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domenica 10 marzo 2013

La calata degli Unni


I cardinali tedeschi arrivati a Roma per “attuare il Concilio”

Attivi e organizzati, chiedono più tempo per discutere di ecumenismo, evangelizzazione e centralismo romano

Accanto agli organizzatissimi cardinali americani giunti a Roma per le Congregazioni generali e per il Conclave che eleggerà il successore di Benedetto XVI, c’è un altro gruppo di porporati che si sta dando da fare per approfondire il dibattito a porte chiuse nelle sessioni che si tengono quotidianamente nell’Aula nuova del Sinodo, contribuendo così a rimandare la decisione sull’ingresso nella Cappella Sistina di qualche giorno.
“Non c’è fretta, l’extra omnes può attendere”, ha detto ieri in un’intervista a Repubblica il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Perfino il loro arrivo in Vaticano è stato centellinato: lunedì, alla prima Congregazione, mancavano l’arcivescovo di Berlino Rainer Maria Woelki, Joachim Meisner di Colonia e Karl Lehmann di Magonza, giunto solamente nel pomeriggio di martedì. I problemi sul tavolo, diceva Kasper – che in Conclave sarà l’elettore più anziano, avendo compiuto 80 anni il 5 marzo –, sono tanti e quindi vanno affrontati con calma. Non c’è nulla di nuovo, si tratta delle solite istanze avanzate dalla chiesa tedesca negli ultimi decenni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, a cominciare dalla critica del centralismo romano.
Kasper, dottore in Teologia a Tubinga nel 1961 con una tesi sulla “Dottrina della tradizione secondo la Scuola romana” e poi assistente per tre anni di Hans Küng nella stessa università, è stato spesso il contraltare in curia dell’allora cardinale Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Se il futuro Benedetto XVI difendeva il primato della chiesa universale su quella locale, il capo del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ribadiva la necessità di concedere più autonomia alle chiese locali, arrivando anche a sostenere la possibilità che queste eleggessero i propri vescovi. Se Kasper (assieme all’ex presidente della Conferenza episcopale tedesca, Karl Lehmann) apriva alla possibilità di dare la comunione ai divorziati, Ratzinger assumeva una linea più rigorista. Oggi, Kasper richiama ancora la necessità di una profonda riforma che dia vita a un “governo orizzontale della chiesa” per uscire dalle “secche del centralismo romano”, che qualche anno fa l’abate primate benedettino Notker Wolf (anch’egli tedesco) definiva “invenzione del diavolo”. Proprio il sistema benedettino veniva usato come esempio da Wolf: “Naturalmente c’è l’autorità di Roma, ma ogni monastero è autonomo come una diocesi. L’abate primate, tra l’altro, non viene confermato dal Papa ma eletto, e lo diventa direttamente”, spiegava in un’intervista al Sole 24 Ore nel 2010.
Tesi che dividono anche le gerarchie ecclesiastiche tedesche al loro interno, come dimostrano le prese di posizione dell’attuale prefetto per la congregazione della dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, contro chi parla di “chiesa tedesca” anziché di “chiesa cattolica in Germania”. Il problema, secondo Müller (che pure ha fama di progressista), non è il centralismo romano – che “non esiste” – ma la forza delle “spinte centrifughe”. E’ l’interpretazione del Concilio a essere ancora al centro delle frizioni tra Roma e la realtà tedesca. Già negli anni Sessanta, quando il giovane Joseph Ratzinger era da poco giunto a Tubinga chiamato da Hans Küng a occupare la cattedra di Teologia dogmatica, la spaccatura era evidente tra chi come Küng esprimeva un livore antiromano che lo portava a dire che il Papa deve avere un primato di carattere pastorale e non giurisdizionale e chi, come Ratzinger, era convinto che “insistendo solo sull’aspetto pastorale si rischiava di raffigurare non il pastore della chiesa universale, ma un burattino universale da manovrare a nostro piacimento”. Un ruolo, quello del Pontefice, che oggi “andrebbe ripensato”, dice Kasper.

In crisi è la fede

Durante le Congregazioni generali di questi giorni, uno dei temi più affrontati nelle discussioni plenarie è l’ecumenismo, il rapporto tra il cattolicesimo e le altre confessioni. Serve più apertura, più comprensione reciproca, più disponibilità a mettere da parte pregiudizi culturali e teologici – dicono i porporati tedeschi – altrimenti il rischio è che le chiese cattoliche si svuotino sempre più, a vantaggio di quelle riformate. Un passo significativo, Benedetto XVI l’aveva compiuto durante la sua visita a Erfurt, quando sottolineò ciò che unisce cattolici e luterani: l’interrogativo su Dio, così centrale nell’esistenza del monaco nato a Eisleben nel 1483.
Per invertire la rotta serve un cambiamento radicale, sostiene l’ala antiromana dell’episcopato tedesco, che ponga al centro la concezione stessa di ciò che rappresenta la chiesa oggi. Per fare ciò, però, non basta una semplice riforma: serve una solida riflessione teologica che indaghi sulla crisi profonda che investe l’Europa e la Germania in particolare. “Se si parla di nuova evangelizzazione”, dice Kasper, “bisogna prendere atto che a essere in crisi è la fede. Molti giovani non hanno contatti con la vita della chiesa e coi sacramenti”.
Non a caso, anche il tema dell’evangelizzazione – una delle grandi sfide del pontificato ratzingeriano – torna spesso nei discorsi dei porporati presenti a Roma in vista dell’elezione del nuovo Papa. La necessità di un nuovo radicamento del cattolicesimo nel cuore d’Europa è un problema che domina la preparazione al Conclave e si allaccia, ancora una volta, all’esigenza di mettere al centro le comunità locali: “In futuro avremo bisogno di luoghi, gruppi, movimenti e comunità nelle quali possano raccogliersi le persone che amano la vita per imparare insieme e aiutarsi reciprocamente”, diceva qualche tempo fa il cardinale Lehmann, che sottolineava come sia sempre più “indispensabile rafforzare la fede”, dal momento che “la cristianità si trova in una situazione di diaspora”.

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