“ Et iterum de Francisco Pontifice ”: ancora su papa Francesco.
Non vorremmo apparire prevenuti, petulanti, pignoli ed sconsolati “laudatore temporis acti”, ma gli è che, da quando è stato eletto Papa, Francesco I offre spunti, motivi ed occasioni di non lieve importanza per commenti e sottolineature di taglio critico. Talune sue esternazioni – parole, gesti, atteggiamenti, decisioni – appaiono in verità quanto mai opinabili se non paradossali e decisamente in senso antiorario al dinamismo millenario della Chiesa cattolica e in palese contrapposizione.
Ci si conceda, pertanto, di intervenire ancora una volta su due fatti di cui anche la stampa mondiale ha riportato integralmente la prospettiva innovativa o, diciamola pure, la irritualità.
Fu certamente un tocco di decoro, di timore o, se così si può definire, di pudica resipiscenza quello che consigliò Giovanni Paolo II (1986) prima, e Benedetto XVI poi (2011), a programmare e a realizzare i festival interreligiosi lontano da Roma, ad Assisi, quell’accolta sconsiderata e blasfema del sincretismo ammantato di apertura ai “fratelli”, festival ove, “de facto” nacque la CMR (nostra sigla), la Confederazione Mondiale delle Religioni, i cui effetti dirompenti hanno scardinato, nelle coscienze dei fedeli, fede e testimonianza sommerse dall’alluvione del relativismo, lo stesso che, a parole, Ratzinger denunciava senza opporre rimedii.
Da qualche giorno, la CMR è stata costituita “de jure” con sede, addirittura, nel Vaticano ove Francesco I ha riunito i rappresentanti delle religioni (tra i quali ci è parso mancare lo stregone pellerossa, quello che ad Assisi aveva benedetto Giovanni Paolo II).
Si pone il problema – che sarà tuttavia discusso, presumiamo, secondo procedure democratiche, come è nello stile annunciato di papa Francesco I – della Presidenza della CMR che, probabilmente sarà di tipo “a rotazione” stante la conclamata pariteticità ed eguaglianza delle religioni. Per il momento pare che l’interim venga assunto dallo stesso Pontefice organizzatore, per una congrua durata, sufficiente a dare corpo giuridico e legislativo all’impresa.
In quell’occasione – 20 marzo 2013 – nell’assise interreligiosa vaticana, il Papa ha tenuto il suo discorso con cui ha chiarito “certe et non dubie” essere, egli, “vescovo di Roma”, uno dei tanti, quello “della porta accanto”, come certa stampa ha amabilmente titolato. Ed ha affermato, con forza e convinzione, l’intenzione di una maggiore stretta collaborazione con l’Islam di cui, ha detto, valgon più le contiguità e le identità che ci accomunano ad esso che le minime differenze stante che l’Islam riconosce, e adora, il nostro stesso Dio (?!).
Insomma, così essendo le cose, sappiamo che: tutti siamo uguali, tutti pari, tutti fermi nelle proprie posizioni, tutti nello “status quo ante”. Una moderna riedizione parafrasata del vecchio “cujus regio ejus religio”. Sicché, cancellati la specifica proprietà di Cristo – Tu sei Pietro e su questa Io edificherò LA MIA CHIESA (Mt. 16, 16/19) - il principio “Extra Ecclesiam nulla salus” e l’impegno missionario, il cattolico resta cattolico, il buddista buddista, il luterano luterano, l’islamico islamico, l’ebreo ebreo, l’induista induista, l’ateo – creatura adorata dal cardinale GF Ravasi – ateo.
La missione della Chiesa,
Anzi: secondo la “Dichiarazione” emessa e sottoscritta tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa nel lontano 17/24 giugno del 1993 a Balamand (Libano), fare proselitismo a favore del cattolicesimo “è forma che non può più essere accettata come metodo da seguire, né come modello di unità” .
