ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 1 marzo 2014

Lana non caprina (argentina)

A proposito dell’infallibilità pontificia… sommessamente. 
Leggendo qua e là, ci siamo imbattuti in una sorta di diatriba circa il corretto significato dell’infallibilità pontificia e il giusto rapporto che c’è tra il Magistero Ordinario Universale (MOU) e il Magistero Straordinario Infallibile (MSI).
La controversia verte sulla prevalenza dell’uno sull’altro: se l’inerranza dell’insegnamento sia conseguenza dell’infallibilità, o se invece ne sia la condizione. In particolare, si sostiene che, mentre l’inerranza del MOU è infallibile di per sé e quindi di fatto, l’inerranza del MSI è infallibile di diritto; tale che la prima sia conseguenza della seconda e non che ne sia condizione.La cosa ci ha incuriositi e ci ha indotti ad una attenta riflessione, soprattutto perché non abbiamo dimestichezza col linguaggio specialistico della teologia, in quanto non siamo dei teologi. E tuttavia la questione posta non è di poco conto, soprattutto per le implicazioni che ha, riguardo all’attitudine che i fedeli devono tenere di fronte alla pletora di documenti loro proposti dalla Gerarchia in questi ultimi cinquant’anni, ivi compresi i documenti del Vaticano II.

Può un semplice fedele, ci siamo chiesti, tentare di capire come stiano le cose e come è giusto che si orienti? Ci siamo risposti che, innanzi tutto deve, poiché si trova al cospetto dell’alternativa: o affidarsi in toto ai pronunciamenti della Gerarchia, cioè del Papa e dei Vescovi, o soffermarsi a riflettere e decidersi a discernere. Ora, siccome è da cinquant’anni che sussistono, in crescendo, forti dubbi sull’insegnamento proposto dalla Gerarchia, ed è da cinquant’anni che su questi dubbi la stessa Gerarchia non ha voluto esprimersi in maniera definitiva, né autoritativa, né infallibile, ne consegue inevitabilmente che il fedele ha una sola possibile scelta: soffermarsi a riflettere e decidersi a discernere.

Non v’è dubbio che nessun fedele può sostituirsi all’autorità magisteriale della Gerarchia, né pretendere di supplire ad essa, ma è parimenti indubbio che un qualsiasi fedele che non voglia attenersi ad una sorta di “ubbidienza cieca”, perché in quanto cattolico non può e non deve, è costretto a valutare, comparare, vagliare e decidere, pur con i rischi che questo può comportare agli occhi di esperti e navigati teologi, in grado, per loro disposizione e per loro preparazione, di spaccare il capello in quattro. D’altronde, se in questi ultimi cinquant’anni i pronunciamenti magisteriali hanno prodotto dubbii, controversie e reazioni, tali da determinare di fatto la mancanza di un vero e proprio magisteroè inevitabile che i fedeli, abbandonati a loro stessi, cerchino di cogliere autonomamente i fiori dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, attingendo ai Vangeli, ai Padri della Chiesa e agli insegnamenti pontifici passati. 
È quello che abbiamo cercato di fare qui, in qualche modo e nei limiti che ci sono proprii, con la speranza di poter apportare un piccolo tassello da aggiungere al mosaico indefinito che abbiamo abbozzato prima.

Facciamo subito notare che quando leggiamo che l’inerranza di fatto sarebbe subalterna all’infallibilità di diritto, riteniamo di trovarci al cospetto di una sorta di pregiudizio giuridicista, tipico del moderno mondo occidentale; secondo il quale, per esempio, la verità sarebbe tale solo se viene dichiarata tale… in questo caso dal Papa o da un’autorità equivalente.
Ora, a noi sembra che, se fosse così, la Rivelazione divina anteriore al primo concilio non sarebbe la verità, ma, per così dire, solo un enunciato non erroneo di fatto, in attesa di diventare la verità solo dopo la definizione infallibile di diritto dell’autorità. La cosa ci sembra alquanto bizzarra, ma comprensibile nell’ottica di una mentalità giuridicista.
Ci sembra ancora, che una tale disposizione mentale si fondi su una sorta di sopravvalutazione della definizione formale dell’infallibilità pontificia, come fissata dal Vaticano I con le sue condizioni.
Parliamo di sopravvalutazione, perché pensiamo che si adotti una prospettiva che finisce col comportare due possibili errori.
Il primo è che l’infallibilità pontificia sia tutt’uno con l’infallibilità del Papa.
In realtà, l’infallibilità, con tutte le sue condizioni, non può essere del Papa, perché si tratterebbe allora della sottomissione della verità alle condizioni artificiali e successive poste dagli uomini a scopo strumentale, seppure opportuno. Quando il Vaticano I (1) precisa che il Papa è infallibile “quando definisce una dottrina”, si richiama ad una realtà implicita che è la vera fonte dell’infallibilità papale: la dottrina. Il pronunciamento papale in tema di dottrina non è infallibile perché soddisfa le condizioni, ma perché manifesta la dottrina stessa, per sua natura infallibile perché divina. È l’infallibilità della dottrina che rende infallibile il pronunciamento papale. Il contrario sarebbe pura follia: come dire che Nostro Signore ha insegnato la verità solo perché il Papa l’ha confermato con un suo pronunciamento.
In pratica, è infallibile solo l’insegnamento di Nostro Signore, consegnato in deposito alla Chiesa e da questa trasmesso ai fedeli. Se il Papa trasmette tale insegnamento, per forza maggiore dev’essere infallibile, al limite anche se non assolvesse le condizioni previste dal Vaticano I, le quali in effetti non erano mai state definite prima del 1870. Viceversa, se il Papa si pronunciasse assolvendo tali condizioni, ma contraddicendo l’insegnamento di Nostro Signore, cioè la Rivelazione, è automatico, inevitabile e intrinsecamente giusto che il suo insegnamento non possa essere infallibile.

