ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 21 marzo 2014

Da Sacrificio ad avanspettacolo:

 la Messa nel terzo millennio

Celebrazione eucaristica della seconda domenica di Quaresima. Prima Messa del mattino; la Messa “dei ragazzi”. Lettura del Vangelo sulla trasfigurazione di Gesù. Arriva il momento dell’omelia e il sacerdote invita due bambini a salire davanti all’altare e porsi al suo fianco. La predica è interamente sostituita da un colloquio tra il prete e i bambini: lui domanda cos’hanno capito del brano evangelico, loro rispondono, lui corregge le risposte. La spiegazione della trasfigurazione si esaurisce in poche, “vibranti” parole: «Avete presente il neon che è tutto fluorescente? Così è Gesù trasfigurato, luminoso come una lampadina [sic!]».

Sarebbe bastato alzare lo sguardo al cielo per trovare un termine di paragone un po’ meno prosaico, ma il sacerdote si è lasciato ispirare dall’elettronica. La Messa prosegue tra schitarrate liturgiche, ormai classiche, e - era in corso un battesimo - applausi vari.
All’uscita mi sono fermato a riflettere e ho subito richiamato alla mente la prima volta che ho avuto piena cognizione di che cos’è la Messa.
Nonostante il catechismo, ho dovuto attendere i 16 anni per averla: il professore di Religione che la Provvidenza ha voluto donarmi alle scuole superiori, in I liceo tenne una lezione sull’argomento. Chiamò una compagna di classe alla lavagna, le chiese di disegnare una collina con tre croci sulla cima e, nel cielo, una macchina del tempo. Noialtri, sorridendo, iniziammo a guardarci con aria interrogativa. «Questa - disse il Prof. indicando il disegno - è la Messa. Durante la celebrazione noi siamo misticamente riportati sul Calvario, in quel preciso momento della Storia in cui Cristo ha donato la vita per l’umanità».
Sono trascorsi dodici anni: quella lezione non l’ho più dimenticata. Un modo semplice ma efficacissimo per spiegare agli adolescenti di oggi che, all’elevazione delle Sacre Specie, Cristo viene nuovamente (anche se incruentemente) innalzato sulla croce.
Ora, se le cose stanno così, è doveroso trarre da questa verità di fede tutte le conseguenze che ne derivano: ogni comportamento tenuto durante la S. Messa è tenuto ai piedi della croce di Cristo che muore per noi; se io strimpello la chitarra, lo faccio al cospetto di Dio-Figlio che s’immola a Dio-Padre; se applaudo, lo faccio al cospetto di Dio-Figlio che s’immola a Dio-Padre. Il popolo dei fedeli è in larghissima parte insensibile a una simile, tremenda verità per una ragione semplicissima: perché questa verità non è più insegnata o, se lo è, viene trasmessa male. Basti pensare a quanti, oggi, non si inginocchiano neanche più al momento della consacrazione, quel momento in cui S. Francesco d’Assisi invitava i fedeli a “tremare” perché il Creatore dell’universo si rende presente sull’altare.
Una tale perdita del senso del sacro nella liturgia cattolica fu rilevata con parole puntualissime dal non-cattolico Franco Battiato alcuni anni or sono, quando, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa nel novembre 2005, commentò così il “tradizionalismo” liturgico dell’allora neoeletto papa Joseph Ratzinger: «Trovo che la liturgia dovrebbe essere una cosa molto seria, fatta con criterio. Non puoi all’interno di una Messa mettere dei ragazzini che cantano in uno stile di serie C della musica leggera italiana più triviale, che trovo, tra le altre cose, la vera blasfemia. Cioè: tirare in ballo Cristo, Dio: “tu sei con noi”, “tu sei di più”, dicono delle cose incredibili… Calma! Parla così del tuo compagno di banco…». È grottesco che un’analisi così lucida della grandezza del mistero liturgico (e del suo tradimento) provenga dall’esterno del mondo cattolico; per di più da un musicista intellettuale che dice di credere nella reincarnazione e cioè - detto per inciso - in una dottrina che, al contrario di quella cristiana, non manifesta alcun atto d’amore di Dio per l’uomo.