Il lettore ignaro sappia che tale documento – regnante Papa GP II – fu l’esito, codardo e proditorio, di un incontro durante il quale la Chiesa ortodossa russa si lamentò dell’opera missionaria con cui la Chiesa Uniate ucraina perseguiva nei territorii, appunto, russi.
La Chiesa cattolica, come si è visto, per pura viltà ha dato ragione alla protesta degli scismatici. Non dissimilmente dal famigerato patto di Metz (1962) con cui Giovanni XXIII si piegava ai voleri di Mosca vietando che, nel Conciliabolo Vaticano II, si parlasse di comunismo e di una sua eventuale scomunica.
Sembra, insomma, di udire le parole del profeta ferito:
Perché di questo si è trattato. Teoria e pratica ribadite dal cardinale Angelo Bagnasco presidente CEI – attivissimo nell’area politica e sindacale ma altrettanto distratto nei confronti dei tanti vergognosi scandali della sua diocesi di Genova – il quale cardinale, il 22/9/2009, nell’incontro con i rabbini Laras e Di Segni ebbe a dichiarare, in nome del Papa che “ non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei”.
Ma Cristo non si è Incarnato, non è Morto e Risorto, non è venuto anche per “le pecorelle perdute della casa d’Israele” ( Lc. 10,5)?
Pertanto, se questa è la strada intrapresa dai precedenti Pontefici possiamo facilmente immaginare in qual modo e con quale tabella di marcia l’attuale Papa accelererà sullo stesso cammino.
Le premesse ci sono: aver fissato nei sacri palazzi la sede legale della CMR e l’aver espressa l’intenzione sua di dialogare ancor più strettamente con Islam e con Ebraismo.
Con questa perentoria affermazione Francesco I cancella il Ps. 95,5 – omnes dii gentium daemonia – cancella il monito di Dio a Mosè di non mescolarsi con le idolatrie dei popoli vicini (Deut. 7, 1/6), dimentica che Satana, nella terza tentazione a Gesù, nel mostrargli tutti i regni della terra – suo dominio, come si deduce dalle sue parole: “ Haec omnia tibi dabo . .” (Mt. 4, 9) – tutto questo ti darò. . - , voleva significare che tutto ciò che è al di fuori della Chiesa di Cristo è falsità e dannazione.
Ed ora apprendiamo che, nel giorno del Giovedì Santo in cui Cristo ha celebrato la sua Ultima Cena con i suoi Discepoli lavando loro i piedi ed istituendo il Santissimo Sacramento dell’Eucaristìa, egli non officerà il rito della Coena Domini in San Pietro, la Chiesa “prima” del Cattolicesimo e sede del Vicario di Cristo, ma, con gesto inusuale, di sapore filantropico, di forte impatto pubblicitario e suggestivo, di rottura diciamolo, egli si recherà presso il carcere minorile romano di Casal del Marmo ove laverà i piedi a dodici giovani detenuti, islamici compresi.
Inutile dire che i mezzi d’informazione, inzuppandoci il biscotto e battendo la grancassa del buonismo mondiale targato ONU, hanno incorniciato siffatto evento quale novità assoluta, sismica diremmo, nella storia bimillenaria della Chiesa, vera inversione a 180 gradi di una mentalità nuova che privilegia unicamente la caritas verso i poveri, gli emarginati, i reclusi in accordo alle sette opere di misericordia corporale.
E niente avremmo da obiettare davanti a simile atto di umiltà senonché riteniamo che, in termini di canonicità e di tradizione e per dovuto omaggio alla santità della Liturgìa, oltre che di corretta adesione al racconto evangelico, esso sia tutt’altro che manifestazione di umiltà quanto piuttosto umiliazione inferta alla Chiesa di cui Francesco I ha la guida.
Non vorremmo sbagliare, ma non ci risulta che Gesù, la sera del giovedì, abbia dato ordine a Pietro di reclutare, e di prelevare dalle carceri di Gerusalemme, dodici giovani reclusi a cui lavare i piedi. A noi sembra di ricordare che Cristo lavò i piedi ai suoi “apostoli” a coloro che, stante il verbo greco “apostello” ( mandare, inviare), dovevano camminare – homines viatores - per il mondo andando ad annunziare la Buona Novella, l’Evangelo. Lavò e santificò loro i piedi perché purificati recassero, nel loro peregrinare, la santità del messaggio in modo instancabile, senza sosta, perinde ac cadaver e perché camminassero sulla strada insanguinata dei martiri cristiani.
