"Fate quel che vi dicono, ma non quello che fanno". E quando non vi dicono, o dicono eresie?
Stupenda e attuale riflessione di un giovane credente. Dal Blog Infinito quotidiano:
“Un giorno il Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo, sacerdote napoletano,
chiese ad un suo conoscente: «Angioletto mio, siete stato in banca
questa mattina per riscuotere lo stipendio?». «Sì, Padre», rispose
l’uomo. «E com’era il cassiere? Aveva per caso il naso storto e gli
occhi strabici?». Vedendo che il suo interlocutore era rimasto senza
parole, Don Dolindo riprese: «Eh sì, perché se il cassiere fosse brutto
io rifiuterei lo stipendio...». «Padre, cosa dite mai? - chiese
meravigliato il signore. - E che importa a me che il cassiere ha il
naso storto? Egli mi dà lo stipendio. E a me interessa solo questo!».
Allora Don Dolindo, cogliendo l’occasione, lo ammonì dicendo: «E allora
perché quando vai a confessarti, a riscuotere la Grazia del Signore,
stai a criticare il prete e dici: “se non è un santo, io dal prete non
ci vado!”? Egli è l’amministratore del Sangue Redentore di Cristo. Cosa
t’importa il resto? Se il prete è buono o cattivo a te non deve
interessare. Buono o cattivo che sia, la sua consacrazione e la facoltà
ricevuta dal Vescovo per la confessione a te devono bastare. Il
sacerdote attinge alla Cassa della Chiesa, ricca dei meriti di Cristo:
ricordalo!».” [De vita Contemplativa – Giugno 2013]
Leggendo questo aneddoto mi viene da pensare alla particolare situazione in cui ci troviamo noi oggi a vivere.
E mi tornano alla mente le parole del Signore Gesù quando ammonì la
folla e i suoi discepoli dicendo loro: “Quanto vi dicono, fatelo e
osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non
fanno.” [Mt 23, 3] Ed è quello che è capitato spesso quando ad una buona
predicazione non è seguita un’altrettanta corretta e santa condotta da
parte di coloro che hanno avuto il compito di annunciare la buona
novella, il Vangelo di Gesù. Oggi viviamo in una Chiesa dove
quell’ammonimento evangelico, non me ne voglia il buon Dio, trova
difficile accoglimento. E proprio di fronte a tale difficoltà sorge
l’angoscia del semplice fedele, come il sottoscritto, che in coscienza
soffre a dover dissentire di fronte ai pronunciamenti e agli atti del
clero preposto alla sua cura. Infatti oggi come oggi il clero cattolico
non dice quello che dovrebbe dire. O perché tace (per viltà o connivenza
con le eresie) o perché eretico e convinto che la Chiesa nella sua
storia si sia sempre sbagliata e che oggi è giunto il tempo di cambiare
la Chiesa. Ipocriti non vogliono cambiare loro stessi e conformarsi alla
Chiesa, ma vogliono cambiar la Chiesa alle loro voglie, alle loro
dottrine, alle loro miserie. Di conseguenza, di fronte alle loro
eretiche predicazioni, seguono atti certamente non santi, spesso anche
criminali. Quando non c’è più Dio come riferimento e la Chiesa come Sua
garante, quando il riferimento è la propria personale e cangiante idea
sulle cose, ecco allora che tutto diventa lecito, anche atti che spesso
infrangono il codice penale degli stati nazionali. Il problema serio,
però, rimane quello della salus animarum che, per il Codice di Diritto Canonico, è suprema lex
(can. 1752). Come può salvarsi un’anima costretta a subire una
predicazione eretica e quindi a credere in essa? Come può salvarsi
un’anima costretta a ricevere i sacramenti in una forma, è inevitabile,
che rispecchia la suddetta predicazione? Della misericordia di Dio non
dubitiamo. Cattolici eterni (e non mondani) come siamo, sappiamo che
questo sarebbe uno dei sei peccati contro lo Spirito Santo (nello
specifico il primo che sottostà, nel Catechismo di san Pio X, nella
sezione Prime preghiere e formule da sapersi a memoria, sì a memoria!).
Così come non dubitiamo della misericordia di Dio siamo altrettanto
certi che Egli giudica ciascuno di noi nel momento della nostra morte e
che la presunzione di salvarsi senza merito è un altro peccato contro lo
Spirito Santo. Non essendo tutto buono, lecito e giusto, pena la follia
del relativismo, qualcuno e più di qualcuno, con questo clero, rischia
fortemente la dannazione. C’è da tremare e temere per la propria
salvezza e per essa, soffrire di fronte a questa desolazione.
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