ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 maggio 2013

Tenerezza o pietà?


“Terra Santa e Israele, luogo della tenerezza”

Gerusalemme
GERUSALEMME

Un pellegrinaggio davvero particolare organizzatoda Effatà Tour-Effatà Editrice per il 16-23 giugno

“Per i cristiani, Israele è un posto unico al mondo”, sottolineano gli organizzatori, ”perché offre l’opportunità di fare esperienza della terra nella quale Jahvè ha sviluppato una relazione nuziale con il suo popolo, di andare a ‘scuola di tenerezza’ nei luoghi dove il Figlio di Dio – sorgente di ogni tenerezza – è vissuto, di scoprire che l’amore rivelato da Gesù Cristo ha una dimensione sponsale: Cristo è sposo e la Chiesa fidanzata e sposa”. Il pellegrinaggio è “rivolto alle coppie, ai sacerdoti e religiosi per comprendere il significato più autentico dell’amore sponsale”.


Il viaggio prevede tappe a Tel Aviv e Nazareth il primo giorno. Nella seconda giornata il Lago di Tiberiade, dove si affronterà il tema “La vocazione sponsale come possibilità di sequela”; poi il Monte delle Beatitudini, dove si rifletterà su “Otto modalità per la felicità”; Cafarnao su “Dalla coppia alle relazioni: la vita di villaggio”; Tabgha su “Siamo un’antica famiglia”. Si proseguirà il terzo giorno al Monte Tabor, su “L’amore che trasfigura”; Cana su “Perché la vita matrimoniale sia una festa”;

Nazaret su “Un amore che si fa storia: la fecondità del quotidiano”. La quarta giornata prevede: Sebaste (Samaria) su “Gesù come compimento dell’amore umano”; Nablus (Sichem) su “Il pozzo di Giacobbe: Dio puntuale all’appuntamento”; Betania su “L’importanza degli amici”. Nel quinto “atto” del pellegrinaggio è in programma: deserto di Giuda, su “Meditare nel silenzio”; e Gerusalemme su “Al centro della fede”. Il sesto giorno si trascorrerà sempre a Gerusalemme, riflettendo su “L’amore che va fino al dono di sé”. Settima e ultima giornata: Ain Karim, su “L’arte dell’ascolto”; e Betlemme su “Il mistero della nascita”. La guida biblica sarà don Paolo Scquizzato della comunità di sacerdoti del Cottolengo, direttore della casa di spiritualità “Mater Unitatis” di Druento (provincia di Torino).
DOMENICO AGASSO JR.ROMA

Nakba 65

partizione palestina
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Nakba 65

65 anni fa, la tragedia che colpì il popolo palestinese,

mentre una legge israeliana vieta ai palestinesi

di manifestare lutto e dolore il 15 maggio,

giorno della Nabka, l’olocausto palestinese

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“Il 14 maggio 1948 segna una data terribile per il popolo palestinese: la nascita dell’entità sionista sulle terre, sulle città e sui villaggi di Palestina. È la Nakba, il disastro: la pulizia etnica che rese possibile la creazione di uno stato ebraico in una zona dove i palestinesi (musulmani e cristiani) costituivano il 70% della popolazione totale.
Con la fine del mandato britannico sulla Palestina, là dove sarebbero dovuti nascere, secondo la risoluzione 181 dell’ONU (adottata il 29 novembre 1947), due distinti stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo-palestinese, ne vide ufficialmente la luce uno solo: Israele.
Al popolo di Palestina, invece, fu negato ogni diritto di vivere libero e autonomo in un fazzoletto di terra a cui dare il nome di “patria”. Anche un’altra risoluzione ONU, la 194 dell’11 dicembre 1948, che sancisce il diritto dei profughi palestinesi a fare ritorno a casa, non è mai stata rispettata.
“Tutto questo suona ancora più inspiegabile se si pensa che gli ebrei che formarono lo stato d’Israele non erano la popolazione autoctona della regione, bensì degli immigrati, giunti appositamente a ri-occupare quella che, secondo il loro punto di vista, sarebbe stata un tempo “la loro terra”.
Gli arabi della Palestina furono così scacciati dalle case dove abitavano da generazioni e generazioni, da centinaia e centinaia di anni, e questo proprio in un periodo in cui, in altre parti del mondo, la fine formale del colonialismo vedeva la nascita di paesi indipendenti in base al principio del dover essere “padroni a casa propria”.
Perché questo in Palestina non accadde? Perché gli ebrei strapparono questa terra ai suoi legittimi abitanti e nessuno li punì?”.
(“Nakba. La tragedia del 1948“, edizioni Al Hikma)  

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 La Nakba palestinese: i dati 

1,4 milioni di palestinesi hanno vissuto nella Palestina storica, prima della Nakba del 1948.

Il 93% della Palestina, dall’inizio del protettorato inglese, era abitata dai palestinesi.

Il 7% della Palestina storica, al momento della decisione di dividerla nel novembre 1947, era sotto il controllo sionista.




Risoluzione ONU 181 (1947)

Il 56% della Palestina storica è stata assegnata allo “stato ebraico” in base alla decisione di dividerla presa nel novembre 1947.

Circa il 50% (497.000 individui) degli abitanti dello “stato ebraico” proposto erano arabi palestinesi.

