Spesso gli
articoli dei giornali imitano certa pubblicità ingannevole, presentandosi con
titoli e slogan seducenti e rassicuranti, ma fatti apposta per nascondere al
lettore superficiale l’insidioso e preoccupante contenuto degli articoli
stessi.
Perfino certa stampa cattolica talvolta usa toni attraenti e
intransigenti che nascondono posizioni o strategie minimaliste, compromissorie,
rinunciatarie. Ad esempio, la ossessiva retorica della “sfida” da raccogliere
ha spinto i cattolici a impegnarsi sul terreno e nella strategia scelti dal
nemico a proprio vantaggio, il che li ha portati dapprima a perdere battaglie e
poi a non tentare rivincite ritenute impossibili. Abbiamo oggi un nuovo esempio
di questo inganno riguardante la battaglia per la vita e per la famiglia: un
esempio che sembra fatto apposta per avvilire, isolare e disarmare quel nuovo
movimento di denuncia e di protesta, rivelatosi nelle recenti grandi
manifestazioni parigine e romane, che ha dimostrato di essere indipendente da
trame mediatiche, partitiche o ecclesiastiche.
Dicevamo dei titoli ingannevoli. “Difendere l’uomo,
una sfida in attacco”, s’intitola una intervista concessa pochi mesi fa
al quotidiano Avvenire (28-2-2013) da mons. Renzo Pegoraro,
appena nominato Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita. “Per
la famiglia, vera”, s’intitola una intervista concessa recentemente
allo stesso quotidiano (20-6-2013) dal prof. Giorgio Campanini, noto sociologo
della famiglia, consulente della C.E.I., cattolico di sinistra discepolo di
Mounier e di Dossetti. Ma titoli così incisivi e apprezzabili sono smentiti dal
contenuto di quelle stesse interviste.
Liberarsi dalla “sindrome difensivista”?
Mons. Pegoraro afferma: «prima di tutto, non dobbiamo
parlare in termini di difesa. Dobbiamo promuovere la vita, tutto ciò che
accoglie e incoraggia lo sviluppo e la realizzazione della vita. E’ molto più
corretto parlare di promozione e meno di difesa».
Il prof. Campanini conferma: «Occorrerà difendere ancora i
valori della famiglia; ma assai più importante sarà (…) fare proposte concrete
alla società civile, mirate alle “famiglie normali”, (…) la cui crisi porrebbe
problemi assai più seri e gravi di quelli provocati da incentivi alle coppie di
fatto o gay». Di conseguenza, il sociologo propone di «abbandonare questa sorta
disindrome difensivista e affrontare i problemi delle coppie e
delle famiglie “normali”».
Dunque, secondo queste due personalità, coloro che insistono
nel combattere i nemici della vita e della famiglia, smascherandone le insidie
e ostacolandone le trame, disperdono tempo e forze in cose secondarie. Pertanto
essi non rendono un buon servizio alla santa causa, la quale consiste
semplicemente nel promuovere i valori della vita e della famiglia assicurandone
condizioni favorevoli, senza pretendere di contrastare i mercanti di morte e di
dissoluzione. Prevenire i mali o ridurne i danni non è forse meglio che
reprimerli o pretendere di risanarli? Perché mai dunque impegnarsi in battaglie
già perse o comunque perse in partenza, come quella contro l’aborto o la
fecondazione artificiale o il “matrimonio” omosessuale? E’ invece meglio
limitarsi a ridurne i danni, col vantaggio di evitare spiacevoli incomprensioni
e divisioni nel popolo, e pericolose rivalse e persecuzioni da parte dei
potenti fautori dei “diritti civili”.
E così, dopo aver da tempo rinunciato all’attacco per
ripiegare nella sola difesa, ora si prevede di rinunciare anche alla difesa per
ripiegare nella sola “proposta positiva”.
Liberarsi dall’ “abbraccio mortale” della Destra?
Mons. Pegoraro afferma: «La vera minaccia oggi è la perdita
del senso della sacralità della vita», ma proprio per questo «trovo riduttivo
un approccio basato sulla difesa di alcuni aspetti» della questione a scapito
di altri non meno importanti. Infatti «dobbiamo rispettare e promuovere la vita
in tutti i momenti. Dobbiamo pensare anche a temi come lo sviluppo, la guerra e
la violenza, le discriminazioni e l’abbandono, le emarginazioni su basi
razziali»; e fa l’esempio della disabilità come campo sul quale intervenire
prioritariamente. Del resto, da tempo la propaganda promossa dalla CEI nei
messaggi pubblicitari trasmessi sui canali televisivi elude la missione
salvifica della Chiesa per parlare solo di quella umanitaria.
