Alla vigilia del Conclave, tre lettere contro il cardinale. Accusato di preferire il successo personale alle opere sociali.
È caccia al “corvo” napoletano, che - alla vigilia del Conclave - spedisce lettere al veleno seminando il panico in Curia e fra i parroci della diocesi.
Le missive contro il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, 68 anni, nato a Carinaro in provincia di Caserta, sarebbero addirittura tre, secondo l’agenzia Il Velino.
Le missive contro il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, 68 anni, nato a Carinaro in provincia di Caserta, sarebbero addirittura tre, secondo l’agenzia Il Velino.
ACCUSE GRAVI. Qualcuno ammette, a denti stretti, di averne letta una. Ma a tutti basta e avanza, vista la gravità delle accuse (da dimostrare ndr) scagliate dall’anonimo contro l’attività pastorale e finanziaria dell’alto prelato, già pupillo di papa Giovanni Paolo II, anni fa in corsa per diventare segretario di Stato e dall’aprile 2001 potente “papa rosso”, cioè prefetto di Propaganda fide, la struttura che controlla la nomina dei vescovi e le attività economiche della Chiesa africana, asiatica, latino-americana.
Nel luglio 2006 Sepe - da sempre schierato contro le posizioni del segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone - è sbarcato a Napoli per volontà di papa Ratzinger, che ha voluto proteggerlo - dicono - dai rischi dell’inchiesta giudiziaria sulle case che sarebbero state svendute da Propaganda fide ad alcuni personaggi potenti (tra i beneficiati - secondo l’accusa - anche l’ex ministro Pietro Lunardi, l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso e Nicola Cosentino, l’ex coordinatore del Partito della libertà in Campania).
ESILIO AD ALTA VISIBILITÀ. Un esilio ad alta visibilità, il suo. All’ombra del Vesuvio Sepe, esperto di comunicazione, ha saputo “mantenere la scena” fino al punto di agganciare migliaia di amici su Facebook e conquistare spesso le prime pagine dei quotidiani.
Il 13 febbraio, il giornalista Massimo Milone, da sempre a lui vicino e per molti anni al vertice del Tg3 campano, è stato nominato - a sorpresa - direttore di Rai Vaticano. Ma oltre a mostrarsi abilissimo nel piazzare bene gli uomini di fiducia (gli era già riuscito con lo spagnolo Joaquin Navarro Valls alla Sala stampa del Vaticano, con il quasi conterraneo irpino Mario Agnes, imposto alla direzione dell’Osservatore Romano, nonché con un altro Agnes, il fratello Biagio, alla direzione generale Rai ), il cardinale “comunicatore”, abile anche nell’organizzazione di sacri spettacoli, è riuscito a conquistarsi l’affetto dei molti napoletani che ne hanno apprezzato i modi schietti e il saluto tenero («'A madonna t’accumpagna…»), l’esplicito impegno anti-camorra, il rapporto a muso duro con il sindaco Luigi De Magistris, le iniziative pastorali (Sepe mette da anni all’asta i regali ricevuti), le aperture ai gay nonché l’irrefrenabile tifo per la squadra di calcio.
UN PUGNO NELLO STOMACO. Ora, però, una lettera lo accusa. E il clima si è fatto greve. Che cosa, in concreto, viene contestato a Sepe? Di privilegiare, per esempio, «l’affermazione della sua personalità rispetto alle opere sociali». Di «favorire discriminazioni nel clero», nel senso - precisa l’anonimo - «che nella diocesi va avanti chi dà e non chi vale».
E ancora, come un pugno allo stomaco: «Che fine fanno i soldi versati con l’otto per mille?». Dubbi vengono espressi anche sul «fondo di solidarietà fra le parrocchie che dovrebbero contribuire a costituirlo». E non mancano contestazioni alle persone «di cui il cardinale Sepe si è circondato». Più avanti, il corvo contesta a sua eminenza di aver brigato contro il vescovo uscente di Pompei, monsignor Carlo Liberati. E perfino di aver «promosso o spostato in parrocchie comode e gradite» i parroci più abili nel raccogliere fondi e oro tra i fedeli.
La lettera sarebbe stata scritta prima che Ratzinger annunciasse le dimissioni
Fioccano gli esempi. E la citazione di specifici episodi. Insomma, nel j’accuse c’è un po’ di tutto. Ma tutto è da documentare. In molti sono sotto choc, fuori e dentro la curia.
Non c’è traccia, finora, di pubblica solidarietà per il prelato che nel 2000 ha gestito il Giubileo per volontà del papa ed è stato in grado, da prefetto delle missioni, di distogliere consistenti depositi dallo Ior, la Banca vaticana, per reinvestirli in soluzioni alternative. Ci si chiede, smarriti: «Perché questo fango? E perché proprio adesso?».
La lettera è stata scritta «prima che papa Ratzinger annunciasse le dimissioni», puntualizzano con imbarazzo nell’entourage della curia, che è appena rimasto orfano di don Gennaro Matino, apprezzato teologo e neo-responsabile per la comunicazione, che si è dimesso dopo che il cardinale ha partecipato il primo febbraio a una visita elettorale insieme con il candidato a premier Mario Monti: «Che amarezza vedere una Chiesa che si fa interprete dei poteri forti», ha detto don Gennaro andando via senza clamori.
