ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 2 aprile 2013

Contrordine, fratelli:

 il cardinale Dolan forse è una sòla!


Certe allarmanti incongruenze del cardinale DOLAN e quella sua tendenza al “dialoghismo” anche con i cattolici adult(erat)i

Concentrandosi soprattutto sul ministero di Dolan quale Arcivescovo di New York, non ci si può accontentare di fermarsi al fascino di una gestione pastorale carismatica, non di rado caratterizzata da bonari eccessi informali, ma apparentemente non prona a cedere sui fondamentali. Perché oltre alle sonore risate e alle battute su cibo e bevande, la gestione di Dolan si è declinata spesso su toni dialoganti, in alcuni frangenti pericolosamente sull’orlo del dialoghismo, con le altre realtà religiose, culturali e politiche della caleidoscopica metropoli. Con i rischi che ne conseguono in fatto di fermezza pastorale.

di Luca Dombré

Forse ci eravamo sbagliati. La storia da raccontare è breve, e più che esprimere un’opinione, intende fornire alcuni elementi per invitare ad una riflessione su  aspetti meno noti dell’esuberante Cardinale Timothy Dolan di New York. Nei giorni precedenti al recente conclave, abbiamo addirittura ospitato un paio di “endorsement” (quella che in gergo giornalistico-politico è l’investitura di un candidato) che spiegavano – ovviamente senza velleità di sostituirsi allo Spirito Santo, ma offrendo un’analisi della Chiesa odierna da una prospettiva di fede- perché Dolan sarebbe stato il “papabile ideale”. L’intento del presente articolo, dunque, non è rimangiarci in toto le considerazioni positive sul Primate della Chiesa statunitense né esprimere un giudizio categorico sul suo operato, bensì apportare al quadro già dipinto degli elementi che lo integrino e ci aiutino ad averne una panoramica più ampia anche per mitigare una rappresentazione a rischio di agiografia.

Concentrandosi soprattutto sul ministero di Dolan quale Arcivescovo di New York, non ci si può infatti fermare al fascino di una gestione pastorale carismatica, non di rado caratterizzata da bonari eccessi informali, eppure apparentemente non prona a cedere sui fondamentali. Perché oltre alle sonore risate e alle battute su cibo e bevande, va detto che la gestione di Dolan si è anche declinata spesso su toni dialoganti, in alcuni frangenti pericolosamente sull’orlo del dialoghismo, con le altre realtà religiose, culturali e politiche della caleidoscopica metropoli ed anche a livello nazionale. Con i rischi che ne conseguono in fatto di fermezza pastorale.

Se infatti è vero che, in qualità di presidente della Conferenza episcopale americana, il Cardinale è stato tra gli attori più esposti nella disputa per la difesa della libertà religiosa contro certe derive totalitarie della riforma sanitaria obamiana, vanno registrati alcuni episodi che conservano qualche ambiguità. I dubbi che ne derivano ovviamente non intendono processare la buona fede di Dolan, ci mancherebbe altro, ma serbano un fondo di liceità rispetto al dovere della gerarchia ecclesiastica di non creare scandalo tra i fedeli agendo e parlando sempre con chiarezza alla luce dell’ortodossia.

ST.FRANCIS XAVIER A MANHATTAN: GESUITI…SENZA UNA REGOLA, MA CON TANTO ORGOGLIO. GAY

La dottrina cattolica è chiara: non c’è possibilità di riconoscere unioni omosessuali.

Un episodio controverso risale al Giugno 2010, un anno dopo la sua installazione arcivescovile, quando Dolan invitò la parrocchia gesuita di St. Francis Xavier(notissima in città per l’accoglienza delle istanze e attività di gruppi LGBT come “liturgie” gay-friendly, oltre a preghiere ecumeniche taizè e corsi zen) a non unirsi portando lo stendardo parrocchiale, come annunciato nel loro bollettino settimanale, alla parata del Gay Pride che di lì a poco si sarebbe svolta per le strade di Manhattan; stendardo poi sostituito nella sfilata da unocompletamente bianco. Una disobbedienza per così dire modulata – ma pur sempre disobbedienza- in risposta all’autorità permissiva esercitata dall’Arcivescovo.

