ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 agosto 2013

IL VANGELO
SECONDO IL GALATEO
DI PAPA FRANCESCO I

di L. P.

Un detto latino medievale recita che “Motus in fine velocior”, la velocità aumenta verso la fine. Ed è quanto ci viene alla memoria  nel momento in cui ci vien da considerare lo smottamento progressivo ed inarrestabile a cui la Chiesa è, da 50 anni in qua, soggetta. Iniziatosi, il declino, col disastroso silenzio di Giovanni XXIII sul comunismo e con l’equivoca distinzione errore/errante, la corsa ha preso un passo più lesto con il maniaco riformismo con cui Paolo VI modificò e l’aspetto e la sostanza delle istituzioni ecclesiali in chiave sociologico/antropologica, fino al sincretismo assisiate di GP II ripreso e amplificato dall’incontro interreligioso del 2011 ad opera di Benedetto XVI e dalla paradossale vicenda delle sue dimissioni. A tal proposito vogliamo, a chi non lo sapesse, notificare che siffatta decisione, secondo quanto dichiarato dall’emerito Papa, pare sia stata suggerita dallo stesso Signore Iddio!
Ma, glissons!.

Con Francesco I, la velocità della frana teologico/liturgico/istituzionaleregistra un’accelerazione esponenziale da quando egli si è messo a picconare anche quel  prestigio che rimaneva, come ad esempio: il primato petrino, delegato a una commissione di 8 cardinali, o  la stessa identità papale di “Vicario di Cristo”, ridotta al rango di solo “Vescovo di Roma” e di “persona qualunque”, di “uno come tanti”, “uno della porta accanto”. Non passa giorno senza che la cronaca non ci riporti una nuova amenità, una “rottura protocollare” del nostro Pontefice il quale sembra far di tutto pur di svilire, appiattire, rendere orizzontale la verticale dignità istituzionale, e della sua funzione di “Pater Patrum” e della Chiesa stessa quale società divina e umana.

Non vogliamo rammentare le tante circostanze in cui egli ha dato prova e segno di voler rivoluzionare verso il basso, senza l’avvertenza dei rischi connessi in siffatto comportamento, la complessità dei rapporti Chiesa/mondo.
I lettori di UNA VOX  sanno, perché ne scrivemmo, della prima conferenza stampa, sanno del saluto sportivo e dello scambio di zucchetto, sanno diLampedusa e dell’infelice, disastrosa, perorazione a pro dei “cari fratelli  musulmani” e dell’augurio di “abbondanti frutti spirituali” collegati al loro digiuno, perorazione reiterata domenica 11 agosto scorso in Piazza San Pietro –giorno in cui i Frati dell’Immacolata cessavano, per decreto papale, la celebrazione della Santa Messa di Rito antico – nel momento in cui, in Egitto, i cari fratelli musulmani bruciavano una chiesa cattolica e 17 case di cristiani. Né vogliamo ricordare, onde non dilatare il nostro sgomento e la pari indignazione, la stolida dichiarazione di padre Rafic Greich, portavoce dei cattolici in Egitto, con la quale costui ci dice (Il Giornale 19 agosto 2013 pag. 13) che la mattanza dei cattolici in Egitto – 7 morti e 17 rapiti – non è persecuzione e nemmeno scontro religioso perché, spiega il reverendo, “i musulmani vogliono creare il califfato”, quasi a dire che gli incendii e le uccisioni a danno dei cristiani vanno inquadrati come atti di terrorismo.
Che il dialogo vada avanti, costi quel che costi! Perciò non parliamo di martirio. Però, però. . . i Frati dell’Immacolata! Eh, questi sì che sono pericolosi! Celebrano la Santa Messa latina, pertanto, seppur legittimati da quell’ambiguo documento che è “Summorum Pontificum”, vanno commissariati!

    Ma non vorremmo entrare in un settore ove la vis apologetica ci condurrebbe per innumeri sentieri. Vogliamo soltanto compiere una leggera ricognizione degli ultimi esiti che, ad esempio, Giovanni Servodio ha già analizzato su queste colonne: le barzellette papali.

    Partiamo un po’ da lontano. Voi, lettori, sapete che tempo fa inviammo al Pontefice, una nostra lettera di forte contenuto ma di franco rispetto sperando che la tensione democratica di un Papa, solerte esperto del sistema twitter, lo spingesse a una risposta. A tutt’oggi regna il silenzio. Ma non ce ne adontiamo in quanto non possiamo reclamare a ciò  diritto alcuno, ma solo fievole speranza. Ma la cosa ci infastidisce quando apprendiamo da giornali, tv, rete che Sua Santità – secondo quando scrive “de relato”  Il Giornale 10 agosto 2013 pag. 15 -  ha telefonato, come un cittadino comune, a tale persona il cui fratello era stato ucciso durante una rapina. E’ vero, aveva risposto a una sua accorata lettera. Gesto squisito, senz’altro, ma connotato da quel tono che tanto piace al mondo: Francesco (!) ha telefonato “come una persona qualunque”. La notizia, fatta passare per cosa comune, ha fatto il giro dell’etere in omaggio a quel tipo di discrezione che, nei sacri palazzi, si dice, sia stato impresso in termini di semplicità e democrazia. E meno male! Ma questa circostanza, e lo diciamo in piena convinzione, ha una sua dimensione intrinsecamente valida quanto alla necessità di recare conforto a chi ne chiedeva nel pieno di una tragica vicenda.
   
