvio, umano e soprattutto cattolico che non si possano
negare sacramenti a persone umiliate, tradite e abbandonate, tutt’altro!
Si cercherà di sostenerli anche e soprattutto con i sacramenti di
grazia.
Per esempio: nell’esercizio del mio sacro ministero
mi sono ritrovato a suggerire, poi appresso a insistere, affinché una
donna si separasse quanto prima dal marito, trattandosi di un
delinquente patentato, violento e quasi sicuramente affetto anche da
disturbi psichiatrici, che metteva seriamente a rischio l’incolumità
fisica e psicologica della consorte e del loro bambino. È lo stesso
Codice di Diritto Canonico che prevede e regolamenta la separazione dei
coniugi; certo non prevede, tanto meno regolamenta, l’istituto del
divorzio, che tra i suoi canoni non è presente.
Ciò che amareggia e che talvolta frustra noi sacerdoti
sul piano pedagogico e pastorale, è il fatto che molti fedeli
“cattolici”, quando decidono di mollarsi vanno dall’avvocato e fanno le
carte per il divorzio. A quasi nessuno sembra passare per la mente di
rivolgersi, perlomeno ANCHE al tribunale ecclesiastico, per vedere se
sussistono gli elementi per una sentenza di nullità del matrimonio. E
qui apriamo subito un inciso e precisiamo a scanso di equivoci che cosa
vuol dire nullità: non vuol dire “annullamento”. Nessuno
infatti, a partire dal Romano Pontefice, può annullare un sacramento
validamente amministrato e validamente ricevuto. Il sacramento può
essere però nullo, vale a dire mai esistito, sebbene formalmente
amministrato, perché è stato amministrato e ricevuto in mancanza di quei
requisiti basilari necessari a renderlo valido.
Anche il sacramento dell’ordine che io ho ricevuto,
potrebbe essere nullo e invalido. Facciamo un esempio accademico: se
per esempio io fossi giunto alla sacra ordinazione sacerdotale in
condizione di forti riserve mentali, non libero, sentendomi quasi
costretto a farmi ordinare per non fare brutta figura con formatori,
familiari e amici, dinanzi ai quali mi sarei vergognato a fare un passo
indietro e ammettere che non credevo di avere una vocazione e quindi non
me la sentivo di essere consacrato sacerdote, in tal caso, la mia
ordinazione, per quanto formalmente celebrata e formalmente ricevuta,
appurato il tutto verrebbe dichiarata nulla.
Inutile dire che oggi, molti matrimoni, sono di fatto nulli,
mancando in molti sposi – non ultimo e soprattutto anche a causa di noi
preti – i requisiti basilari richiesti: la maturità, la coscienza
cristiana, la piena consapevolezza che gli sposi si amministrano un
sacramento. E non celebrano invece la farsa del loro “evento” in una
chiesa storica ridotta a set di riprese filmiche dove tutto conta, dal
parrucchiere della sposa al cameraman fuorché il sacramento. Per non
parlare dell’idea ben precisa che gli sposi devono avere sulla vita, sui
figli e sulla continuità della vita, ecc…
Ultimo esempio: una volta fui pregato da un confratello
di celebrare un matrimonio in sua vece accogliendo il consenso di
questi sposi – che io non conoscevo – perché lui aveva avuto un
improvviso e inderogabile impegno. Per farsi breve: l’assemblea, inclusi
gli sposi, non sapevano quando sedersi e quando alzarsi e cosa
rispondere durante la celebrazione della Santa Messa. Io celebravo e
l’accolito e il sacrestano mi rispondevano. Gli sposi non conoscevano
neppure la preghiera del Padre Nostro, ecc … insomma: non avevano la più
pallida idea che stavano celebrando e amministrandosi un sacramento.
La sera stessa preparai una relazione e la inviai al vescovo,
anzi all’arcivescovo metropolita di quella diocesi, facendo presente
che, mio malgrado, mi ero trovato costretto a presiedere la celebrazione
di un sacramento per il quale mancavano tutti i più basilari requisiti
di validità.
L’arcivescovo – peraltro un canonista – mi fece rispondere dal suo
cancelliere che dovevo imparare a essere più flessibile e a capire certe
situazioni, per così dire… popolari.
Detto questo lascio a voi la domanda e a voi il quesito:
chi è che gioca coi sacramenti: i fedeli o un certo clero? Capisco che
quello dei matrimoni è un “mercato” redditizio, ma anche se “pecunia non
olet” in alcuni momenti bisogna essere capaci a dire no, a quelle non
poche persone che pur essendo totalmente avulse dalla vita ecclesiale e
non di rado sprezzanti il Magistero della Chiesa e le verità di fede che
la Chiesa annuncia, decidono comunque di amministrarsi il Sacramento
del Matrimonio… solo per avere un suggestivo set di riprese.
Stendiamo poi un velo pietoso sulle spose fatte
entrare nelle chiese a schiena scoperta e con le tette mezze di fuori,
perché sempre nell’esercizio del mio ministero posso testimoniarvi di
avere conosciuto prostitute che fuori dal loro “orario di lavoro” erano
coperte dal collo alle ginocchia e che mai avrebbero osato entrare
dentro una chiesa mezze nude, specie quando alcune si recavano al mio
confessionale. E nessuno mi venga a dire del corso di preparazione al matrimonio,
perché anche gli sposi di cui ho appena narrato, quelli che non
conoscevano neppure il Padre Nostro, avevano fatto il corso di
preparazione al matrimonio: ben tre incontri che avrebbero dovuto
supplire una totale carenza di coscienza cattolica cristiana durata
tutta la vita. Corso svolto presso il convento dei frati… che avevano
rilasciato tanto di certificato per il parroco.”
Così don Ariel.
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