Parlare di ebraismo suscita sempre una certa “paura” e richiede molto tatto e buon senso; purtroppo nel XX secolo movimenti di presunta “estrema destra” o “estrema sinistra” come il Nazional socialismo e lo Stalinismo hanno utilizzato i più assurdi pretesti per sterminare persone deboli ed indifese, fra cui anche uomini, donne e bambini delle varie comunità ebraiche, unitamente a tanti cattolici, religiosi e preti, omosessuali e zingari … quindi ci tengo a precisare che questo vuol essere esclusivamente uno studio teologico e non vuol né favorire e né avallare violenza, intolleranza, estremismi o pazzia.
San Pio X nel Catechismo Maggiore, Testo elogiato e consigliato anche dal Ratzinger teologo (già Benedetto XVI), così insegnava:
“224. Chi sono quelli che non appartengono alla comunione dei santi? Non appartengono alla comunione dei santi nell’altra vita i dannati ed in questa coloro che si trovano fuori della vera Chiesa.”
“225. Chi sono quelli che si trovano fuori della vera Chiesa? Si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.”
“227. Chi sono gli ebrei? Gli ebrei sono quelli che professano la legge di Mosè; non hanno ricevuto il battesimo e non credono in Gesù Cristo.”
Il Magistero di San Pio X è ovvia trasmissione inalterata della Verità rivelata da Gesù e tramandata nell’ambito della Chiesa e nel corso dei secoli, così come insegna la Costituzione dogmatica Dei Verbum(8-9) del 18 Novembre 1965: “Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all’incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”.
Contrariamente a quello che spiega la stessa Dei Verbum, il 28 ottobre 1965, pochi giorni prima dell’approvazione del documento stesso, Paolo VI diffondeva la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che sarà definita successivamente da Giovanni Paolo II (12 marzo 1979) come quel testo “il cui insegnamento esprime la fede della Chiesa”.
Nostra Aetate ci dice: “se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio”, “il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo”, “la Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso”, “tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell’esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili” [Nostra Aetate, n° 4].
E’ inopportuno parlare di “stirpe”, lo stesso termine, usato forse ad hoc, devia l’attenzione, pare mortificare l’ecclesiologia e potrebbe creare confusione poiché la Chiesa non guarda a nessuna “stirpe”, dove il termine stesso “nel linguaggio dell’antropologia culturale e sociale, è sinonimo di etnia e, più specificamente, di clan” [Dizionario Treccani, v. stirpe].
Ora Abramo è venerato ugualmente da ebrei, cristiani e mussulmani come “padre nella fede”; Gesù, in Giov. VIII, 33 e succ., ai Giudei che vantano la loro discendenza da Abramo oppone che non va intesa la“stirpe” carnale bensì quella spirituale nell’imitazione di Abramo, il proseguirne le opere; in Mat. III,9 e Lc. III,8 si legge di un Giovanni Battista che predica così ai Giudei “Non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre”; in Gal. III, 28 e succ. l’Apostolo Paolo dice “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.”
In Rm IV, 9 e succ. si legge che la beatitudine non è concessa ai circoncisi in quanto tali, per presunta“stirpe”, ed quindi “Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima. Infatti egli ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando non era ancora circonciso; questo perché fosse padre di tutti i non circoncisi che credono e perché anche a loro venisse accreditata la giustizia e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo hanno la circoncisione, ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.”
Nella lettera di Giacomo II,20 e succ. si legge “Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio.”
Sono i Giudei che sembrano vantarsi di essere “stirpe di Abramo” ma è assolutamente fuori luogo, a parer mio, che si avalli questa credenza poiché, come abbiamo visto, “non c’è stirpe di sangue e non c’è razza”; Abramo fu il più grande patriarca, uomo santo e di provata fede, e Cristo confermò la discendenza di Abramo in coloro i quali seguono la Verità, la Parola, scacciano il peccato e la menzogna e credono in Lui, si battezzano. Leggiamo il Battista: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile” (Lc. III,16-17).