Allo stesso tempo, inoltre, la settimana precedente Dolan partecipò alla Messa di ridedicazione e restaurazione di St. Francis, durante la quale diversi gruppi di omosessuali e lesbiche quivi operanti gli vennero presentati come impegnati in un percorso di supporto <<per far ritornare ai Sacramenti i cattolici LGBT>>. Sull’incompatibilità tra la cosciente decisione di vivere senza remore il “gay lifestyle” e l’accesso ai Sacramenti, è nitido l’insegnamento della Chiesa, che non trova peccaminosa in sé la tendenza omosessuale, quanto l’atto in se stesso e soprattutto la scelta di compierlo e promuoverlo facendone appunto uno “stile di vita” a discapito della castità (ecco perché, checché ne dicano i latratori della “medievale intolleranza clericale”, è sincera la distinzione che la Chiesa fa di distinguere la condanna del peccato dalla misericordia verso il peccatore); lascio ai lettori meditare sulle conseguenze sacrileghe del suddetto corto circuito. Mentre ciò accadeva, Dolan, come documentato in un reportage video dell’epoca, non trovò molto da ridire e anzi applaudì l’iniziativa, vogliamo credere poiché in qualche modo influenzato (sebbene non sarebbe una scusante per un Arcivescovo nell’esercizio delle sue funzioni, anzi) dal densissimo clima di buonismo arcobalenista e “non-judgmental” nella chiesa dedicata all’incolpevole santo spagnolo.

Sempre nella stesso ambito, personalmente ricordo benissimo anche la dichiarazione, che mi lasciò un po’ spiazzato, rilasciata da Dolan dopo che lo Stato di New York approvò la legge che legalizzava il “matrimonio” omosessuale, chiedendo scusa alla comunità gay se la posizione della Chiesa poteva averli offesi (non risulta però che abbia mai espresso scuse ai fedeli offesi, tra le altre cose, dalla croce arcobalenata sbandierata dai suddetti parrocchiani), sebbene ribadisse il suo “no” e persino preventivando la prossima mossa degli antagonisti nella istituzionalizzazione della poligamia. Anche in tale frangente, insomma, si può notare la compresenza di disorientanti concessioni allo zeigeist dialoghista e posizioni di difesa dei “non negoziabili”. Notazione che, va ribadito, non intende affatto condannare una presunta inclinazione di Sua Eminenza alla doppiezza, ma semplicemente fornire un’ottica più ampia del quadro della situazione in cui coesistono evidenze discordanti.

EUCARISTIA A PERDERE: LO SCANDALO DELL’OSTIA A JOE BIDEN NELLA MODERNA FURIA ANTICATTOLICA DI GOVERNO E CULTURA AMERICANI

Una delle diverse messe in cui Biden, a quanto pare sedicente “pro-life” ma vicepresidente di un governo promotore delle più indecenti politiche abortiste, ha ricevuto la Comunione.

Un fatto recentissimo, e veniamo al cuore dello smarrimento fin qui descritto, ha però destato stupore, se non vero e proprio scandalo tra molti cattolici non “da caffetteria”. Nella recente Messa della Domenica delle Palme nella Cattedrale di St.Patrick a Manhattan, nientepopodimeno che il “cattolico” vicepresidente Biden, cioè il vice-responsabile dell’amministrazione più radicalmente anticattolica mai vista negli USA (di cui in questo articolo di Novembre diedi una descrizione per sommi capi), ha tranquillamente camminato lungo la navata e ricevuto l’Eucaristia sotto gli occhi di Dolan che non solo non ha battuto ciglio, ma ha anzi invitato i fedeli a riservargli un caloroso benvenuto. Così come sembra che lo stesso Biden (il quale pare si dica pro-life, ma col solito riflesso non conflittuale da “cattolico adulto” che “non vuole certo imporre la sua idea a chi non la pensa come lui”) e la speaker della Camera USA Nancy Pelosi abbiano ricevuto l’ostia durante la recente Messa di installazione di Papa Francesco in San Pietro.

