Per il settantesimo compleanno di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, la Einaudi ha pubblicato “La sapienza del cuore” (760 pp., 28 euro), un volume impressionante di omaggi, di saluti e di lodi francamente iperboliche redatte senza battere ciglio da intellettuali di solito caratterizzati dall’autocontrollo riflessivo, dallo scetticismo, dall’agnosticismo religioso, dall’ateismo dichiarato e dall’impegno militante contro ogni chiesa e ogni fede.
Di solito, ho detto. Ma di fronte a Enzo Bianchi questi stessi intellettuali perdono misteriosamente ogni ritegno e senso delle proporzioni trasmettendo l’idea, la certezza che il priore di Bose è un incomparabile genio della spiritualità, un faro del cristianesimo, un maestro di vita e di pensiero imprescindibile per tutti e infine un vero amico di chiunque.
Per quanto mi riguarda, un certo autocontrollo riflessivo e un senso elementare delle proporzioni, di fronte a Enzo Bianchi non riesco a perderlo. Capisco che nelle feste di compleanno si debba brindare, si alzi un po’ la voce e un po’ il gomito, ci si esibisca e si reciti, perché l’affetto si esprime meglio senza avarizia, esagerando nelle parole e nei gesti. Ma nel caso di Enzo Bianchi e del ponderoso volume che lo festeggia, l’effetto di insieme è allarmante e piuttosto spaventoso. […]
Già sfogliando il libro, leggendo qua e là e scorrendo l’indice non si crede ai propri occhi. Fra i devoti e i grati al priore di Bose, che mostrano tutti di conoscere bene e che trattano con immancabile confidenza non ci sono soltanto esegeti biblici di valore come Paolo De Benedetti o sproloquianti maniaci di filosofia teologica come Massimo Cacciari. Ci sono perfino Eugenio Scalfari (“l’uomo che non credeva in Dio”), Ezio Mauro, Ferruccio de Bortoli, Claudio Magris, Umberto Galimberti, Roberto Calasso, Salvatore Settis, Barbara Spinelli, Michele Serra, Guido Ceronetti, Silvia Ronchey, Patrizia Valduga… C’è da chiedersi come e perché questo sia stato possibile.
Il latinista Ivano Dionigi, studioso convinto di Lucrezio, grande materialista epicureo, arriva a dire che in confronto a Enzo Bianchi “anche il Seneca morale che invita a prendere possesso di se stessi, appare troppo cerebrale ed egoistico; lo stesso Agostino, maestro della verità interiore, rischia di apparire troppo solitario e monocentrato: senza spazio e apertura per l’altro”.
Mi pare che Dionigi esageri. Almeno però è esplicito, prende apertamente le misure del gigante di Bose. Gli altri non lo fanno, non osano, ma parlano come se la pensassero esattamente così. […]
Enzo Bianchi è riuscito nell’impresa di farsi tutti amici, una cosa che non auguro a nessuno, che mi sembra innaturale o, se volete, un poco falsa. Credo senza malizia che il priore sia anche un notevole attore, oltre che manager delle amicizie che contano. Il suo viso è una maschera eccezionalmente suggestiva. La sua voce ha un suono strano e attira di per sé l’attenzione, qualunque cosa dica: sempre scandita con troppa energia, è una specie di ruggito, un ruggito però che rassicura invece di spaventare. Si dice che i suoi occhi siano limpidi ma (l’ho visto in tv) potrebbero essere, mi sembra, anche torbidi. Il suo linguaggio è ripetitivo e martellante, esibisce quella proverbiale, rude semplicità che convenzionalmente, fantasticando, attribuiamo a santi e profeti che non abbiamo mai visto.
Non si dovrebbe dimenticare che la generalità e genericità astratta di certi linguaggi (quello tecnico, quello filosofico, quello religioso) possono portare facilmente a una certa retorica e a volte all’impostura. Dire in continuazione cose belle, giuste e inoppugnabili, prelude alla vacuità o alla falsità. Chi sa quale potere si acquisti sugli altri facendo riferimento di continuo a valori e realtà “superiori” come giustizia, amore, fede, futuro migliore, sa anche che questo è il terreno in cui fioriscono l’ipocrisia, la demagogia, l’enfasi moralistica, il ricatto, l’egocentrismo mascherato da altruismo.
A chi altro la Einaudi ha dedicato, per il suo compleanno, un volume di 760 pagine con più di 130 autori? Chi avrà concepito e organizzato il volume? La casa editrice o la stessa comunità di Bose guidata da Enzo Bianchi, che nel corso della vita è stato capace di farsi apprezzare, ammirare da prelati, giornalisti, patriarchi, artisti e poeti, arcivescovi, scrittori, filosofi?
Nel libro molti contributori non si aprono particolarmente a Enzo Bianchi. Mettono insieme il loro discorso, mandano un caro saluto e propongono qualche pensosa frase di circostanza. Ma tutti però ci sono, vogliono esserci. O invece qualcuno ha voluto che ci fossero? Ognuno ha regalato a Enzo Bianchi quello che ha e quello che pensa. Che cosa farà il festeggiato con tutti questi regali? Naturalmente e come al solito ripeterà: “Io ascolto, io ascolto, io ascolto” con la sua tipica incisiva insistenza.
Va bene, ascolta. Ma poi? Una cosa è ascoltare e una cosa è capire. Ad ascoltare tante voci dissonanti il povero priore ne uscirà frastornato. Ma fraternamente accoglierà tutti. Che uomo! Che energia! Che apertura! Gli si creda o no (io non gli credo), se lo si vede, lo si guarda ipnotizzati. Se lo si sente parlare, lo si ascolta ammutoliti e si applaude. Lo scroscio di applausi che si alza da questo volume è assordante.
Ma io ricordo, non so perché, solo le brevi avare parole di Calasso che sembra ricordarsi qui di Karl Kraus, sua passione di gioventù, limitandosi a dire in due paginette che “fede” e “ragione” sono parole di cui oggi si abusa, perché non si sa più cosa vuole dire chi le usa.
È così, questo lo credo. Enzo Bianchi ascolta tutti ma segue se stesso. La cultura laica ascolta poco ma crolla davanti al priore di Bose mostrando tutta la propria insipienza e fatuità spirituale.
(Da “Il Foglio” di giovedì 11 luglio 2013)
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Alfonso Berardinelli, 70 anni come Enzo Bianchi, è critico letterario e saggista. Scrive regolarmente anche su “Avvenire”, il giornale di proprietà della conferenza episcopale italiana che ha nello stesso Bianchi una delle sue firme più ricorrenti e incensate.
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