Si può dire, senza paura di sbagliare, che la “stirpe di Abramo” è in chi accetta la Parola di Cristo, nel battezzato (in Sacramento, di sangue, in voto o di desiderio), in colui che è in comunione con Abramo ed i stanti; come ci insegna San Pio X, infatti, “Non appartengono alla comunione dei santi nell’altra vita i dannati ed in questa coloro che si trovano fuori della vera Chiesa”.
Aggiungiamo che la “stirpe dal sangue di Abramo” storicamente non va individuata nei soli Ebrei ma anche negli Arabi, poiché Ismaele, figlio di Abramo e della schiava Agar, è ritenuto il capostipite del popolo arabo. Ai discendenti di Ismaele fu data la parte orientale del paese e furono chiamati il popolo dell’Est ed essi sono gli antenati degli Arabi. Maometto difatti fa risalire la sua stirpe a Ismaele attraverso Nebaiòt, suo primogenito (Cfr. Gen XXV, 12 e succ.).
E’ sconveniente, secondo me, che la Chiesa cattolica, appunto Universale, nel documento Nostra Aetatesembri quasi “fare della discriminazione” e sembri individuare nei soli Ebrei (Giudei che non credono in Cristo Messia) la stirpe di sangue di Abramo, discriminando così i Mussulmani; se proprio lo vogliamo, secondo la carne sono stirpe Ebrei e Mussulmani, mentre secondo la fede sono stirpe quelli che hanno la fede, ovvero quelli che hanno creduto sin dall’antichità che Cristo sarebbe stato il Messia o Figlio di Dio [Cfr. Sodalitium, Luglio 2004, p.31].
Anche parlare di antica Alleanza senza specificare che la stessa è stata superata dalla nuova Alleanza mi sembra oltremodo pericoloso.
“In senso biblico l’Alleanza è il patto di reciproca fedeltà tra Dio e il popolo ebraico. Esso è stato celebrato più volte da Dio con Noè (Gen. IX,1-17), con Abramo (Gen. XVII,1-14), con Giosuè (Gs. XXIV,25-26), con tutto il popolo sotto il re Giosia (Ne, X,1). Più interessante quella con Mosè sul Sinai: è la più solenne perché per essa Israele diventa speciale proprietà di Jahvè; è la più chiara anticipazione di quella definitiva stipulata da Dio con l’umanità intera nel sangue di Gesù (Mt. XXVI,27-8; ICor. XI,25), per la quale diventiamo figli di Dio (Rm. VIII,14), riceviamo lo Spirito (IICor. III,6), non siamo più schiavi, ma liberi (Gal. IV, 22-23, 31). San Paolo sottolinea la superiorità della nuova rispetto all’antica a. (Ebr. IX,11-14): la nuova, essendo unica e definitiva, valida solo dopo e per la morte di Cristo, propriamente è detta «testamento»” [Dizionario del cristianesimo, E. Zoffoli, Sinopsis, 1992].
Il Catechismo Tridentino, difatti, al Can. 216 così prescrive il vincolo:
“Nella consacrazione del vino [...] si deve ritenere per fede che essa è costituita dalle parole (Conc. Florent., sess XI, Decr. pro Iacobitis): “Questo è il calice del sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza [mistero della fede] che per voi e per molti sarà sparso a remissione dei peccati”. [...]nessuno potrà dubitare di questa forma [...] seguono le parole “della nuova Alleanza”, per farci intendere che il sangue del Signore viene offerto agli uomini nella nuova Alleanza, ma in realtà non in figura, come nella vecchia Alleanza, di cui san Paolo scrivendo agli Ebrei ha detto che non fu stipulata senza sangue (Eb 9,18). Perciò l’Apostolo ha scritto: “Gesù Cristo è mediatore della nuova Alleanza affinché, avvenuta la sua morte per riscattare le trasgressioni commesse sotto la prima Alleanza, i chiamati ricevano l’eterna eredità, loro promessa” (Eb 9,15).”
Della Nostra Aetate ne riparleremo e, come sempre, non voglio imporre conclusioni e non voglio ferire alcuna sensibilità; il mio appello è alla preghiera, allo studio ed all’informazione.
Carlo Di Pietro
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