Sua Santità aveva, ed ha, l’obbligo di lavare i piedi ai suoi vescovi, perché sono essi che, a somiglianza dei dodici, possono e debbono percorrere le strade del mondo ed impregnarsi non solo “dell’odore di pecora”, come in modo figurato e colorito ha dichiarato, ma soprattutto delprofumo della santità di vita e, se necessario, del sacrificio di sé.
Ma un precedente pastore – ne siamo stati testimonii - ora “Papa emerito”, ha preferito abdicare fuggendo davanti a lupi mentre l’attuale, dismettendo per ismania di riformismo una ritualità creata e sancita da Cristo stesso, rinuncia a confermare i fratelli scelti per la missione preferendo prodursi in gesti di sola suggestione mediatica, sciropposa e per l’applauso del mondo.
E applauso fu, perché leggendo la stampa odierna – 29 marzo 2013 – apprendiamo che anche i radicali di Marco Pannella sono accorsi per ringraziare il Pontefice “ per la sua attenzione alle carceri”.
Il cronista riporta l’impressione di un tassista secondo cui, con quell’apparato di folla, di autorità, di giornalisti e di auto blu, sembrava d’essere a un gran premio automobilistico. Naturalmente, il fatto che nel novero dei dodici ci fossero anche due giovani donne, e un islamico, ha dilatato l’evento per farne quasi il manifesto del nuovo pontificato.
Noi vogliamo ancora sottolineare, con tono perplesso e inquieto, l’ulteriore occasione in cui Sua Santità ha preferito definirsi “vescovo” piuttosto che Vicario di Cristo: “ Lo faccio di cuore, perché è il mio dovere come prete e come vescovo…”.
Ci domandiamo: ma che cosa glielo vieta? Non sarà che in questo santo e augusto titolo egli ci intraveda un che di monarchico – Cristo Re - di fastoso – Cristo Bellezza divina - di imponente – Cristo Pantocratore – di preminente - Cristo Giudice finale - termini afferenti al polo della magnificenza ecclesiale che egli ripudia, così come ripudiò i paramenti pontificali definendoli “carnevalata”?
Noi vorremmo, umilmente, fargli presente che, sì, Vicario di Cristo vuol dire tutto ciò perché il suo è il potere più alto che si possa esercitare in terra, il potere spirituale, a lui concesso, appunto, dall’Alto e di cui non c’è ragione per vergognarsene ma solo di temerne la responsabilità.
Non vorremmo apparire prevenuti, petulanti, pignoli ed sconsolati “laudatore temporis acti”, ma gli è che, da quando è stato eletto Papa, Francesco I offre spunti, motivi ed occasioni di non lieve importanza per commenti e sottolineature di taglio critico. Talune sue esternazioni – parole, gesti, atteggiamenti, decisioni – appaiono in verità quanto mai opinabili se non paradossali e decisamente in senso antiorario al dinamismo millenario della Chiesa cattolica e in palese contrapposizione.
Ci si conceda, pertanto, di intervenire ancora una volta su due fatti di cui anche la stampa mondiale ha riportato integralmente la prospettiva innovativa o, diciamola pure, la irritualità.
Fu certamente un tocco di decoro, di timore o, se così si può definire, di pudica resipiscenza quello che consigliò Giovanni Paolo II (1986) prima, e Benedetto XVI poi (2011), a programmare e a realizzare i festival interreligiosi lontano da Roma, ad Assisi, quell’accolta sconsiderata e blasfema del sincretismo ammantato di apertura ai “fratelli”, festival ove, “de facto” nacque la CMR (nostra sigla), la Confederazione Mondiale delle Religioni, i cui effetti dirompenti hanno scardinato, nelle coscienze dei fedeli, fede e testimonianza sommerse dall’alluvione del relativismo, lo stesso che, a parole, Ratzinger denunciava senza opporre rimedii.
