La Chiesa di Sant’Apollinare in Roma.
Nella piazza adiacente
è sparita Emanuela Orlandi nel 1983
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Caso Orlandi: Papa Francesco ha posto la parola fine?
Dopo che il fratello Pietro ha svelato le parole del Pontefice alla famiglia: Emanuela sta in cielo
Il prossimo 22 giugno saranno esattamente 30 anni da quando Emanuela Orlandi, figlia di un funzionario vaticano, è scomparsa improvvisamente a piazza San’Apollinare nel cuore di Roma dopo una lezione di flauto. Da allora il nome di questa quindicenne - tale è nella memoria collettiva grazie anche alle foto rimaste inevitabilmente ferme a quel periodo - è stato associato a uno dei grandi misteri irrisolti dell’Italia del dopoguerra.
E non è bastato oltrepassare due pontificati, vedere crollare il Muro di Berlino e con esso la stagione della guerra fredda perché si arrivasse alla verità. Molti protagonisti dell’epoca sono morti, diversi possibili testimoni sono usciti di scena. Qualcuno però è ancora vivo: fra questi Pietro Orlandi, il fratello, e diversi altri membri della famiglia; Memeth Ali Agca che in qualche modo fu coinvolto nella vicenda; il cardinale Giovanni Batista Re, ora in pensione, che ricoprì un ruolo importante all’epoca dei fatti; l’ex rettore della Chiesa di Sant’Apollinare don Pietro Vergari. Da ultimo è venuto fuori un altro personaggio piuttosto ambiguo, Marco Fassoni Accetti, il quale avrebbe fatto riemergere dal passato il famoso flauto della ragazza e ora è indagato per concorso in sequestro di persona.
L’ultima notizia però, arriva da Pietro, il fratello, instancabile organizzatore di iniziative per chiedere che si appuri la verità sulla sorte di Emanuela. Papa Francesco, nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione, celebrò una messa nella Chiesa di Sant’Anna situata all’interno del Vaticano. Alla cerimonia era presente anche la famiglia Orlandi, con la quale il Pontefice s’intrattenne per qualche minuto. Un fatto inedito dato che per molti anni lo stesso Pietro e gli altri familiari avevano chiesto almeno un gesto di compassione e di dialogo da parte dei precedenti pontefice. Di quell’incontro Pietro ha dato nei giorni scorsi una versione in base alla quale il Papa avrebbe detto in riferimento ad Emanuela: «Lei sta in cielo». «È questa la frase che Papa Francesco ha detto prima a mia madre e poi a me – ha spiegato Pietro - quando, come tanti altri fedeli, lo abbiamo incontrato dopo la messa che celebrò nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano pochi giorni dopo la sua elezione: parole che mi hanno fatto gelare il sangue».
Tuttavia lo stesso fratello di Emanuela, in un primo momento, e cioè subito dopo quell’incontro, aveva riferito le cose in ben altro modo. Nell’occasione – era il 17 marzo – Pietro riferì di aver avuto buone sensazioni dopo aver visto il Papa e di ritenere che Francesco avrebbe potuto aiutarlo ad accertare la verità. In effetti Pietro Orlandi, tornando su quell’episodio, ha detto di aver provato a contattare ripetutamente Bergoglio nelle settimane successive per ottenere un’udienza privata senza però riuscirci. Da qui la delusione e forse la rivelazione di quella frase su Emanuela «che sta in cielo» non diffusa all’inizio. Fino ad ora il Vaticano non ha ritenuto in ogni caso di dover smentire Pietro e se in effetti Francesco avesse detto quelle parole, si tratterebbe forse del primo importante contributo alla verità che arriva dai sacri palazzi sull’intricata vicenda.
Di fatto Francesco avrebbe posto tutti – a cominciare dai familiari più stretti – di fronte a una verità che certo non è stata ancora provata in modo definitivo, cioè la morte della ragazza, ma che costituisce a trent’anni dalla scomparsa la conclusione più probabile e più triste dell’intera vicenda. Il Pontefice, insomma, ha scritto la parola fine su una telenevola che si trascina da tempo con sempre nuove ipotesi, avvistamenti e altri particolari che prolungano il feuilleton svuotando anche la vicenda della sua drammaticità ed essenzialità. In tal modo Bergoglio ha dunque riportato il caso alla dura realtà dei fatti. Altro è però compiere il passo successivo, vale a dire approdare a ciò che veramente avvenne; e qui da parte del Vaticano è ancora possibile dare un contributo anche se ciò dovesse significare riaprire qualche cassetto non proprio edificante relativo alla guerra fredda o al comportamento di qualcuno dei suoi rappresentanti. In questo caso però non può essere sottovalutato che a finire nell’occhio del ciclone sarebbero ben due papi, Wojtyla e Ratzinger, strettamente legati l’uno all’altro.