Circa 80% della terra dello “stato ebraico” proposto era di proprietà palestinese.

725.000 arabi palestinesi contro 10.000 ebrei abitavano nello “stato arabo” proposto in base alla risoluzione della divisione.




 Nakba

531 tra villaggi e città palestinese sono stati distrutti completamente durante la Nakba.         L’85% degli abitanti della superficie della Palestina sulla quale è stata costituita Israele (più di 840.000 abitanti) sono stati cacciati durante la Nakba.

Il 93% della terra di Israele sarebbe di proprietà dei profughi palestinesi.

1.717.800 ettari appartenenti ai Palestinesi sono stati sequestrati da Israele nel 1948.

Israele è stata costituita sul 78% della Palestina storica occupata nel 1948.

Solo 150.000 palestinesi sono rimasti nelle zone sulle quali è stata costituita Israele.

30.000 – 40.000 palestinesi sono stati uccisi durante le operazioni di pulizia etnica.

400.000 palestinesi, un terzo della popolazione locale, sono stati eliminati entro la primavera del 1948.

199 villaggi palestinesi (33.696,4 ettari) sono stati evacuati prima della primavera del 1948.

15.000 palestinesi sono stati uccisi durante la Nakba.

Più di 50 sono i massacri “documentati” ai danni dei palestinesi nel 1948.

70.000 ettari sono stati sequestrati ai palestinesi dal 1948 al 1967.

Il 70% dei territori appartenenti ai palestinesi sono passati nelle mani sioniste dal 1948 all’inizio degli anni Cinquanta.

Il 70% dei territori appartenenti ai palestinesi che sono rimasti all’interno di Israele sono passati nelle mani sioniste dal 1948 al 2000.

Attualmente il 75% dei palestinesi sono profughi espulsi dalla loro terra.

Circa il 50% del totale dei palestinesi vivono in esilio dalla Palestina storica.

Circa il 10% della Palestina storica appartiene oggi ai palestinesi.

 Mentre i palestinesi ricordano la tragedia che li travolse, 65 anni fa, gli israeliani celebrano il “giorno dell’Indipendenza”. Indipendenza da cosa? Visto che Israele come Stato non è mai esistito…sicuramente non da 2000 anni a questa parte…

Come si può celebrare “l’indipendenza” in una terra abitata da tempo immemorabile da altri?

E soprattutto, come si fa a voler imporre a tutti una “giornata della propria memoria”, mentre la si nega agli altri?

Giogo Sionista3



Legge israeliana vieta ai palestinesi di manifestare lutto e dolore il 15 maggio, giorno della Nabka (l’olocausto palestinese)
 Una decreto e istanza del parlamento israeliano mette fuori legge e impone come crimine la commemorazione di ciò che per i Palestinesi è la “Nakba”, che significa la catastrofe, memoria del loro sradicamento e della pulizia etnica della Palestina, avvenuta cruentemente e prepotentemente, in modo terroristico, con la creazione dello Stato sionista nel 1948. La Knesset, il Parlamento “dell’unica democrazia mediorientale”, ha ratificato tale legge denominandola “legge Nakba”, con voto unanime.
Severe penalità colpiscono chiunque manifesti pubblicamente questo giorno della memoria palestinese il 15 maggio. Sono vietate esternazioni di tristezza e di lutto all’interno della colonia sionista.

In questa data i palestinesi ricordano un momento tragico, la creazione dei rifugiati.
La propaganda sionista dice invece che questa settimana ha lo scopo di non fare apparire che ci sia gente a lutto per quello che invece per Israele è il Giorno dell’Indipendenza. Qualsiasi atto commemorativo è equivalente a “negare il carattere ebraico di Israele e insultare i simboli dello Stato”.
Pesanti le sanzioni per chi viene sorpreso a commemorare il proprio lutto familiare.
È capitato anche a noi, come redazione, di ritrovarci diversi anni fa blindati al check-point israeliano tra Jenin e Nazareth, mentre cercavamo di uscire dai Territori Occupati, dopo una visita alla comunità cristiano-cattolica di Nablus, per recarci verso il Lago di Galilea.
Eravamo una comitiva di una trentina di persone, la maggioranza anziani pellegrini, di cui uno aveva anche festeggiato con gioia ed emozione i suoi 80 anni pochi giorni prima, a Betlemme.
Ignari, a quel tempo, di queste crudeli e razziste imposizioni, da parte del “popolo della memoria” ai danni di altre etnie, non capimmo perchè un gruppo di anziani pellegrini europei dovesse restare inchiodato sotto il sole cocente senza poter procedere. Le milizie sioniste dalle loro torrette ci negavano il passaggio e ci impedivano ogni movimento verso l’esterno.
 Ci vollero diverse telefonate, con i nostri cellulari, verso le diverse ambasciate cui appartenevano i diversi membri del gruppo, prima di riuscire a sbloccare la situazione, molte ore dopo.
 E fummo fortunati, perchè eravamo europei: ma mentre eravamo fermi dietro i cancelli della segregazione, a molti arabi palestinesi, che volevano recarsi a visitare parenti e cimiteri, fu negato ogni transito e movimento.
 Questo è solo un aspetto dellle molte sfaccettature del volto dell’entità coloniale sionista, e forse è quello meno laido.




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