ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 1 maggio 2013

Povera arte di poveri gesuiti


 IL PICCATO COMMENTO DI P. DALL'ASTA: "SPENDIAMO ALTRI DENARI PER UN'ARTE POVERA!"

Sopra e di seguito alcune opere di Lawrence Carroll, artista australiano che parteciperà al padiglione della Santa Sede alla Biennale. L'artista mi ha voluto cordialmente inviare le immagini di alcune opere maggiormente rappresentative della sua lettura artistica della spiritualità.
Padre Andrea Dall'Asta risponde con la tipica acidità clericale ad una mia breve intervista al Corriere del Veneto contenuta in un più ampio articolo dedicato alla partecipazione della Santa Sede alla Biennale di Venezia di quest'anno. Tre brevi riflessioni:


1) Comincerò dallo squallido riferimento al "giro d'affari" della "paccottiglia" liturgica che io promuoverei e di cui "è impossibile che non sia al corrente". Caro Dall'Asta al massimo chi maneggia denari sarà lei! Io in tutti questi anni non ho lucrato un solo euro da questa mia attività critica. Nulla. Anche quando invitato a conferenze o simili non ho mai preso un centesimo. Mi batto per un'arte sacra cattolica per passione, al contrario di tanti ideologi e mestieranti della fede.

2) Nell'intervista che la redattrice ha chiaramente abbreviato le mie riflessioni: non ho affermato, come erroneamente attribuitomi, che Dall'Asta avrebbe introdotto un altare e un crocefisso rimossi. Ho parlato correttamente della sede episcopale di Kounellis - riguardo alla quale ho specificato alla giornalista che non se ne è mai conosciuto il costo - e del crocifisso di Nagasawa. Entrambe opere rimosse. La prima grazie all'intervento di Mons. Camisasca e la seconda per via della sua irriconoscibilità. Dunque l'accusa di "inesperienza" la rispedisco al mittente. D'altro canto su questo blog tutto è stato ampiamente documentato a suo tempo. 

3) Dall'Asta si augura che opere "d'arte povera" come la sede di Kounellis fatta rimuovere da Camisasca possano trovare spazio nella Basilica di San Pietro "mettendo da parte pizzi e merletti". Ecco, il solito prete in maglione, il solito pauperista da quattro soldi, meglio pauperista a pagamento, perché sarei curioso di conoscere i costi di Kounellis e delle sue costose opere, sebbene di "arte povera"

Caro padre Dall'Asta la sua acidità non mi tange. So che la sconvolge pensare che il Corriere della Sera abbia potuto dar voce ad un "inesperto" come dice lei, ad un cane sciolto, ad uno che parla fuori dal coro, ad un cattolico che ragiona col cervello e col cuore e certo non con l'ideologia e il portafogli come altri. Ma tant'è! La follia di 2,8 milioni di euro di spesa per questa "contemporary art" in salsa cattolica, oltre le spese d'affitto del padiglione viene totalmente elusa. Si cerca di contrapporre "antica paccottiglia", "pizzi e merletti", all'aggiornamento, alla "sfida" di chi si crede moderno ed è invece vecchio dentro, fermo ai polverosi anni '60. Potessi dire: "contento lei!" E invece mi tocca ribadire che sacerdoti come lei sono espressione di una intrinseca perversione della Chiesa Cattolica, la perversione della "mondanità" di cui parla spesso Papa Francesco, una "mondanità" difesa con le unghie e coi denti, rivendicata addirittura attraverso l'edulcorazione della dialettica. E questa "mondanità" applicata all'arte sacra mira non certo a favorire lo sviluppo di un'arte che aiuti la preghiera e la devozione, bensì un'arte ch'è univoca espressione del complesso mondo commerciale delle gallerie e dei vernissages, dei critici eletti, dei parolai, epigrafai e sciupasolai... Un'arte in altre parole "autoreferenziale". Espressione di una Chiesa in preda, come direbbe sempre Papa Francesco, "ad una specie di narcisismo, che ci conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato"

