A difesa di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
I due, già autori di numerosi libri di buon successo editoriale, tra cui ricordiamo “Cattivi Maestri”, “Il Pianeta delle Scimmie” e “Io speriamo che resto Cattolico”, si sono messi in guai grossi dopo aver scritto un lungo articolo su “Il Foglio” dal titolo parecchio sismico: “Questo Papa non ci piace”.
Uno scritto assai articolato che, senza alcun afflato di ribellismo scismatico ma con sincero spirito critico, ha posto questioni di non piccolo momento sui primi sei mesi di Pontificato di Bergoglio.
Questioni che, evidentemente, stanno parecchio a cuore agli autori (più volte indicati spregiativamente come Cattolici “tradizionalisti” soprattutto in taluni circoli ecclesiastici: quasi a sottendere che ci possano essere diversi “modi” di essere Cattolici) e che denotano un loro sincero sconcerto il quale, condivisibile o meno che sia, è umanamente legittimo e fondato su motivazioni comunque non peregrine.
In sintesi questi gli elementi salienti: nella arcifamosa intervista che Bergoglio ha rilasciato ad Eugenio Scalfari alla domanda “Santità, esiste una visione del bene unica? E chi la stabilisce?” così risponde Papa Bergoglio “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene. (…) La coscienza è autonoma, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. (…) Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”. Gnocchi e Palmaro menzionano al riguardo il capitolo 32 della “Veritatis Splendor” scritta da Giovanni Paolo II nel 1993, nella quale il Beato contesta “alcune correnti del pensiero moderno”, che hanno attribuito “alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male (…) tanto che si è giunti a una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale”.
Ora, chi scrive non è dottore in Teologia né ha competenza pur superficiale in materia, ma riconosce che è difficile trovare tra le due posizioni la proverbiale quadratura del cerchio sul piano della logica elementare.
Sua Santità rincara la dose, agli occhi degli autori almeno, quando sostiene nella medesima intervista che “Il Proselitismo è una solenne sciocchezza”.
E qui la faccenda si complica notevolmente: perché da un lato i “normalisti” Cattolici sostengono a spada tratta la necessità di “contestualizzare” la frase, mentre per Gnocchi e Palmaro una frase di senso compiuto quale quella citata si spiega (purtroppo…) da sé senza che siano necessari particolari acrobazie ermeneutiche.
Fulcro della schietta critica, poi, le considerazioni del Papa sul Concilio Vaticano II: ““Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile”.
Per Gnocchi e Palmaro questo è forse il colpo più duro da digerire, poiché dal loro punto di vista non siamo di fronte al “mondo messo in forma alla luce del Vangelo, ma al Vangelo deformato alla luce del mondo, della cultura contemporanea. E chissà quante volte dovrà avvenire, a ogni torno di mutamento culturale, ogni volta mettendo in mora la rilettura precedente: nient’altro che il concilio permanente teorizzato dal gesuita Carlo Maria Martini”.
Ad una lettura superficiale di queste esternazioni è facile ipotizzare una secolarizzazione della Chiesa che presenta il fumus, se non esattamente il color, del modernismo.
In ultimo, gli autori non si astengono dal criticare il sistematico rifiuto da parte di Bergoglio della simbologia papale “tradizionale”: per loro non si tratta di zelotismo, ma nel riconoscere che dietro a determinati simboli si cela una sostanza profonda che li rende tutt’altro che vuoti orpelli, così come riduttivo sarebbe ascriverne l’uso ad una vetusta e superata consuetudine (tradizionale, una volta di più).
Ora, vero è che l’essere Cattolici presuppone la assoluta obbedienza alla gerarchia ecclesiastica e, soprattutto, al Magistero Petrino, così come è ipotizzabile che tale buona norma faccia parte dello statuto di Radio Maria, al punto tale da rendere necessaria l’epurazione di due collaboratori (seguitissimi, per altro) per opinione problematica espressa, tuttavia, su altra testata: ma Gnocchi e Palmaro non hanno in alcuna maniera dichiarato di voler abbandonare Santa Romana Chiesa, né hanno chiesto l’istituzione di un “commissario politico straordinario” che rimetta Bergoglio in riga. Neppure hanno preteso, se ben si legge il loro articolo, di insegnare al Papa a fare il Suo lavoro. Hanno semplicemente dato voce, con quel piglio corsaro, forse, che è loro proprio a dubbi ed incertezze i quali, magari solo per una minoranza, sono comunque presenti nel mondo Cattolico. Senza aggettivi qualificativi ulteriori.
Con questo, la decisione di Padre Livio Fanzaga di estrometterli dalla programmazione di Radio Maria va rispettata, come del resto Gnocchi e Palmaro hanno fatto, ma non è certamente un bello spettacolo vederli crocifissi e additati come una postmoderna incarnazione bifronte di un nuovo Lutero, pronto a spaccare tutto in virtù di un supposto “tradizionalismo” romanticheggiante e narcisista. E non solo da parte dei cattoprogressisti, da sempre acerrimi nemici del duo di “spaccavetri”, ma anche da tanti Cattolici tosti e ben formati per i quali le critiche mosse dagli scrittori, forse non troppo delicate ma comunque argomentate, coincidono in automatico con barbarici slanci lefebvriani da soffocare sul nascere.
Almeno per il sottoscritto, che mai ha nascosto né lo fa oggi la stima indefessa per Gnocchi e Palmaro, essi hanno posto questioni comunque meritevoli di attenzione: due su tutte.
In primo luogo se è vero come è vero che il Cattolicesimo è religione universale, ovvero il cui messaggio è destinato a tutti gli Uomini, giustissimo è rivolgersi, in qualità di Successore di Pietro, agli ultimi, ai diseredati, ai poveri e ai disperati: senza tuttavia dimenticare coloro i quali, forse meno deprivati sul piano materiale (e forse proprio per questo…), presentano aspetti di fragilità spirituale, facilità nello sbandamento dottrinale, tiepidezza d’animo e intenti per i quali risulta necessario avere punti di riferimento fissi, chiari, definiti, perché no severi. Se, grazie soprattutto alla sartoria mediatica che puntualmente circonda Bergoglio, si comincia ad insinuare il messaggio che tra credenti e non credenti non c’è alcuna differenza e che, di conseguenza, Cristo non è più indispensabile per la salvezza, è facilmente ipotizzabile all’orizzonte la nascita di una “nuova” fede “fai da te”, con il disastro che ne seguirebbe. In secondo luogo, nessuno mette in discussione la Sovranità del Papa e la sua libertà di esprimere la sua azione evangelica come più Egli ritiene opportuno: ma che le esternazioni di un Papa (chiunque egli sia) vadano anche teleologicamente valutate è fuori di dubbio, soprattutto di fronte ad un mondo “moderno” che, oggi più che mai, ha in odio profondissimo il Cattolicesimo ed è pronto ad azzannarlo alla gola senza conceder quartiere.
In definitiva, forse Gnocchi e Palmaro hanno sbagliato, o forse hanno limpidamente espresso critiche pericolose e poco opportune.
Vero è che la nostra volontà di autorassicurazione, debitamente carburata dai bagni di folla assisiani e lampedusiani ci impedisce anche solo di ipotizzare che possano avere avuto un briciolo di ragione…
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