Ora, la prima accusa che si suole muovere a questa concezione della liturgia è quella di “intellettualismo”: come se, volendo escludere i coretti e le chitarre, si nutrisse uno spirito antievangelico dal momento che Gesù ci ha detto di farci “come i bambini”. Nessuno vuole negare l’importanza dei piccoli nel Regno di Dio e il fatto che la loro preghiera è graditissima al Signore. Non a caso san Pio X, con il decreto Quam Singulari, volle ristabilire l’antico uso di permettere la prima Comunione in tenera età; proprio perché i bambini, con la loro purezza di cuore, possono più degnamente ricevere il Santissimo e rigenerare così le tante ferite inferte al Corpo mistico di Cristo dai peccati degli adulti. Tuttavia ciò non autorizza gli adulti a introdurre in maniera indiscriminata i bambini all’interno della liturgia. Gesù ci ha anche comandato di “essere perfetti come il Padre”; e se dobbiamo ricercare la perfezione in ogni nostra azione, a maggior ragione dobbiamo farlo nella Messa che è il principale atto di culto offerto a Dio.
Quante volte capita di ascoltare le Letture da bambini che sanno leggere a stento? Si tratta della Parola di Dio, non della poesia di Natale; e la Parola di Dio va proclamata, non farfugliata. Se un bambino è preparato adeguatamente allora ben venga la sua partecipazione, diversamente è meglio evitare. Quanto alla “questione musicale”, le parole di Battiato sono più che esaustive. Giusto un’osservazione in più: la straordinarietà della Messa va evidenziata attraverso ogni aspetto, dunque anche quello musicale. L’uso di uno strumento che si suona ai falò sulla spiaggia o alle feste con gli amici non è indicato per rendere omaggio a Dio nel momento più sacro che esista.
Non è possibile non vedere in questa prassi di “mondanizzazione liturgica” una grave banalizzazione del rito che conduce inevitabilmente a indebolire i fondamenti stessi della fede, per quell’inscindibile vincolo che lega lex orandi e lex credendi. E, a proposito di banalizzazione, torniamo all’episodio citato in apertura: oggi capita sempre più spesso che i sacerdoti non si limitino semplicemente ad avvallare certi usi (e abusi) liturgici, ma che siano essi stessi autori, magari inconsapevoli, di condotte oggettivamente dissacranti. Non mi riferisco qui ai casi più clamorosi che presentano gli estremi della blasfemia, ma ad un generale atteggiamento di superficialità e faciloneria nello stile della celebrazione, nella pronuncia delle parole del Canone, nella scelta delle parole dell’omelia: così, di rozzezza in rozzezza, diventa normale paragonare Cristo trasfigurato a una lampadina piuttosto che al sole.
Qualcuno sicuramente troverà esagerata questa critica, ma, per usare una similitudine medica, nelle malattie spesso sono i piccoli sintomi a svelare la presenza di un grande male. Qui stiamo parlando effettivamente di una piccolezza, un dettaglio; eppure, questo è certo, fino a qualche decennio fa una simile scelta retorica all’interno di un’omelia avrebbe suscitato non poche perplessità, quantunque destinata a un pubblico di bambini. Perché? Perché non siamo al catechismo dove, se proprio l’educatore non sa trovare di meglio, può ricorrere anche agli esempi più banali per spiegare le verità di fede; siamo nella liturgia, dove non s’invitano i fedeli - anche se bambini - a salire presso l’altare (che diventa un palco) o ad applaudire come si fa col pubblico nei teatri.
Nella liturgia la forma è sostanza e anche il linguaggio e i gesti del sacerdote devono adeguarsi alla grandezza del Mistero che si sta realizzando. Invece la Chiesa di oggi preferisce la banalità del mondo al fasto di Dio, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Ed io, che ho avuto la grazia di conoscere i Francescani dell’Immacolata nella mia città, di ammirare la loro cura straordinaria delle celebrazioni, di innamorarmi della Messa in Vetus Ordo grazie alla loro (giustissima) predilezione per questo rito, oggi sono defraudato di un mio sacrosanto diritto.
Quousque tandem?
Vincenzo Gubitosi

(Fonte: ILGIUDIZIOCATTOLICO.com)

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