Perché Bergoglio ha scelto il ritiro sull’Aventino
La sera del 21 novembre, nella festa della presentazione di Maria al tempio tradizionalmente associata alle monache di clausura, papa Francesco si recherà sull’Aventino in visita al monastero di Sant’Antonio delle monache camaldolesi.
Il papa vi reciterà i vespri e si fermerà poi con le monache per un colloquio.
Sul motivo per cui Jorge Mario Bergoglio ha scelto di visitare proprio questo monastero una spiegazione è che egli ha una grande ammirazione per una religiosa che vi entrò proprio il 21 novembre, nel 1945, e lì visse da reclusa per quarant’anni, nutrendosi solo di pane e acqua e dormendo su una semplice cassapanca.
Si chiamava Nazarena Crozza e irradiò una intensa aura di santità. Su di lei sono usciti un paio di libri, uno anche in inglese. Tra i sui amici più stretti c’era il benedettino e cardinale Agostino Mayer. A papa Francesco le monache offriranno una raccolta delle lettere che ella scriveva al suo padre spirituale, dalle quali si evince la sua forte fede e la sua vita spesa per la Chiesa.
Ma ci sono due altri aspetti di questo monastero che affascinano Bergoglio.
Il primo è la fila costante di poveri, fino a ottanta, che tutti i giorni ricevono il pranzo servito dalle monache davanti al cancello d’ingresso di via Santa Sabina 64.
Il secondo è la “lectio divina” sul Vangelo della domenica, che da trent’anni le monache aprono ogni sabato alle 18 alle persone che vogliono prendervi parte, che sono ogni volta tra le sessanta e le ottanta.
A guidare la “lectio” sono padre Innocenzo Gargano, del vicino monastero camaldolese di San Gregorio al Celio, e la badessa Michela Porcellato, che di fatto è la madre generale di una quindicina di monasteri di monache camaldolesi sparsi in tutto il mondo. In Tanzania ve ne sono tre molto rigogliosi, fondati a partire dal 1968 dalle monache dell’Aventino, che contano oggi circa un centinaio di monache africane.
Un’ultima notazione. I monaci e le monache camaldolesi di Roma sono stati tra i più arditi nell’applicare in modo “creativo” la riforma liturgica conciliare, prima ancora che entrasse in opera ufficialmente. L’avvincente resoconto di quell’impresa è stato raccontato – con un felice dose di ironia – da padre Gargano in un libro del 2001 su “I camaldolesi nella spiritualità italiana del Novecento” e riprodotto in questo servizio di www.chiesa:
La sera del 21 novembre, nella festa della presentazione di Maria al tempio tradizionalmente associata alle monache di clausura, papa Francesco si recherà sull’Aventino in visita al monastero di Sant’Antonio delle monache camaldolesi.
Il papa vi reciterà i vespri e si fermerà poi con le monache per un colloquio.
Sul motivo per cui Jorge Mario Bergoglio ha scelto di visitare proprio questo monastero una spiegazione è che egli ha una grande ammirazione per una religiosa che vi entrò proprio il 21 novembre, nel 1945, e lì visse da reclusa per quarant’anni, nutrendosi solo di pane e acqua e dormendo su una semplice cassapanca.
Si chiamava Nazarena Crozza e irradiò una intensa aura di santità. Su di lei sono usciti un paio di libri, uno anche in inglese. Tra i sui amici più stretti c’era il benedettino e cardinale Agostino Mayer. A papa Francesco le monache offriranno una raccolta delle lettere che ella scriveva al suo padre spirituale, dalle quali si evince la sua forte fede e la sua vita spesa per la Chiesa.
Ma ci sono due altri aspetti di questo monastero che affascinano Bergoglio.
Il primo è la fila costante di poveri, fino a ottanta, che tutti i giorni ricevono il pranzo servito dalle monache davanti al cancello d’ingresso di via Santa Sabina 64.
Il secondo è la “lectio divina” sul Vangelo della domenica, che da trent’anni le monache aprono ogni sabato alle 18 alle persone che vogliono prendervi parte, che sono ogni volta tra le sessanta e le ottanta.
A guidare la “lectio” sono padre Innocenzo Gargano, del vicino monastero camaldolese di San Gregorio al Celio, e la badessa Michela Porcellato, che di fatto è la madre generale di una quindicina di monasteri di monache camaldolesi sparsi in tutto il mondo. In Tanzania ve ne sono tre molto rigogliosi, fondati a partire dal 1968 dalle monache dell’Aventino, che contano oggi circa un centinaio di monache africane.
Un’ultima notazione. I monaci e le monache camaldolesi di Roma sono stati tra i più arditi nell’applicare in modo “creativo” la riforma liturgica conciliare, prima ancora che entrasse in opera ufficialmente. L’avvincente resoconto di quell’impresa è stato raccontato – con un felice dose di ironia – da padre Gargano in un libro del 2001 su “I camaldolesi nella spiritualità italiana del Novecento” e riprodotto in questo servizio di www.chiesa:
(^) Cadremo ballando
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La liturgia sta alla vita cristiana come il Big Bang all’universo. Un piccolo cambiamento all’origine può modificare tutto lo svolgimento.
Che un gesuita e una ballerina si permettano di modificare la liturgia, quasi a imporre una modifica dal basso, è semplicemente un sacrilegio. Ma Roberta non desiste:
Francesco vigili. E’ vero che ogni ventata rivoluzionaria fa sentire forti, ma nove volte su dieci le ventate rivoluzionarie hanno solo reso più eretico il popolo, e hanno dannato anime. Specialmente quando erano movimenti dal basso.
Comunque, nel caso permanessero dubbi, c’è sempre il parere illuminato e politicamente corretto del prelato negro, il quale – con piglio degno dei più sagaci moralisti e del loro articolato ‘oggetto morale’ – mentre apprezza la danza africana in liturgia, riconosce che quella propriamente non è danza, ma solo “un movimento aggraziato che esprime gioia”, e che fa tutt’uno con l’espressione culturale nera o gialla che sia.
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E così si riporta il discorso alla sua radice culturale. Il problema della danza è infatti un problema di cultura. E la cultura è una cosa che il popolo ha scritta in se stesso, non è un pallino di due teorici superbi, individualisti e rivoluzionari.
Ora, sarà un caso, ma nella cultura occidentale la danza è il filo rosso che – dalle discoteche, ai ghetti, alla ruleta sexual, ai rave party – connota le manifestazioni più apertamente antinomistiche e dissolutrici.
Ora, per carità, non sarò io a volermi contrapporre a Nietzsche. Soprattutto se l’intero episcopato sceglie di mandare a putt*** la liturgia per il gusto di un flash-mob brasileiro.
Ciò detto, lungi da me apparire uno stoccafisso vetero-liturgista! Piuttosto, parlando di putt*** mi veniva una curiosità: a quando la reintroduzione della prostituzione sacra in liturgia? Non nego che guarderei alla cosa con interesse. Guarderei con più interesse anche alle danzatrici, soprattutto se poco velate.
Roberta stia tranquilla, non ne farò voce con nessuno: sarà la nostra rivoluzione del basso! Come data di inaugurazione proporrei il 22 luglio, memoria della Maddalena.
Del resto, a ben vedere, bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi.
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Articolo pubblicato su Campari e De Maistre lo scorso 29 Settembre.
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