VIGILIA DI TENSIONE. E adesso, la missiva. Con cui Matino non c’entra nulla, ma che piomba come un macigno in un’atmosfera già tesa e alla vigilia di un Conclave delicatissimo, in cui molti - a cominciare da vaticanisti come Filippo Anastasi, autore del libro In viaggio con un santodedicato a papa Wojtyła - ritengono il sanguigno cardinale di Napoli un possibile outsider (fra i candidati italiani) o comunque «un sicuro protagonista delle trattative», in grado di «condizionare il voto dei cardinali africani, asiatici, latino-americani con cui ha mantenuto saldi legami di amicizia fin dai tempi (non remoti) di Propaganda fide».
A sostenere con forza un ruolo strategico per Crescenzio Sepe c’è anche colei che Giulio Andreotti ha sempre chiamato con ammirazione “la generalessa” e che Henrick Ree Iversen, ex ambasciatore danese in Italia (che ben la conosce) ha definito «la donna oggi più potente nella Chiesa cattolica»: suor Tekla Famiglietti, storica badessa delle figlie di santa Brigida (le brigidine), nata a Sturno in provincia di Avellino, dal 1981 alla guida delle 600 religiose che operano nel mondo suddivise in 44 comunità, è ascoltatissima dai papi e famosa per la straordinaria abilità con cui procaccia donazioni e fondi per alimentare le casse del Vaticano.
SEPE E LA BADESSA. L’amicizia fra Sepe e la badessa è di antica data: c’è chi ricorda un'imbarazzante foto, che risale al marzo del 2003, in cui i due sono ritratti a Cuba mentre abbracciano Fidel Castro proprio nei giorni in cui 75 attivisti, fra cui molti cattolici, erano finiti nelle prigioni del lider maximo.
Fu una brutta gaffe, come quella testimoniata da un’altra foto in cui, durante un viaggio pastorale in Sudan, Sepe si è ritrovato - con buona pace degli animalisti - accanto a un dromedario appena sgozzato per un rito sacrificale. Ma il cardinale sa incassare i colpi. Ha imparato a difendersi: «La Chiesa? A volte si ha l’impressione di vivere in una fossa dei leoni che si sbranano tra loro piuttosto che nella casa di comunione con Cristo».
E ai nemici ha fatto sapere: «Il carrierismo avvelena le anime. Perdono dal profondo del cuore chi mi ha colpito da dentro e da fuori la Chiesa».
Non c’è traccia, finora, di pubblica solidarietà per il prelato che nel 2000 ha gestito il Giubileo per volontà del papa ed è stato in grado, da prefetto delle missioni, di distogliere consistenti depositi dallo Ior, la Banca vaticana, per reinvestirli in soluzioni alternative. Ci si chiede, smarriti: «Perché questo fango? E perché proprio adesso?».
La lettera è stata scritta «prima che papa Ratzinger annunciasse le dimissioni», puntualizzano con imbarazzo nell’entourage della curia, che è appena rimasto orfano di don Gennaro Matino, apprezzato teologo e neo-responsabile per la comunicazione, che si è dimesso dopo che il cardinale ha partecipato il primo febbraio a una visita elettorale insieme con il candidato a premier Mario Monti: «Che amarezza vedere una Chiesa che si fa interprete dei poteri forti», ha detto don Gennaro andando via senza clamori.
VIGILIA DI TENSIONE. E adesso, la missiva. Con cui Matino non c’entra nulla, ma che piomba come un macigno in un’atmosfera già tesa e alla vigilia di un Conclave delicatissimo, in cui molti - a cominciare da vaticanisti come Filippo Anastasi, autore del libro In viaggio con un santodedicato a papa Wojtyła - ritengono il sanguigno cardinale di Napoli un possibile outsider (fra i candidati italiani) o comunque «un sicuro protagonista delle trattative», in grado di «condizionare il voto dei cardinali africani, asiatici, latino-americani con cui ha mantenuto saldi legami di amicizia fin dai tempi (non remoti) di Propaganda fide».
A sostenere con forza un ruolo strategico per Crescenzio Sepe c’è anche colei che Giulio Andreotti ha sempre chiamato con ammirazione “la generalessa” e che Henrick Ree Iversen, ex ambasciatore danese in Italia (che ben la conosce) ha definito «la donna oggi più potente nella Chiesa cattolica»: suor Tekla Famiglietti, storica badessa delle figlie di santa Brigida (le brigidine), nata a Sturno in provincia di Avellino, dal 1981 alla guida delle 600 religiose che operano nel mondo suddivise in 44 comunità, è ascoltatissima dai papi e famosa per la straordinaria abilità con cui procaccia donazioni e fondi per alimentare le casse del Vaticano.
SEPE E LA BADESSA. L’amicizia fra Sepe e la badessa è di antica data: c’è chi ricorda un'imbarazzante foto, che risale al marzo del 2003, in cui i due sono ritratti a Cuba mentre abbracciano Fidel Castro proprio nei giorni in cui 75 attivisti, fra cui molti cattolici, erano finiti nelle prigioni del lider maximo.
Fu una brutta gaffe, come quella testimoniata da un’altra foto in cui, durante un viaggio pastorale in Sudan, Sepe si è ritrovato - con buona pace degli animalisti - accanto a un dromedario appena sgozzato per un rito sacrificale. Ma il cardinale sa incassare i colpi. Ha imparato a difendersi: «La Chiesa? A volte si ha l’impressione di vivere in una fossa dei leoni che si sbranano tra loro piuttosto che nella casa di comunione con Cristo».
E ai nemici ha fatto sapere: «Il carrierismo avvelena le anime. Perdono dal profondo del cuore chi mi ha colpito da dentro e da fuori la Chiesa».
di Enzo Ciaccio
Venerdì, 01 Marzo 2013
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