Da parte sua, il prof. Campanini ritiene che la promozione
della vita e della famiglia sia ormai giunta a una situazione di stallo per
colpa della strumentalizzazione fattane dalla Destra, che l’avrebbe stretta in
un «abbraccio mortale» sottraendola al “dialogo” e dandole toni “da crociata”
che hanno sollevato contrapposizioni irriducibili. (Si noti che qui si allude
non alla Destra politica – che quasi non esiste più e che da tempo diserta le
battaglie morali – bensì alla Destra sociale e culturale, che ancora resiste
alle sirene del cedimento). Il nostro sociologo quindi propone che il mondo
cattolico si liberi dai condizionamenti destrorsi e s’impegni a coinvolgere la
Sinistra in una politica pro vita e pro famiglia; ma ciò è possibile solo
inserendo questa politica nel generico piano di sostegno ai soggetti sociali
“deboli” ed “emarginati” e di lotta alle “disuguaglianze” e alle
“discriminazioni”.
Dunque, secondo queste due personalità, coloro che
s’impegnano a risolvere le questioni bioetiche risanandone le piaghe sociali
(aborto, contraccezione abortiva, fecondazione artificiale, eutanasia, droga…),
disperdono tempo e forze in cose secondarie. Pertanto essi non rendono un buon
servizio alla santa causa, poiché riducono un vasto problema sociale a suoi
aspetti meramente settoriali o alle sue conseguenze bioetiche; invece i
problemi etici si risolverebbero facilmente se prima si risolvessero quelli
sociali: ad esempio, quando “nessuno si sentirà escluso”, nessuno ricorrerà
all’aborto o all’eutanasia. Pertanto, la promozione umana degli emarginati
(poveri, immigrati, carcerati, “discriminati” vari) e la lotta alle
prevaricazioni sociali (sfruttamenti, inquinamenti, repressioni, guerre)
sarebbero problemi più importanti e urgenti della difesa della vita e della
famiglia; l’intervento ecclesiale quindi dovrebbe privilegiare la promozione
della “dignità umana” e dei “diritti umani” in tutti i loro aspetti culturali,
sociali, economici.
Verso una svolta rovinosa?
Com’è noto, vivere significa scegliere, stabilire priorità
che favoriscono alcune cose trascurandone altre, il che vale anche per una
pastorale ecclesiale e per un programma politico. Per quanto laconiche, le
dichiarazioni che abbiamo sopra esaminato sembrano preannunciare un netto
cambiamento di strategia ecclesiale nella politica culturale e nella pastorale
della vita e della famiglia, mediante una duplice riduzione. L’impegno pro
vita et familia verrebbe ridotto al suo aspetto propositivo a scapito
di quello difensivo, rinunciando a contrastare la cultura di morte
denunciandone i responsabili e combattendone le manovre. Inoltre, la pastorale
ecclesiale verrebbe ridotta alla promozione sociale della “dignità umana” e dei
suoi “diritti civili”, per cancellare ogni forma di disuguaglianza e di
discriminazione, adeguandosi quindi al programma stabilito dalla rivoluzione in
corso e auspicato dalla Sinistra politica.
Si finirà dunque col rinunciare ai “valori non negoziabili”?
O almeno col ridurli alla “promozione umana” lanciata dalla Sinistra ecclesiale
in un noto convegno romano degli anni Settanta? La difesa della vita e della
famiglia non sarà più priorità irrinunciabile e verrà trascurata per favorire
lotta alle disugaglianze e alle discriminazioni? Oppure verrà salvata a prezzo
della resa ai nuovi “diritti civili” come la genitorialità artificiale e la
“famiglia” omosessuale?
Se questo si realizzasse, si tratterebbe di una svolta
davvero rovinosa. Sarebbe una sconfitta per la buona causa, per la Chiesa e
soprattutto per i diritti di Dio. Occorre essere ben vigilanti per impedire che
il recente risveglio di una certa coscienza religiosa e la riscossa di alcune
realtà ecclesiali vengano deviate e disarmate da questa strategia di ripiego e
di rinuncia che porterebbe solo alla graduale ma sicura resa al nemico del
genere umano.
di Guido Vignelli
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