Da qualche giorno, la CMR è stata costituita “de jure” con sede, addirittura, nel Vaticano ove Francesco I ha riunito i rappresentanti delle religioni (tra i quali ci è parso mancare lo stregone pellerossa, quello che ad Assisi aveva benedetto Giovanni Paolo II).
Si pone il problema – che sarà tuttavia discusso, presumiamo, secondo procedure democratiche, come è nello stile annunciato di papa Francesco I – della Presidenza della CMR che, probabilmente sarà di tipo “a rotazione” stante la conclamata pariteticità ed eguaglianza delle religioni. Per il momento pare che l’interim venga assunto dallo stesso Pontefice organizzatore, per una congrua durata, sufficiente a dare corpo giuridico e legislativo all’impresa.
In quell’occasione – 20 marzo 2013 – nell’assise interreligiosa vaticana, il Papa ha tenuto il suo discorso con cui ha chiarito “certe et non dubie” essere, egli, “vescovo di Roma”, uno dei tanti, quello “della porta accanto”, come certa stampa ha amabilmente titolato. Ed ha affermato, con forza e convinzione, l’intenzione di una maggiore stretta collaborazione con l’Islam di cui, ha detto, valgon più le contiguità e le identità che ci accomunano ad esso che le minime differenze stante che l’Islam riconosce, e adora, il nostro stesso Dio (?!).
Insomma, così essendo le cose, sappiamo che: tutti siamo uguali, tutti pari, tutti fermi nelle proprie posizioni, tutti nello “status quo ante”. Una moderna riedizione parafrasata del vecchio “cujus regio ejus religio”. Sicché, cancellati la specifica proprietà di Cristo – Tu sei Pietro e su questa Io edificherò LA MIA CHIESA (Mt. 16, 16/19) - il principio “Extra Ecclesiam nulla salus” e l’impegno missionario, il cattolico resta cattolico, il buddista buddista, il luterano luterano, l’islamico islamico, l’ebreo ebreo, l’induista induista, l’ateo – creatura adorata dal cardinale GF Ravasi – ateo.
“Deus, venerunt gentes in haereditatem tuam et polluerunt templum sanctum tuum” (Ps. 78,1) – O Dio, i pagani hanno cancellato la tua eredità e hanno devastato il tempio santo tuo!
- Fine! La missione della Chiesa,
il comando di Cristo “Euntes in mundum universum predicate evangelium omni creaturae. Qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit; qui vero non crediderit condemnabitur” ( Mc, 16, 15/16) - andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura; chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi invece non crederà sarà condannato –
è sospesa, annullata ci par di capire, superata quella che era la massima legge, - “salus animarum suprema lex esto” – cassata perché, da oggi in futuro, si cammina insieme, in parallelo con i fratelli di tutte le religioni che, pur sotto nome, stile e ritualità diversi, adorano lo “stesso Dio nostro”, Padre di tutti.Anzi: secondo la “Dichiarazione” emessa e sottoscritta tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa nel lontano 17/24 giugno del 1993 a Balamand (Libano), fare proselitismo a favore del cattolicesimo “è forma che non può più essere accettata come metodo da seguire, né come modello di unità” .
Il lettore ignaro sappia che tale documento – regnante Papa GP II – fu l’esito, codardo e proditorio, di un incontro durante il quale la Chiesa ortodossa russa si lamentò dell’opera missionaria con cui la Chiesa Uniate ucraina perseguiva nei territorii, appunto, russi.
La Chiesa cattolica, come si è visto, per pura viltà ha dato ragione alla protesta degli scismatici. Non dissimilmente dal famigerato patto di Metz (1962) con cui Giovanni XXIII si piegava ai voleri di Mosca vietando che, nel Conciliabolo Vaticano II, si parlasse di comunismo e di una sua eventuale scomunica.
