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domenica 26 maggio 2013

Un premio a chi Lo trova..!!?

Ravasi: “Dio c’è anche nell’arte contemporanea”

"Trittico" di Josef Koudelka
"TRITTICO" DI JOSEF KOUDELKA

Per la prima volta il Vaticano avrà un padiglione alla Biennale di Venezia Il cardinale spiega le ragioni di questa presenza, il tema e gli artisti prescelti

«E poi», nella voce suadente del Cardinal Ravasi pare che trapassi come un lume di sorriso: «Un fortunato destino ha voluto che il nostro Padiglione Vaticano alla Biennale si sia rivelato esser proprio adiacente, anzi, comune, a quello dell’Argentina. Una felice coincidenza. Che non potevamo certo prevedere». Alludendo sommessamente all’arrivo di Francesco: il Papa della sobrietà e della fratellanza.
Ma anche il neo-padiglione alla Sala delle Armi all’Arsenale, una vera novità di questa 55 edizione, molto cara al presidente Baratta, non vuole esser certo sfarzoso od appariscente: 120 metri quadrati, soltanto, di pudica esposizione. «In effetti tengo molto a che questo sia subito evidente», specifica il Cardinale: «Si tratta d’un vero inizio, di un germe che dovrà avere il suo laborioso sviluppo, e speriamo che diventi un fecondo albero, pieno, di  proposte e di adesioni, ma ora non è che un germoglio, e deve percepirsi a primo sguardo. Per questo gli artisti sono pochi, scelti come per emblema. Non volevamo una campionatura, meno che meno una sorta di esaustività». Una premessa che è anche promessa: «Certo, vorremmo che si potesse ripetere ed amplificare, ad ogni Biennale, per ritrovare progressivamente questo legame perduto tra l’arte e il Sacro».

E per questo è stato scelto il titolo «In cammino»?

«Sì, per questo abbiamo scelto il tema della Genesi, che significa appunto questa riflessione di un cominciamento. I primi undici capitoli, che iniziano con la Creazione, poi passano alla caduta di Adamo e alla violenza di Caino, infine, dopo il Diluvio, giungono alla figura ri-creante di Noè, a Abramo».
Come sono stati scelti gli artisti?

«All’inizio abbiamo stabilito una commissioni di esperti, che ha proposto molti nomi, ridotti poi ad una rosa d’una decina, una quindicina. Ma lo spazio era contenuto, l’ambizione, per ora, limitata. Di qui ecco i tre artisti prescelti, Carroll, Koudelka e Studio Azzurro oltre Tano Festa, che è stato voluto per la sua iconografia».
L’artista «maledetto», della Scuola di Piazza del Popolo, già presente alla Biennale epocale del ’64, quella della Pop, in una sorta di trittico ricostruito, «ritocca», con varianti, il tema della Creazione michelangiolesca del Dito-scintilla di Dio. Ma nella sua tela il Dio è come assente, ritagliato via...

«È proprio tale il senso per noi rilevante di questa inedita partecipazione alla Biennale, una tribuna così importante, per restaurare il filo tranciato tra arte e fede, del divorzio oggi quasi consumato, tra arte contemporanea, che a noi sta comunque a cuore, e pensiero del Divino, che pare talvolta allontanarsi dal problema del Bello. Una filo sopito, sotterraneo, che pure Paolo VI aveva voluto rinforzare, e che qualche traccia, quasi isolata, sommessa, si manifestava ancora nel Novecento. Pensiamo a Le Corbusier, con la Chiesa di Ronchamps, a Matisse, con la Cappella di Vence, a certe opere di Fontana»

 Che pure passa dalle sue meravigliose «Vie Crucis» di fiammante ceramica, ai lugubri impasti materici della nicciana «Fine di Dio».

«In effetti, molti nomi ragguardevoli si sono proposti. Bill Viola non poteva, e poi in fondo è fin troppo noto alla Biennale, ma anche lui, che è buddista, mi ha scritto una bellissima lettere intensa, con le sue idee e proposte, affascinanti. Per me lui è un esempio: ha iniziato con concetti più vaghi, generici, poi via via è passato ad immagini legate all’iconografia più storica, come la Deposizione, o la Visitazione. Questo per noi è stato un monito: abbia scelto degli emblemi forti, riconoscibili, non dei simboli generici e facili, come il sole, la luce, l’acqua. Proprio per evitare una deriva New Age, sempre in agguato, che vogliamo fuggire a tutti i costi. Per la prossima edizione pensiamo ad un tema altrettanto chiaro e delicato, come il Nuovo Testamento, proprio per far riemergere una sorta di legame con le antiche forme eroiche della fede. Le grandi figure della Bibbia: il Cristo, la Madonna, la Natività»

Assai pericolose però, dal punto di vista del gusto. In questo senso, nella presente edizione, è stato scelto un artista non-figurativo, potremmo dire quasi informale, come l’australiano (ed ormai quasi italiano) Lawrence Carroll, tanto amico del monocromo «vissuto»?

«Era inevitabile che dopo il dolore e lo strappo tragico della “De-creazione” ritornasse la “luce” di Carroll»

La de-creazione è affidata a un fotografo di guerra e di rovine civili, il ceco Koudelka, che evoca il crollo drammatico del Diluvio. Per questo dopo c’è questa illuminazione diffusa, pastosa, pregna di vita di Carroll?

«Certo, è di nuovo il trionfo del colore, il ritorno della vita, dopo la lotta di Caino ed Abele, che rappresenta la violenza e la disarmonia, che ci ha permesso di riflettere sulla “disumanità dell’uomo”. Che si contrappone al progetto originario di Dio. Così, dopo il Diluvio, evento insieme di punizione e di purificazione, torna la classica colomba che riporta la fede nella vita: il momento del viaggio, della speranza. E la poesia così intensa e partecipe di Carrol tutto questo può davvero sussumerlo, senza ricorso a delle immagini aneddotiche. Così come lo Studio azzurro, sensibile all’epifania delle immagini interattive, era perfetto, per toccare il tema della Creazione dal nulla»

«Un unico rimpianto, sì, non avere la presenza femminile di Doris Salcedo, che però proponeva un’installazione-tappeto di fiori rari del Sudamerica, che creava problemi insuperabili di conservazione. Ma ci accontentiamo della presenza sollecita e preziosa di Micol Forti, direttrice scientifica dell’arte contemporanea del Vaticano, collaboratrice per noi imprescindibile».
MARCO VALLORAVENEZIA

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