ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 30 settembre 2013

Miraggio


30 settembre 2013

Trovo commovente l’entusiasmo di tanti verso la pasta Barilla. Un entusiasmo di naufraghi che scorgono una nave in lontananza. Ma purtroppo è solo un miraggio.
Guido Barilla è semplicemente un omosessualista moderato che, nella troppo nota intervista alla “Zanzara”, si è dichiarato favorevole al matrimonio omosessuale e ha pronunciato la parola “gay”. Il matrimonio omosessuale è una distruzione di senso, siccome nessun uomo, per quanto seme riceva, può diventare madre. E la parola “gay” contiene il pregiudizio favorevole della gaiezza, della gioiosità che sarebbe preclusa agli uomini di nervi meglio protesi. Barilla ha inoltre la colpa di avere definito “tradizionale” la famiglia naturale: quando una cosa viene definita “tradizionale” ecco che questa cosa è fottuta. (Nel vocabolario delle plebi “tradizionale” significa “vecchio, obsoleto”, quindi per sostenere la declinante istituzione Guido avrebbe dovuto parlare di famiglia biologica o famiglia sostenibile). Poi, certo, almeno non è uno di quegli omosessualisti forsennati che vogliono asservire i poveri bambini, e le donne povere obbligate a produrli, ai capricci dell’Elton John di turno. Poi, certo, la pasta Garofalo in casa mia non entrerà mai più.

Ė vero, mi piace mettere i “puntini sulle i”, che è una cosa che alle volte risulta fastidiosa, ma che può anche rivelarsi utile per fare chiarezza.
Partiamo dai fatti. In questi giorni, dopo la triste figura della presidente della Camera Laura Boldrini (http://www.libertaepersona.org/wordpress/2013/09/cara-boldrini-essere-donna-e-bello), ha fatto molto scalpore la dichiarazione di Guido Barilla, reo di aver affermato al programma radiofonico La Zanzara: “Sono per la famiglia tradizionale, non realizzerò spot gay”.
Apriti cielo! La Barilla è omofoba… e via con le accuse nei confronti di Guido Barilla e del noto marchio italiano.
Questi dunque i fatti. Vediamo ora di fare un paio di considerazioni.
La prima riguarda l’appello lanciato sul web da Dario Fo: “Caro Barilla, dove c’è amore c’è famiglia”.
Il caro signor Fo avrà anche ricevuto il premio Nobel per la Letteratura (perché non lo assegnano anche a me, a questo punto?), però evidentemente durante le lezioni di logica era assente. Chi l’ha detto che dove c’è amore c’è famiglia? A quanto ne so io, due fidanzati possono amarsi alla follia, ma non formano una famiglia. Affinché vi sia una famiglia, sono necessari altri requisiti oltre al puro e semplice amore, anche perché i sentimenti sono sprovvisti della garanzia di durata. Per dare vita a una famiglia servono una consapevole presa di responsabilità, la stabilità, la condivisione, la volontà di andare oltre il sentimento, lo spirito di sacrificio… e l’elenco potrebbe continuare. L’amore non basta.
A questa considerazione va aggiunta un’ulteriore postilla: l’unica e vera famiglia è quella composta da un uomo e una donna legati dal vincolo matrimoniale, civile o religioso che sia. Questo è l’unico istituto che può garantire un futuro alla società, in quanto assicura – almeno sulla carta – fecondità e stabilità. Al giorno d’oggi fare figli e crescerli all’interno di un nucleo familiare stabile sono considerate cose da retrogradi, ma tant’è. Basta visitare una qualsiasi scuola (d’infanzia, elementare, media, o superiore non conta) per capire come tanti problemi dell’attuale gioventù – bullismo, droga, iperattività, eccetera – siano strettamente determinati dalla disgregazione delle famiglie. Allo stesso modo, non serve una spiccata intelligenza per capire che le coppie omosessuali sono per loro natura sterili, a meno che non si ammettanno l’adozione, la pratica dell’utero in affitto, la banca del seme, o l’iperstimolazione ovarica…
Veniamo ora alla seconda considerazione.
Il giorno seguente la bagarre mediatica, Guido Barilla ha realizzato un video di pubbliche scuse per aver, con le sue parole, “colpito la sensibilità di molte persone”.  Sono 40 secondi rivelatori: “Ieri mi sono scusato per aver colpito la sensibilità di molte persone, in tutto il mondo. Mi scuso nuovamente. In tutta la mia vita ho sempre rispettato ogni persona che ho incontrato, anche gli omosessuali con le loro famiglie, senza alcuna distinzione. Non ho mai discriminato nessuno. [...] sul dibattito riguardante l’evoluzione della famiglia ho molto da imparare”.
Diciamocelo, il signor Guido non è proprio un cuor di leone. Qui però quel che interessa è un’altra cosa: perché il presidente della Barilla avrebbe dovuto scusarsi? Per aver legittimamente espresso la propria opinione? Affermando “sono per la famiglia tradizionale, non realizzerò spot gay”, egli ha forse offeso qualcuno? Facciamo un esempio: se la Diadora avesse detto: “Noi preferiamo il calcio, non faremo mai spot sul basket, dove dei cestisti indossano le nostre scarpe”, qualcuno avrebbe avuto qualcosa da ridire? Si sarebbero alzate voci in difesa dei poveri giocatori di basket discriminati? Ė assai difficile, perché ognuno è libero di scegliere quale strategia di marketing abbracciare.
Guido Barilla non ha offeso nessuno, ma gli hanno fatto credere di averlo fatto… L’impressione è che più che una legge contro l’omofobia, serva una legge contro l’eterofobia.