Sembra, insomma, di udire le parole del profeta ferito:
“ Et dicetur: quid sunt plagae istae in medio manuum tuarum? Et dicet: His plagatus sum in domo eorum qui diligebant me”(Zach. 13, 6) - E si chiederà: come mai queste ferite in mezzo alle tue mani? Risponderà: le ho ricevute in casa di coloro che mi amavano –
Perché di questo si è trattato. Teoria e pratica ribadite dal cardinale Angelo Bagnasco presidente CEI – attivissimo nell’area politica e sindacale ma altrettanto distratto nei confronti dei tanti vergognosi scandali della sua diocesi di Genova – il quale cardinale, il 22/9/2009, nell’incontro con i rabbini Laras e Di Segni ebbe a dichiarare, in nome del Papa che “ non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei”.
Ma Cristo non si è Incarnato, non è Morto e Risorto, non è venuto anche per “le pecorelle perdute della casa d’Israele” ( Lc. 10,5)?
Pertanto, se questa è la strada intrapresa dai precedenti Pontefici possiamo facilmente immaginare in qual modo e con quale tabella di marcia l’attuale Papa accelererà sullo stesso cammino.
Le premesse ci sono: aver fissato nei sacri palazzi la sede legale della CMR e l’aver espressa l’intenzione sua di dialogare ancor più strettamente con Islam e con Ebraismo.
Con questa perentoria affermazione Francesco I cancella il Ps. 95,5 – omnes dii gentium daemonia – cancella il monito di Dio a Mosè di non mescolarsi con le idolatrie dei popoli vicini (Deut. 7, 1/6), dimentica che Satana, nella terza tentazione a Gesù, nel mostrargli tutti i regni della terra – suo dominio, come si deduce dalle sue parole: “ Haec omnia tibi dabo . .” (Mt. 4, 9) – tutto questo ti darò. . - , voleva significare che tutto ciò che è al di fuori della Chiesa di Cristo è falsità e dannazione.
Ed ora apprendiamo che, nel giorno del Giovedì Santo in cui Cristo ha celebrato la sua Ultima Cena con i suoi Discepoli lavando loro i piedi ed istituendo il Santissimo Sacramento dell’Eucaristìa, egli non officerà il rito della Coena Domini in San Pietro, la Chiesa “prima” del Cattolicesimo e sede del Vicario di Cristo, ma, con gesto inusuale, di sapore filantropico, di forte impatto pubblicitario e suggestivo, di rottura diciamolo, egli si recherà presso il carcere minorile romano di Casal del Marmo ove laverà i piedi a dodici giovani detenuti, islamici compresi.
Inutile dire che i mezzi d’informazione, inzuppandoci il biscotto e battendo la grancassa del buonismo mondiale targato ONU, hanno incorniciato siffatto evento quale novità assoluta, sismica diremmo, nella storia bimillenaria della Chiesa, vera inversione a 180 gradi di una mentalità nuova che privilegia unicamente la caritas verso i poveri, gli emarginati, i reclusi in accordo alle sette opere di misericordia corporale.
E niente avremmo da obiettare davanti a simile atto di umiltà senonché riteniamo che, in termini di canonicità e di tradizione e per dovuto omaggio alla santità della Liturgìa, oltre che di corretta adesione al racconto evangelico, esso sia tutt’altro che manifestazione di umiltà quanto piuttosto umiliazione inferta alla Chiesa di cui Francesco I ha la guida.
Non vorremmo sbagliare, ma non ci risulta che Gesù, la sera del giovedì, abbia dato ordine a Pietro di reclutare, e di prelevare dalle carceri di Gerusalemme, dodici giovani reclusi a cui lavare i piedi. A noi sembra di ricordare che Cristo lavò i piedi ai suoi “apostoli” a coloro che, stante il verbo greco “apostello” ( mandare, inviare), dovevano camminare – homines viatores - per il mondo andando ad annunziare la Buona Novella, l’Evangelo. Lavò e santificò loro i piedi perché purificati recassero, nel loro peregrinare, la santità del messaggio in modo instancabile, senza sosta, perinde ac cadaver e perché camminassero sulla strada insanguinata dei martiri cristiani.
