“Era un uomo di Dio, ma non è necessario farlo santo”. È questo, in sintesi, il senso della deposizione resa dal cardinale Carlo Maria Martini al processo di canonizzazione di Papa Wojtyla. Lo riporta stamattina il Corriere della Sera, citando alcuni passaggio del libro appena pubblicato dello storico Andrea Riccardi, “La santità di papa Wojtyla”. Il libro svela il contenuto della deposizione del cardinale Martini, insieme ad altri documenti del processo di canonizzazione. Nella sua testimonianza, il cardinale non nasconde tutte le sue riserve sulla santità del Papa polacco (che sarà proclamato santo il prossimo 27 aprile, a nove anni dalla morte).
Nella sua deposizione – scrive il Corsera - Martini segnalava alcuni limiti nelle decisioni e nelle azioni di Giovanni Paolo II:
[…] non sempre “felici” le nomine e la scelta dei collaboratori, “soprattutto negli ultimi tempi”; eccessivo appoggio ai movimenti, “trascurando di fatto le Chiese locali; forse imprudente del porsi “al centro dell’attenzione – specie nei viaggi – con il risultato che la gente lo percepiva un po’ come il vescovo del mondo e ne usciva oscurato il ruolo della Chiesa locale e del vescovo”.
“Non vorrei sottolineare più di tanto la necessità della sua canonizzazione – è la fredda conclusione del cardinale – poiché mi pare che basti la testimonianza storica della sua dedizione seria alla Chiesa e al servizio delle anime”.
A questa valutazione, si aggiunge un dubbio: non avrebbe fatto meglio Wojtyla a ritirarsi un po’ prima, date le sue condizioni di salute? “Non saprei dire se abbia perseverato in questo compito anche più del dovuto, tenuto conto della sua salute. Personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po’ prima”, si legge nella deposizione dell’ex cardinale di Milano.
Detto questo, il giudizio complessivo è più che positivo: per Martini, Wojtyla era un uomo di Dio capace di grande raccoglimento, un “servitore zelante e fedele” della Chiesa, una figura capace di trascinare “le masse e soprattutto i giovani”, che non si risparmiò mai, neanche dopo l’attentato (“non si ritirò minimamente dal contatto con la folla, che pure lo esponeva a pericoli”). Un uomo, insomma, capace di grandissima “perseveranza”.
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