ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 6 ottobre 2013

SAN FRANCESCO D'ASSISI




di Francesco Colafemmina

Se tutto il pontificato di Papa Francesco dovesse rivelarsi una ripetizione della giornata di Assisi, allora dubito che si sarebbe potuto chiedere di più allo Spirito Santo. Una giornata perfetta! Sono passati mesi e ormai sono rimasti in pochi a far le pulci al Papa: questo sì, questo no, questo forse. No, in realtà non si tratta di esaminare ogni dettaglio e criticare. Ci sono oggettivi problemi che derivano da una eccessiva confusione. Ma la confusione non nasce ora, è in circolazione da decenni. Qui servirebbe avere una visione univoca e chiara e purtroppo la visione manca a molti nella Chiesa, anche a coloro che non sono "progressisti", che non hanno vissuto gli ultimi 50 anni con l'ansia e l'obiettivo di "cambiare volto alla Chiesa".
Chi mi conosce sa che ben prima di questo pontificato ho auspicato una Chiesa fatta di Vescovi e Cardinali in grado di sporcarsi le mani con chi soffre, con ciò che il Papa definisce "periferie esistenziali" tanto per non incorrere nella banalità retorica di termini come "poveri", "bisognosi", "ammalati" etc. Da troppi anni la Chiesa è costituita da una gerarchia totalmente scollegata dalla realtà. Fatta di proclami pastorali, liturgie show intese a glorificare il clero, spese folli per happenings diocesani, nuove chiese, orribili pseudo opere d'arte o meglio opere di pseudo-arte, farraginose strutture laicali, totale assenza di trasparenza nella gestione del potere e del denaro e autoritarismo della peggior specie. 
Questa realtà generalizzata è per certi versi ambivalente, colpisce ogni tendenza nella Chiesa Cattolica. Ma sento di non sbagliare quando affermo che è propria di una Chiesa pienamente "conciliare", imbevuta cioè di quel veleno chiamato "spirito del Concilio" veleno che giustifica ogni slancio in avanti, ogni "aggiornamento" tranne quello del clericalismo radicale e del connesso privilegio. 
"Mondanità spirituale"! Ebbene, guardateli i mondani spirituali: i Ravasi, gli Enzo Bianchi e i Mancuso, i Forte, i Riccardi... Ce n'è un'intera falange... Ma il guaio è che per scongiurare clericalismo e mondanità l'attuale Pontefice probabilmente ritiene di dover dare piena "attuazione" a quello Spirito del Concilio, ossia di andare avanti ad oltranza, dando incidentalmente definitiva efficacia a quelle aspirazioni orizzontali e di de-mondanizzazione (per certi versi un po' catara) che si leggevano in nuce nelle effervescenze degli anni '60.
Il problema è che con Benedetto XVI si è intravvista la possibilità di rimettere in carreggiata la Chiesa sotto un profilo teologico e liturgico. Ma la pastorale e soprattutto la declericalizzazione è stata piuttosto trascurata. Se avessimo avuto un pontificato benedettiano con un Papa attento a "impoverire" i suoi Vescovi e Cardinali (sempre pronti a non ascoltare tutti i suoi richiami e le sue esortazioni), e magari un po' più "pastorale", avremmo probabilmente evitato gli attuali eccessi dannosi e per certi versi drammatici (penso al dialogo fra il Papa e Barbapapà). Ma noi cosa possiamo farci? Dovremmo sforzarci di essere cattolici coerenti ed autentici, non solo e sempre criticando o esercitando il culto del sospetto. Credo che il Papa sia sommamente bello se dopo aver indossato un luminoso paramento sacro intessuto d'oro, ai piedi dell'altare, al termine del Sacrificio, si spogli delle vesti liturgiche per indossare un grembiule e assistere il prossimo. L'impatto tra l'altezza e l'onore riservati a Dio e la semplice terrigna povertà di chi porta in dono solo l'amore di Cristo sarebbe straordinariamente forte. Ma il Papa preferisce non salire troppo in alto per non confondere un popolo di Dio che queste cose semplicemente non le comprende.
Personalmente mi è bastato il Papa che prende per mano un bambino e se lo porta a pranzo alla mensa dei poveri. Hoc sufficit. Non servono troppe parole o troppe spiegazioni. Ci sono e ci saranno sempre nuove contraddizioni, innovazioni, confusioni. Ma in fondo resta l'essenziale. E l'essenziale lo testimoniamo non solo con le parole e l'esercizio della ragione, ma con la vita. Non dobbiamo, non possiamo essere "cristiani da pasticceria". E noi, immagino molti di voi lettori, non appartengono a questa categoria. Siamo accomunati da una visione della Chiesa legata alla tradizione non come ad un luogo definito del passato, ma intesa come realtà metastorica, che fa la storia e vi opera. E forse noi dovremmo salvare il Papa, questo Papa, dalla melensa retorica di coloro che vorrebbero appropriarsene, dei tanti cattolici pasticceri (frati, preti, suore, vescovi e cardinali inclusi) che vorrebbero piegarlo alla loro "visione", quella coltivata e attesa negli ultimi 50 anni. Se non siamo sinceri, se non ci svuotiamo dei nostri pregiudizi, resteremo sempre in pasticceria. Meglio fare come quel bambino, prendere per mano Cristo e portarlo nelle nostre vite, in quelle di chi ci è vicino. In fondo, questo è il Vangelo. 

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