Sua Santità aveva, ed ha, l’obbligo di lavare i piedi ai suoi vescovi, perché sono essi che, a somiglianza dei dodici, possono e debbono percorrere le strade del mondo ed impregnarsi non solo “dell’odore di pecora”, come in modo figurato e colorito ha dichiarato, ma soprattutto delprofumo della santità di vita e, se necessario, del sacrificio di sé.
Con quell’atto di umiltà, segno di consacrazione, egli avrebbe adempiuto l’invito che Gesù rivolse a Pietro : “ Simon, Simon, ecce satanas expetivit vos ut cribraret sicut triticum; ego autem rogavi pro te ut non deficiat fides tua, et aliquando conversus confirma fratres tuos” (Lc. 22,31/32) - Simone, Simone: ecco, satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli - .
Ma un precedente pastore – ne siamo stati testimonii - ora “Papa emerito”, ha preferito abdicare fuggendo davanti a lupi mentre l’attuale, dismettendo per ismania di riformismo una ritualità creata e sancita da Cristo stesso, rinuncia a confermare i fratelli scelti per la missione preferendo prodursi in gesti di sola suggestione mediatica, sciropposa e per l’applauso del mondo.
E applauso fu, perché leggendo la stampa odierna – 29 marzo 2013 – apprendiamo che anche i radicali di Marco Pannella sono accorsi per ringraziare il Pontefice “ per la sua attenzione alle carceri”.
Il cronista riporta l’impressione di un tassista secondo cui, con quell’apparato di folla, di autorità, di giornalisti e di auto blu, sembrava d’essere a un gran premio automobilistico. Naturalmente, il fatto che nel novero dei dodici ci fossero anche due giovani donne, e un islamico, ha dilatato l’evento per farne quasi il manifesto del nuovo pontificato.
Noi vogliamo ancora sottolineare, con tono perplesso e inquieto, l’ulteriore occasione in cui Sua Santità ha preferito definirsi “vescovo” piuttosto che Vicario di Cristo: “ Lo faccio di cuore, perché è il mio dovere come prete e come vescovo…”.
Ci domandiamo: ma che cosa glielo vieta? Non sarà che in questo santo e augusto titolo egli ci intraveda un che di monarchico – Cristo Re - di fastoso – Cristo Bellezza divina - di imponente – Cristo Pantocratore – di preminente - Cristo Giudice finale - termini afferenti al polo della magnificenza ecclesiale che egli ripudia, così come ripudiò i paramenti pontificali definendoli “carnevalata”?
Noi vorremmo, umilmente, fargli presente che, sì, Vicario di Cristo vuol dire tutto ciò perché il suo è il potere più alto che si possa esercitare in terra, il potere spirituale, a lui concesso, appunto, dall’Alto e di cui non c’è ragione per vergognarsene ma solo di temerne la responsabilità.
di L. P.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV475_LP_Et_iterumde_Francisco.html“Il Papa lava i piedi a due donne? Un cattivo esempio”
Esplodono le polemiche fra i tradizionalisti dopo il gesto di Francesco che durante la messa del Giovedì Santo ha lavato i piedi di una musulmana
ALESSANDRO SPECIALECITTÀ DEL VATICANO
L'allarme era suonato subito dopo la sua elezione, quando papa Francesco si era presentato al mondo dalla Loggia delle Benedizioni con la sua semplice croce di ferro, senza mozzetta rossa e stola ornata: i tradizionalisti cattolici, quelli legati alla messa preconciliare in latino, avevano storto il naso.