Non ci sembra, invece, né opportuna tanto meno “ortodossa” un’altra telefonata che Papa Francesco I (Il Giornale 23 agosto 2013 pag. 15) ha effettuato contattando uno studente e rispondendo, così, a una lettera che il giovane gli aveva fatto pervenire durante la Messa a Castel Gandolfo. Ma affinché il lettore non sminuisca o ridimensioni la ragione del nostro intervento, trascriviamo il breve testo così come pubblicato dal quotidiano.
    “Pronto chi parla?” “ Sono Papa Francesco, diamoci del tu”. Non poteva credere alle proprie orecchie Stefano Cabizza, studente in ingegnerìa di diciannove anni a Camin, Padova, che domenica scorsa ha ricevuto a casa sua una telefonata del tutto eccezionale. Quando ha alzato la cornetta, la voce che ha sentito dall’altra parte era davvero quella di papa Francesco che si è rivolto a lui come a un “amico”. “Credi che gli apostoli dessero del lei a Gesù – gli ha chiesto Bergoglio – o lo chiamassero Sua eccellenza? Erano amici come lo siamo adesso io e te, e io agli amici sono abituato a dare del tu”. Tutto è nato il giorno di Ferragosto, quando Stefano aveva partecipato con la famiglia alla messa celebrata dal Papa a Castel Gandolfo. Con sé aveva portato anche una lettera che era riuscito a fargli consegnare. Bergoglio ha telefonato persino due volte in casa del ragazzo: la seconda chiamata verso le 17 dopo che alla prima nessuno aveva risposto. “Mi ha chiesto di pregare molto Santo Stefano e di pregare anche per lui stesso” ha riferito Cabizza.” Mi ha dato la benedizione e ho sentito una grande forza dentro di me”. Una conversazione speciale di circa 8 minuti, “il giorno più bello della mia vita” per il giovane studente”.  

Orbene: quell’esordio – diamoci del tu – per quanto ne dicano i sostenitori, è soltanto una captatio benevolentiae e il segno di uno svilimento, lo dicemmo, della funzione papale. Roba più da comitiva tra nuovi entrati che si presentano che di un Sommo Pontefice il cui “potere è dato dall’alto” (Gv. 19, 11). Se questo approccio è quanto meno banale, il seguito è di una straordinaria forza eversiva dottrinaria ed indizio di una stravolta lettura del Vangelo. Papa Francesco I, onde farsi accettare come “uno qualunque” non si  perita di disegnare i rapporti Gesù/Apostoli come quelli che egli vorrebbe che fossero:camerateschi.
   Intanto, la faccenda del Tu familiare  quale noi lo consideriamo, non si pone  per quelle lingue, quali l’ebraico, il greco e il latino dacché sappiamo bene che esse adottano la seconda persona singolare tanto  come espressione  di sola familiarità che come unica forma di rispetto. L’ebraico ha due forme: ‘atah ( m) e ‘t (f); il greco dice sy, il latino tu. Quando Mosè parla al Signore, rivolgendogli il pronome maschile ‘atah non lo fa per un senso di democrazia o di amichevole simpatia. Quel tu è la forma che si adotta, ripetiamo, per il singolare, mantenendo nel contempo l’intera connotazione del rispetto e della reverenza.
    L’uso del “lei”, in ambito occidentale, è nato nel sec. XVII quando l’etichetta di corte e il formalismo nobiliare presero a rivolgersi a “Sua Maestà” come l’inglese “His/her majesty”. Non fu estranea anche la trasposizione del germanico femminile “sie”  italianamente “ella”. Perciò sgombriamo il campo da peregrine ipotesi che gli apostoli rifiutavano il “lei” per un più familiare “tu”.

    E poi, augusta Santità: gli Apostoli non si rivolgevano a Gesù col termine di “Eccellenza” come lei ironicamente spiega al giovane. Lei – noi usiamo il lei, Santità, e ci perdoni se ci permettiamo un suggerimento – dovrebbe dare una rilettura ai Santi Vangeli. Noi ci siamo presi la briga di catalogare gli appellativi con cui gli Apostoli si rivolgevano a Gesù certamente con il tu, ma accompagnato da “qualifiche” di  al-tissimo significato  e, così come abbiamo  catalogato, così gliela esponiamo trala-sciando di citarle i capitoli e i versetti.

VANGELO secondo San Matteo:
    Signore               15 volte
    Maestro              5 volte
    Figlio di Dio        3 volte
    Figlio di Davide   3 volte
    Cristo                  1 volta

VANGELO secondo San Marco:
    Maestro                14 volte
    Figlio di Dio          2 volte
    Signore                 1
    Figlio di Davide    1
    Cristo                   1
    Santo di Dio         1

VANGELO secondo San Luca:
     Maestro              15 volte
     Signore               12 volte
     Figlio di Dio        4
     Figlio di Davide   1

VANGELO secondo San Giovanni:
     Signore                27
     Rabbì                   8
     Maestro               3
     Signore Dio          2

Ci vien da sorridere, Santità, quando pensiamo che gli Apostoli non si permisero, come sapidamente lei afferma, di chiamare Gesù “Eccellenza” come un qualsiasi nobile o vescovo. Tutt’altro: come vede, essi usarono termini che si addicono proprio a Dio e non ad un amico, un compagno, un sodale, un conoscente qualunque. Niente cameratismo o goliardìa da comitiva.
Troviamo, pertanto, assai svilente, questo livellamento al basso che, finquando ella lo pertiene alla sua persona – e non siamo comunque d’accordo – possiamo subirlo. Ma non lo indirizzi a nostro Signore Gesù, Figlio di Dio e non “uno qualunque”.

Che sia chiaro: su questo terreno noi mai la seguiremo ma, per la circostanza, siamo lieti che lei abbia impartita la benedizione al giovane, la stessa che lei, nella prima udienza alla stampa mondiale, decise di non proferire quale segno di rispetto delle fedi altre.

Per l’occasione, Santità, siamo ancora speranzosi che ella vorrà rispondere alla nostra lettera. Oppure, telefonarci.

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