La sinistra impicca pure con le parole

Avrete notato che con il caso di Guido Barilla è emerso il lato autoritario, prescrittivo, del politicamente corretto

Pubblichiamo l'editoriale di Giuliano Ferraraapparso domenica sul Giornale 
Avrete notato che con il caso di Guido Barilla è emerso il lato autoritario, prescrittivo, del politicamente corretto. Tu industriale della pasta non puoi dire alla radio che per te, con rispetto per tutti, quel che conta, quel che importa ai fini dello sviluppo, dell'investimento, dell'immagine, del marketing, è la famiglia tradizionale biparentale, maschio e femmina e bambini al seguito. Il Mulino bianco, lo spaghetto, i biscottini entrano nello spettro delle cose scorrette e discriminatorie se non si combinano con uno spot gay o «favorevole all'integrazione», secondo il linguaggio edulcorato o eufemistico scelto da Dario Fo, già testimonial della pubblicità Barilla. Guido Barilla viene aggredito, non solo in Italia, non solo dai militanti della cultura gay, non solo dai progressisti cosiddetti: ormai il linguaggio della correttezza ideologica è unificato, lo condividono le grandi maggioranze conformiste, è una seconda pelle della nostra cultura. L'aggressione punta a risultati umilianti e li ottiene, Barilla è costretto a scusarsi, anche con i suoi dipendenti, perché certe opinioni sono o stanno per diventare crimine di legge, alla faccia del diritto di pensiero e di parola, alla faccia delle libertà liberali. È un caso Buttiglione undici anni dopo. Ci fu almeno un principio di controversia, si sentirono voci discordanti, quando fu fatto fuori da commissario il politico cattolico che al tribunale della coscienza laica di Bruxelles, fattosi organo della caccia alle streghe sul tema dei diritti gay, rispose di conoscere la differenza tra diritto e morale, ma che in termini di morale la sua cultura cattolica gli suggeriva un giudizio negativo sul comportamento omosessuale. Ora non c'è più nemmeno la controversia, Barilla se lo sono cucinato in pochi istanti, il tempo di cottura di mezzo chilo di fusilli.

Intanto in Francia sono tornati i giacobini. 
Il ministro dell'Istruzione vuole scristianizzare la società e la scuola, formula decaloghi per l'indottrinamento anticattolico, si cancellano le feste religiose, si tolgono di mezzo i santi, si predica apertamente la religione dello Stato laico come l'unica religione ammessa, con i suoi dogmi, le sue certezze, il suo autocontraddittorio farsi dottrina valida per tutti. I politici cattolici e democristiani in giro per l'Europa se ne impipano, i vescovi parlano d'altro, magari interpretano le frequenti interviste e gli interventi di Papa Francesco come un via libera: non giudicare è evangelico, credere è evangelico, avere fede è meglio di niente, ma il diritto all'espressione razionale, la libertà di dire e di pensare quel che sembra giusto non è disponibile, o non dovrebbe esserlo. Eppure un certo grado di autoritarismo repressivo si affaccia come una necessità se si intenda riformare e riaggiustare dalle radici la società e il set più o meno tradizionale di opinioni che la riguardano.
La tecnica è quella dei totalitarismi democratici moderni, che sono cosa diversa dai fascismi e dal nazismo. Si procede negando la realtà, il fatto, e dando tutto il potere alle formule verbali che edulcorano o deformano in modo anche grottesco ciò che è. Il caso Berlusconi non è così diverso. Il politicamente corretto, che costituisce un regime culturale, non può sopportare lo sguardo del reale, del senso comune. È stranoto che c'è un conflitto tra politica e giustizia, che questo conflitto dura dall'epoca in cui furono liquidati i partiti politici, che il partito dei pm e dei giudici ha surrogato gli altri poteri abrogando la divisione dei poteri, che lobby mediatiche e finanziarie e civili importanti hanno costruito sulle avventure della giustizia politicizzata le loro fortune. È tutto lì squadernato davanti agli occhi del pubblico, solo che si voglia guardare: magistrati che fondano partiti o si buttano con risultati mediocri in politica, pm che fanno secco una volta un governo Berlusconi e la volta dopo un governo Prodi in un circuito senza controllo di prepotere e di uso politico della giurisdizione, l'alleanza con i media manettari all'insegna della violazione sistematica del segreto investigativo, e si potrebbe continuare a lungo.

Ma bisogna resistere alla realtà, evitare di confrontarsi l'evidenza.
 E allora si ricorre al linguaggio, al conformismo del linguaggio interpretativo. Bisogna tenere separata la questione della condanna di Berlusconi dalla politica, oops, ma come si fa se da vent'anni il centrodestra denuncia una manovra mediatico-giudiziaria ai danni della politica e del suo capo politico? Eppure con questi espedienti ideologici fatti di formule si fomenta un'aggressione vasta e aspra all'Arcinemico, accusato di eversione perché protesta contro quella che considera un'ingiustizia capace di svuotare lo Stato di diritto e la democrazia del suo contenuto e della sua forma. Qui non è in questione un cambio di governo o di maggioranza, l'obiettivo dei politicamente corretti è l'instaurazione di un regime mentalmente carcerario, di una grande prigione culturale.
Giuliano Ferrara

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