D'altra parte, il 'curriculum' del papa argentino aveva da subito attirato le critiche dei fan della messa tridentina. “The Horror”, aveva sinteticamente riassunto la sua reazione all'elezione di papa Bergoglio un giornalista sudamericano in un'analisi pubblicata dal sito tradizionalista Rorate Coeli: “Di tutti i candidati impensabili, Jorge Mario Bergoglio è forse il peggiore. Non perché professi apertamente dottrine contro la fede e la morale ma perché, a giudicare dal suo lavoro come arcivescovo di Buenos Aires, la fede e la morale sembrano essere per lui irrilevanti”.
Soprattutto, il nuovo papa era “un nemico giurato della messa tradizionale”, ovvero quella in latino, e avrebbe impedito nella sua arcidiocesi la messa in pratica del Motu Proprio Summorum Pontificum – quello con cui Benedetto XVI ha liberalizzato la messa tridentina come “forma straordinaria” del Rito Romano.
Per fare solo un altro esempio, il commentatore cattolico conservatore Michael Brendan Dougherty sul National Postaveva definito a caldo – ad appena tre giorni dall'elezione – l'elezione di papa Bergoglio come “l'ennesima aggiunta al mucchio delle recenti novità e mediocrità cattoliche”, perché in linea con il mezzo secolo seguito al Concilio Vaticano II segnato da “sconsiderate sperimentazioni” come la celebrazione della messa nelle lingue locali, i gesti “drammatici” di Giovanni Paolo II fino alle dimissioni di Benedetto XVI.
Ma l'ostilità è esplosa dopo che, ieri pomeriggio, papa Francesco ha lavato e baciato i piedi a due ragazze – di cui una musulmana – nella messa del Giovedì Santo celebrata nel carcere minorile di Casal del Marmo.
Papa Francesco è stato accusato di dare il 'cattivo esempio' e di violare la legge della Chiesa, tanto che il solitoRorate Coeli ha prontamente dichiarato “finita” la “riforma della riforma” – ovvero il ritorno a riti e celebrazioni più tradizionali dopo la deriva, secondo alcuni critici all'insegna della sciatteria e dell'innovazione ingiustificata, seguita al Concilio Vaticano II – che in molti si aspettavano da Benedetto XVI.
Ed Peters, un canonista e blogger molto noto Oltreoceano, non accusa il pontefice, naturalmente, di “violare qualche direttiva divina” ma, “ignorando la sua stessa legge”, di dare “un esempio discutibile”.
Nel 1988, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti aveva infatti pubblicato la lettera circolare Paschales Solemnitatis sulla celebrazione dei riti pasquali. In quel testo, al numero 51, si legge che la lavanda dei piedi deve coinvolgere solo “uomini scelti”. L'originale latino, viri selecti, non lascia dubbi circa il sesso dei prescelti.
Negli Stati Uniti, la Conferenza episcopale aveva decretato un anno prima che la pratica di lavare i piedi anche alle donne, anche se non prevista dai libri liturgici, aveva “l'intenzione di sottolineare il servizio accanto alla carità nel rito” ed era quindi un “modo comprensibile di accentuare il comando evangelico del Signore 'venuto per servire e non per essere servito'”.
La questione era poi tornata di attualità nel 2005, quando l'arcivescovo di Boston, cardinale Sean O'Malley, aveva suscitato polemiche per la sua volontà di aprire il rito anche alle donne. In quell'occasione, la Congregazione per il culto aveva spiegato che se rimaneva “l'obbligo liturgico” di lavare i piedi ai soli uomini, il vescovo locale poteva decidere di fare altrimenti se questo rispondeva ai bisogni pastorali della diocesi.
Fino allo strappo umile di papa Francesco. Per il portavoce vaticano Federico Lombardi, interpellato dall'Associated Press, ha spiegato che se in una “grandiosa celebrazione solenne” sarebbe logico lavare i piedi di soli uomini in commemorazioni dell'Ultima Cena di Gesù con gli apostoli, “in una comunità piccola e unica, composta anche di donne”, come quella di Casal del Marmo, sarebbe stato “inopportuno” escludere le donne “alla luce del semplice obiettivo di comunicare un messaggio di amore a tutti in un gruppo che certo non comprendeva raffinati esperti di regole liturgiche”.
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