ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 4 luglio 2013

La fede ai tempi del vescovo bianco (io speriamo che..?.)


Toccare le piaghe per professare Gesù o professare Gesù per toccare le piaghe?

Il Papa a Santa Marta il 3 luglio da L'Osservatore Romano.Tacere non possumus (Atti 4,20).
Mi soffermo solo sulla prima parte e sul riferimento alla Risurrezione e tralascio i punti successivi con la stroncatura in poche battute della preghiera contemplativa e della vita mistica della Chiesa, sommariamente liquidata come gnostica; il che è sempre un rischio, che però non può essere assurto a ipotesi generalizzata.
Così come non possono essere liquidate in una battuta come pelagiane le pratiche ascetiche, che la Chiesa non ha mai assolutizzato, ma fanno parte di un equilibrato e sapiente cammino nella vita sacramentale, nella preghiera e nell'azione a seconda del proprio ruolo. Mi ha colpito al riguardo una frase di Sam sul blog di Raffaella: "È come negare in un colpo il Magistero infallibile che ha canonizzato tanti santi che hanno amato e baciato le piaghe di Cristo in Lui e nella Santa Eucaristia chiudendosi nella preghiera, mortificazione e penitenza di una clausura".
Questi discorsi appaiono tutti nell'alveo di una prassi ateoretica, che si va sempre più evidenziando e ha la particolarità di far precedere l'agire al conoscere in asserzioni 'monche' che possono sviare, se non ricondotte nell'alveo della sana dottrina e con essa completate. Ma perché non c'è nessun sacerdote,   nessun vescovo che dice queste cose?

Bisogna uscire da noi stessi e andare sulle strade dell’uomo per scoprire che le piaghe di Gesù sono visibili ancora oggi sul corpo di tutti quei fratelli che hanno fame, sete, che sono nudi, umiliati, schiavi, che si trovano in carcere e in ospedale. E proprio toccando queste piaghe, accarezzandole, è possibile «adorare il Dio vivo in mezzo a noi».
"I poveri" non sono Dio [Ne abbiamo parlato anche qui]. Possiamo vedere nel povero l'immagine sfigurata dell'uomo che ci riporta all'Ecce Homo, alla Sua immagine sfigurata - che è anche la nostra perché da Lui liberamente assunta - e onorarla nel povero, facendo la volontà del Padre nelle "opere di misericordia corporale e spirituale (ci sono anche queste)". La vera adorazione, dovuta a Dio solo e al nostro Signore Gesù Cristo Vero Dio e Vero uomo - Realmente Presente nell'Eucaristia e nel SS.Sacramento - è ascolto profondo, accogliendo ed effondendo il nostro cuore, lasciandoci guardare liberare guarire plasmare, con gioia e gratitudine, nel sacro silenzio. È una familiarità che ci trasforma, che ci rende connaturali al Figlio diletto e, da qui, ci rende possibile uscire dal nostro egoismo (non da noi stessi, perché la Grazia perfeziona la natura non la esclude) per toccare le piaghe del corpo e dell'anima che incontriamo sul nostro cammino, a partire dalle nostre.
[...] Dopo le letture (Efesini 2,19-22; Salmo 116; Giovanni 20,24-29) il  Santo Padre si è innanzitutto soffermato sul diverso atteggiamento assunto dai discepoli «quando Gesù, dopo la risurrezione, si è fatto vedere»: alcuni erano felici e allegri, altri dubbiosi. Incredulo era anche Tommaso al quale il Signore si è mostrato solo otto giorni dopo quella apparizione.  «Il Signore — ha detto il Papa spiegando questo ritardo — sa quando e perché fa le cose. A ciascuno dà il tempo che lui crede più opportuno». A Tommaso ha concesso otto giorni; e ha voluto che sul proprio corpo apparissero ancora le piaghe, nonostante fosse «pulito, bellissimo, pieno di luce», proprio perché l’apostolo, ha ricordato il Papa, aveva detto che se non avesse messo il dito nelle piaghe del Signore non avrebbe creduto. «Era un testardo! Ma il Signore — ha commentato il Pontefice — ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi, a mettere la mano nel fianco. Ma poi non ha detto: “è vero, il Signore è risorto”. No. È andato oltre, ha detto: “mio Signore e mio Dio”. È il primo dei discepoli che fa la confessione della divinità di Cristo dopo la risurrezione. E l’ha adorato». Da questa confessione, ha spiegato il vescovo di Roma,  si capisce quale era l'intenzione del Signore nei confronti di Tommaso: partendo dalla sua incredulità lo ha portato non tanto ad affermare la risurrezione, ma piuttosto la sua divinità. «E Tommaso — ha detto il Papa — adora il Figlio di Dio. Ma per adorare, per trovare Dio, il Figlio di Dio ha dovuto mettere il dito nelle piaghe, mettere la mano al fianco. Questo è il cammino». Non ce n'è un altro.
Speriamo che questa ed altre affermazioni che ci disorientano siano frutto del linguaggio approssimativo del parlare a braccio e anche di possibili difficoltà linguistiche. Ma non può non lasciarci basiti un'affermazione così netta come "lo ha portato non tanto ad affermare la risurrezione, ma piuttosto la sua divinità." Il Signore si è mostrato ai suoi discepoli Risorto ed è questo che Tommaso non credeva. Ovvio che nella Risurrezione c'è anche la sua divinità, ma questa preesiste anche alla Risurrezione: è il Verbo di Dio che si è Incarnato e si è fatto-uomo. In Cristo è risorto l'uomo nuovo secondo il disegno del Padre, la natura umana redenta e rigenerata, il nuovo Adamo, la Creazione nuova, quella dell'ottavo giorno, il primo dopo il Sabato, che il Signore nella sua Ascensione al cielo ha ricollocato alla destra del Padre per continuare a vivificarla fin dalla Pentecoste nella sua Chiesa col suo Spirito di Risorto fino alla fine dei tempi. E le piaghe sono i segni indelebili e divenuti gloriosi della Passione. Non sono lì per far credere Tommaso e con lui tutti "i testardi", che riconoscono, insieme a Tommaso, anche la sua divinità. 

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