Il secondo è che l’infallibilità del Papa è relativa, non all’esposizione della dottrina, ma alla confermazione dei fedeli. In corrispondenza con il passo di San Luca 22, 31-32 (2), al Papa è demandato, da Nostro Signore, di confermare i fratelli, ma attenzione, non in maniera indiscriminata, legata semplicemente al suo essere Papa, bensì in maniera condizionata: “e tu, una volta ravveduto, conferma…”. Cosa che sta a significare che tale compito è interamente dipendente dalla previa sottomissione alla dottrina (una volta ravveduto). Tale che si ritorna nuovamente alla prevalenza gerarchica della dottrina sulla stessa infallibilità papale. In altri termini, alla inerranza di fatto sulla infallibilità di diritto.

Esplicitiamo con un esempio.
La dottrina o Rivelazione divina può essere solo infallibile, quindi, esprimendo la dottrina ci si esprime in maniera infallibile; è quello che accade al Papa, ma anche ai Vescovi, in forza del loro potere d’insegnamento, in mancanza del quale, la cosa non è trasferibile ai semplici fedeli. Ciò che può accadere è che in questa espressione della dottrina possa interferire l’elemento umano, tale da implicare degli errori di espressione. Ora, pur non potendosi umanamente eliminare tale possibilità, Nostro Signore ha assegnato a Pietro il compito di confermare i fratelli, assicurandogli a questo fine l’assistenza dello Spirito Santo. Ma perché Pietro giunga ad esercitare questo suo compito è necessario che i fratelli abbiamo bisogno di tale conferma, e questo si può verificare ogni volta che l’elemento umano interferisca nell’apprendimento della dottrina.Ne consegue che al di fuori di questa eventualità il Papa non può confermare ciò che è già definito per sua stessa natura. Vale a dire che quasi tutti i pronunciamenti pontifici, o conciliari, debbono essere fondati sulla necessità di correggere un errore esterno o di precisare questo o quell’aspetto della stessa dottrina di sempre. 
Non a caso, quello del Papa si chiama Magistero Straordinario, un magistero cioè che presuppone l’esistenza di un Magistero Ordinario che non è prerogativa esclusiva del Papa, in quanto corrisponde a ciò che la Chiesa ha insegnato da sempre.
E non potrebbe essere diversamente, poiché il Magistero Ordinario non è del Papa, ma della Chiesa, secondo quanto è comandato in San Matteo 18, 20 (3).
Quando Nostro Signore dice: “insegnate ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”, esprime tre cose: una, che il potere d’insegnamento è di tutti gli Apostoli; due, che tale potere è funzionale alla formazione e alla condotta dei fedeli; tre, che l’elemento fondante è dato una volta per tutte e si presuppone fatto proprio dagli Apostoli: quell’elemento, e non altro: ciò che vi ho comandato.
Ed è curioso che in questo passo Nostro Signore non usi il verbo insegnare, ma comandare(tutto ciò che vi ho comandato), quasi a significare che ciò che dev’essere “osservato” dai fedeli non è il risultato dell’insegnamento “appreso” dagli Apostoli (suscettibile di essere trasmesso insieme con la possibile valenza soggettiva del trasmettitore), bensì, molto semplicemente e molto categoricamente, ciò che Egli stesso ha comandato: quello e basta, quello così com’è.

In questa ottica, le condizioni del Vaticano I non possono valere per la trasmissione della dottrina,ma solo per la funzione di “conferma” demandata a Pietro; funzione che è relativa alla deviazione o alla incomprensione dei fratelli, dei fedeli, e non alla dottrina stessa; e perché il Papa svolga questa funzione è necessario che ci sia la dottrina su cui egli possa fondare la funzione stessa; cioè è necessario che la funzione pontificia presupponga la dottrina, o che il Magistero Straordinario presupponga quello Ordinario, o che l’infallibilità pontificia presupponga l’infallibilità della dottrina, della Verità Rivelata; o, per dirla con altre parole, che l’infallibilità di diritto presupponga l’infallibilità o l’inerranza di fatto dell’insegnamento di sempre, cioè della Tradizione.

NOTE

1  - “con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.” (Papa Pio IX, Costituzione Apostolica Pastor Aeternus, 18 luglio 1870, cap. IV, definizione finale).
2  - «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
3  - «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato».
di Giovanni Servodio

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