F.C.
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di p. Andrea Dall'Asta S.J.
Sono rimasto davvero colpito dall’articolo di Sara d’Ascenzo del 19 aprile apparso sul Corriere del Veneto che riporta una citazione di Francesco Colafemmina, che da tempo gestisce un blog su arte e fede. L’articolo recita: “L’arte sacra non è più quotata, non va più sul mercato. E quindi c’è l’interesse a riempire le chiese, o il padiglione della Santa sede, di opere che abbiano un mercato. Una dimensione assolutamente mondana, che non ha nulla a che vedere con la spiritualità. Come nel duomo di Reggio Emilia, dove Padre Andrea Dall’Asta, che è dentro la commissione ristretta che ha scelto le opere per la biennale, ha fatto sostituire l’altare e il crocifisso con opere d’arte contemporanea poi rimosse dal nuovo vescovo. Quest’arte serve a pregare o a essere più facilmente rivenduta in futuro?”. Come risposta all’articolo, vorrei prima di tutto porre una domanda, in quanto credo che chi scrive non conosca bene il soggetto. Quando infatti si dice: “L’arte sacra non è più quotata, non va più sul mercato”, di quale arte sacra si sta parlando? Se per arte sacra si intende infatti quella pseudo arte liturgica che affolla le nostre chiese con effetti del tutto devastanti e disastrosi (e che il nostro Colafemmina promuove – sic!), questa ha un mercato davvero fiorentissimo. 
Non c’è certo bisogno di fare propaganda con biennali o eventi vari perché sia venduta. Consiglio a chi scrive di partecipare a qualche “fiera del sacro”, per rendersi conto della quantità di persone coinvolte e del giro d’affari che vede come acquirenti tanti ecclesiastici con tanto di portafoglio rigonfio. Colafemmina ne resterebbe estasiato (ma è impossibile che non ne sia al corrente). Vi ho partecipato alcune volte e purtroppo ho l’impressione che tanto più gli stand propongono oggetti di pessimo gusto, kitsch, vuoti e artificiali, tanto più il successo commerciale è garantito. 
Quando poi si dice che ci sia l’interesse da parte degli artisti (veri, almeno riconosciuti nell’ambiente artistico, con tutte le luci e ombre che conosciamo) a riempire le chiese delle loro opere si dimentica un fatto non secondario. I veri artisti, come quelli coinvolti nella cattedrale di Reggio Emilia – penso solo a Ettore Spalletti o a Jannis Kounellis – non hanno certo bisogno né della biennale di Venezia né tantomeno di commissioni ecclesiastiche, anche delle più prestigiose, per farsi pubblicità o per vendere i loro lavori. Anzi, da parte loro ho riscontrato grande generosità e disponibilità, atteggiamenti oggi molto rari. Dove sia questa dimensione mondana sinceramente faccio fatica a riscontrarla. Quando penso al cammino personale condotto con loro sia per l’elaborazione delle opere per la cattedrale di Reggio Emilia, sia per le immagini dell’Evangeliario Ambrosiano, a partire dalla lettura delle sacre scritture e dei testi liturgici, penso proprio al contrario. Questi artisti si sono messi in gioco in prima persona nell’affrontare tematiche nuove, con un vero desiderio di comprendere, di esprimere qualcosa di significativo in relazione a quanto loro richiesto, confrontandosi con la tradizione cristiana. Atteggiamenti esemplari. Criticando questi artisti, si ha forse paura che possano in un futuro togliere il mercato a tutta quella paccottiglia da cui siamo invasi? Beh, sinceramente lo spero. Quando poi alla fine della citazione si afferma che ho sostituito l’altare e il crocifisso della cattedrale di Reggio Emilia con opere poi rimosse dal nuovo vescovo, l’inesperienza di chi scrive raggiunge toni davvero drammatici. Inutile dire che l’unico ad avere l’autorità per iniziative simili è il vescovo, nel caso di Reggio Emilia, mons. Adriano Caprioli che ha voluto e ha portato avanti il progetto, con tutte le “paure” dell’ultimo momento. Solo il vescovo ha infatti il potere nella sua diocesi di farlo. Se poi il crocifisso di Nagasawa e l’altare di Kounellis saranno venduti – Colafemmina si confonde qui con l’altare di Parmiggiani che non è stato toccato ed è ancora in situ – questo proprio non lo so. Anzi, in un momento in cui papa Francesco parla di povertà, vedere la cattedra di Kounellis, splendida opera di arte povera, nata da una lunga riflessione teologica (così come la croce di Nagasawa), in una grande basilica romana, e perché no, in San Pietro, sarebbe veramente il segno di un nuovo corso della chiesa di andare all’essenziale, mettendo da parte pizzi e merletti. Un ritorno a uno stile semplice. Ma proprio ciò che è sobrio appare oggi difficile a essere accolto e accettato. Perché segno di grande spiritualità.

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