In quanto al famoso flauto gli esperti della scientifica hanno constatato che dopo tutto questo tempo i residui biologici ancora presenti sullo strumento non possono essere comparati con il dna di Emanuela perché troppo logorati. Ma d’altro canto non è da escludere che ancora oggi il caso Orlandi venga utilizzato come mezzo per mandare messaggi traversali, esercitare pressioni o minacce, tale è la sua potenza simbolica e la portata del “segreto” che si trascina dietro. In breve va poi ricordato che il rapimento è stato attribuito anche alla banda della Magliana la quale avrebbe voluto esercitare in tal modo una minaccia e un ricatto per ottenere la restituzione di un ingente debito contratto dalla Santa Sede; i soldi inviati al sindacato polacco di Solidarnosc dal Vaticano non sarebbero stati restituiti al gruppo criminale, da qui la scomparsa di Emanuela.
Secondo altre ipotesi la giovane sarebbe rimasta vittima di un giro legato allo sfruttamento sessuale da parte di alte personalità del Vaticano o vicine ad esso, simile è la pista dell’abuso di tipo pedofilo. C’è poi il filone del ricatto politico proveniente dall’est, dai regimi legati a Mosca, mentre fu scartato il coinvolgimento dei Lupi grigi, l’organizzazione di cui faceva parte Agca, da un altro filone di indagine. Diversi sono i testimoni per le varie ipotesi, e ognuna ha qualche elemento probante, ma in nessun caso si è accertata una qualche verità, sia pure incompleta. Il coinvolgimento, quanto meno nella gestione del rapimento, della criminalità romana legata alla banda della Magliana, ha comunque avuto qualche conferma, ma anche le confessioni dei pentiti del gruppo non hanno fino ad ora trovato riscontri definitivi nelle indagini.
Il prossimo sabato 22 giugno si svolgerà comunque una marcia da piazza Sant’Apollinare a San Pietro per ricordare Emanuela. Resta da vedere se il dossier Orlandi è fra quelli cui papa Francesco potrà mettere mano prossimamente o se il caso è destinato a rimanere uno dei misteri insoluti della nostra storia.
Francesco Peoloso
Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti: “Come uccidi bambino”. Ma sa di burla
Nel mistero di Emanuela Orlandi, Marco Fassoni Accetti prova a scrivere una nuova puntata della saga che sta per compiere, il 22 giugno, il trentesimo anniversario.
Lo fa in modo un po’ oscuro e contorto, con accuse, difese e oblique allusioni. Nell’insieme, il tutto sa di solenne presa in giro: dei lettori, degli spettatori della tv, della magistratura, che, invece di occuparsi di cose serie, è costretta a riesumare ossa secolari e spendere milioni dei nostri euro per cercare un introvabile Dna.
Non si capisce se gli autori della serie di sparate, che ci hanno rallegrato negli ultimi mesi, abbiano esaurito le cariche oppure se i mezzi colpi tirati negli ultimi giorni da Marco Fassoni Accetti siano invece il preludio alla sparata finale, come si addice a un ben organizzato spettacolo pirotecnico.
Marco Fassoni Accetti è entrato in modo prorompente sul palcoscenico del circo che da anni offende la memoria della povera Emanuela Orlandi, portando a Chi l’ha visto? un flauto traverso uguale a quello che suonava Emanuela Orlandi. Che poi il flauto traverso si chiami anche piffero è una pura coincidenza.
Marco Fassoni Accetti ha anche parlato per ore e ore con il procuratore aggiunto della Repubblica a Roma Giancarlo Capaldo ma cosa gli abbia detto davvero nessuno lo ha mai saputo. Sono usciti sui giornali sono flash di origine incerta. Fassoni Accetti sostiene che sono storie origliate malamente e riferite di terza mano.
A un certo punto però Mfa e Clv sembrano avere litigato. Chi l’ha visto? ha agitato fantasmi di pedofilia legati a un processo per l’investimento e l’uccisione di un ragazzino da parte di Fassoni Accetti, che però lui respinge sdegnato, anche con argomenti di un cinismo inquietante.
MFA è andato a parlare con il magistrato Giancarlo Capaldo a fine marzo. Il magistrato però non ha verbalizzato il nuovo racconto del nuovo “supertestimone”, che ha congedato dicendogli che avrebbe fatto le dovute verifiche per convocarlo e verbalizzarlo quando avesse avuto in mano qualche riscontro. MFA però, forse perché deluso che in tal modo nessuno aveva potuto fare arrivare indiscrezioni alla stampa, anziché aspettare, ha preferito correre da “Chi l’ha visto?” per la nota vicenda del flauto. Il che può far pensare che più che all’accertamento della verità di quanto aveva raccontato fosse interessato alla pubblicità che le sue “rivelazioni” avrebbero inevitabilmente provocato.
Il lungo sfogo arringa requisitoria è sul blog di Marco Fassoni Accetti. Qui ne riproduco un paio di capitoli, che danno un’idea di cosa si tratti e anche del profumo di presa in giro che ne proviene.