E come non pensare, a questo punto, al rischio (evocato nel mio succitato articolo) che fra pochi mesi la “cattolica” militante omosessualista Christine Quinn verrà eletta sindaco e si farà amministrare la Comunione senza che nessuno dica nulla?

Non sembrino tali considerazioni uno sbrigativo e farisaico crucifige nei confronti di tali personaggi pubblici, perché la verità è che qui riesce difficile non constatare un avvenuto sacrilegio. La legge canonica è infatti chiara sull’amministrazione del Santissimo Sacramento da impedire a coloro che <<ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto>> (canone 915) e sappiamo come tale disposizione possa assumere connotati di necessità esemplare quando applicata a persone che ricoprono cariche pubbliche esercitandole in evidente e rivendicato conflitto con la dottrina. E quale contesto più esemplificativo di tale situazione ci può essere di quello politico-culturale americano di questi giorni? Un ambito che, oltre alla notoria deriva relativista e pan(omo)sessualista della società statunitense, proprio in questi giorni vede la discussione di una legge ultrapermissiva sull’aborto da introdurre nello Stato di New York (guidato, guarda la coincidenza, da un altro politico “cattolico” come il Governatore Andrew Cuomo); e soprattutto il dibattimento alla Corte Suprema Federale per dichiarare incostituzionale la Proposition 8, una legge dello Stato californiano che definisce come matrimonio unicamente quello contratto tra un uomo e una donna, con tutto il colossale dispiegamento di forze mediatiche e d’opinione da parte della superpotente lobby omosessualista.

In tutto questo scenario di guerra, è altissimo il rischio che l’unico esempio “costruttivo” trovato da tanti “cattolici” – guidati dai mondani “secondo me” piuttosto che dagli insegnamenti della Chiesa- nelle azioni-omissioni di Dolan sia stata un’ulteriore, implicita approvazione della loro disobbedienza alla dottrina.

SULLA BARCA IN TEMPESTA OCCORRONO SALDI TIMONIERI

C’è bisogno di qualcuno che indichi con forza i punti fermi della fede. Il card. Dolan, in questo senso, può fare di più.

C’è insomma una sensazione fastidiosa, che un po’ per pusillanimità e un po’ per troppo candore ho, parlo personalmente, messo da parte nel vorticoso entusiasmo pre-conclave con cui abbiamo dato l’endorsement a Dolan. Visto però il quadro sopra dipinto, vorremmo esprimere, con il dovuto e sincero rispetto verso il Cardinale Dolan, un lecito turbamento riguardo parecchi episodi in cui ha mostrato un approccio troppo dialoghista e foriero di quella confusione da cui un pastore, specie di questi tempi, dovrebbe preservare le proprie pecorelle. Che Sua Eminenza tema a volte di suonare impopolare nei confronti del mondo? O forse, come nella blogosfera cattolica americana qualcuno si azzarda a sospettare, lo ispirerebbe una malcelata mentalità “post-conciliare” ed ecumenistica le cui contraddizioni sono edulcorate dall’immagine tutta simpatia e bonarietà ormai nota anche in Italia? Come specificato e per concludere, qui non cerchiamo nella maniera più assoluta di sentenziare sul suo operato e sulla genuinità cristallina della sua fede, ma appare necessario porci, da oggi in poi, in una posizione di maggiore attenzione alla conduzione pastorale del Primate americano. I tempi richiedono apertura ed equilibrio che però si basino su un’esemplare aderenza a quei principii niente affatto per caso detti “non negoziabili”.

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