“Quando inizialmente mi recai in Procura il 27 marzo 2013 dichiarai che mi presentavo principalmente per chiarire il fatto dell’investimento occorsomi nella pineta di Castel Porziano. Avevo patito all’epoca ingiuste ed abominevoli accuse e la conseguente assoluzione non mi aveva affatto acquietato e volevo chiudere moralmente quel caso, che all’epoca non potevo delucidare pienamente in quanto avrei dovuto motivare la mia presenza in quell’area.“Ed ora, per farlo, dovevo necessariamente mettere il suddetto fatto in rapporto alle scomparseEmanuela Orlandi – Mirella Gregori, rivelarne la consustanzialità. Auspicavo, attraverso un appello rivolto a certi ecclesiastici ormai in pensione, il loro presentarsi e contribuire con la testimonianza, coscienti che non si trattò di fatti ferali. Era l’appropriato momento storico, con l’elezione di un Pontefice non curiale, per sperare che in certi contesti venissero meno certe difese.“Tutto questo risulta essere nel primo verbale firmato presso il giudice G. Capaldo. In seguito, per dar vigore all’appello, necessitavo d’un momento mediatico quale il ritrovamento del flauto, ed alla redazione della trasmissione di Rai 3 spiegai minuziosamente quanto raccontato in Procura e sopra esposto. Per tutta risposta questi autori hanno omesso il dire che la mia prima intenzione fosse quella di riaprire il caso della pineta e all’interno della puntata, ingannando i telespettatori, hanno fatto credere che, indagando sui miei trascorsi, fossero stati loro ad aver “scoperto” la vicenda dell’investimento.“[Chi l'ha visto?] asserisce che un elemento probante nei miei confronti è il fatto che io, recandomi verso la pineta, abbia incrociato la strada percorsa dal ragazzo il quale era avviato verso la propria abitazione. Questo semmai è un elemento di discolpa, perché sono io a raccontare, la notte dell’arresto, ai carabinieri, di aver percorso quella strada. Se lo avessi veramente adescato e rapito mi sarei ben guardato dal riferire di aver percorso la stessa strada del ragazzo, e avrei potuto mentire dicendo di aver utilizzato un’altra via per raggiungere la pineta. Al momento dell’interrogatorio non ero a conoscenza della provenienza del ragazzo che avevo investito”.
Qui comincia una parte che fa accaponare la pelle. Tema: come stuprare e uccidere un ragazzino.
“Adescare un ragazzino che sta rientrando in casa verso le 18:30, in una serata buia, non ti lascia molto tempo disponibile per un eventuale rapporto sessuale. All’Eur ci sono tanti luoghi isolati, come anche all’inizio della Colombo, che porta verso il mare: sterrati, boschetti, piccole pinete. Non vi è la necessità di percorrere 20 km., quasi fino al mare, con un bambino che è atteso in casa, e la cui assenza prolungata procurerebbe un allarme.“Né si può pensare con certezza che, oltre all’intenzione di un rapporto, vi sia quella di sopprimerlo comunque. Si dovrebbe poi immaginare quale potrebbe essere la reazione del ragazzo ad un approccio di carattere sessuale, e quindi esser pronti ad immobilizzarlo e a non permettergli di fuggire.“Ma anche in caso di fuga lo si può raggiungere a piedi, sopprimerlo e nasconderlo nella vegetazione, ritornando poi con calma per una eventuale sepoltura. Tra l’altro non è agevole rintracciare con un furgone un ragazzino che sta fuggendo nel buio tra gli alberi di una pineta. E poi correndo a 60 kmh ancor più è difficoltoso identificarlo.“Inoltre è inverosimile la circostanza ricostruita nel filmato della trasmissione Rai [Chi l'ha visto?], in cui una persona può fuggire correndo innanzi ad un furgone lanciato a 60 kmh all’inseguimento (velocità stabilita dalle perizie della polizia scientifica). L’autista dovrebbe poi avere la consapevolezza che l’urtare un corpo a quella velocità non può che creare danni alla meccanica dell’autovettura, pregiudicandone il funzionamento e conseguente ritorno in città.“E dopo l’investimento perché mai lasciare il corpo sul ciglio della strada, con la possibilità di essere rinvenuto, e non piuttosto rimuoverlo ed occultarlo nella vegetazione circostante? Non si può pensare che sia riconducibile alla mia persona il profilo appena delineato di un mentecatto, privo di ogni capacità raziocinante. Inoltre non sono state rilevate impronte digitali del ragazzo all’interno del furgone. All’interno del quale non ero solo, ma in compagnia di una ragazza. Tra l’altro, in quei tempi, ero sempre accompagnato da ragazze per motivi di copertura.“La trasmissione della Rai [Chi l'ha visto?], con la sua ricostruzione dolosamente fasulla di un ragazzo che corre fuggendo innanzi ad un furgone, ha offeso la Magistratura, i periti e il suo stesso pubblico”.
di Pino Nicotri
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