Siate donne feconde, una suora che non veda l’orrore dell’aborto è doppiamente sterile. E non mortificatevi con quegli orribili tailleurini, pensate al vostro Sposo
Care suore americane, siate più ambiziose per favore! Abbiate più fantasia, puntate più in alto. Smettetela di cercare di assomigliare agli uomini, rendetevi conto di quale bellezza vi è stata regalata (anzi, magari non la mortificate con i tailleurini: se dovete rifiutare l’abito, tiratevi un po’ a lucido, sennò scoprite la meraviglia di vestirvi come vuole il vostro ordine, solo per gli occhi del vostro Sposo).
Noi donne siamo diverse. Io per esempio ora sto scrivendo questo pezzo mentre parlo con quattro figli: di Curva nord (pardon, sud) all’Olimpico, del meraviglioso uso di WhatsApp per lo scambio dei compiti, e di merende e rose e ciabatte da mare e capelli tagliati con le forbici da pollo.
Nel frattempo sfoglio Edith Stein e penso alla cena. Un uomo impazzirebbe. Io mi limito a sperare che lo Spirito Santo sia generoso, e mi ispiri qualche idea decente senza costringermi a scegliere tra articolo penoso e cena moscia. D’altra parte, come dice Madeleine Delbrêl, le donne hanno una speciale amicizia con lo Spirito Santo, le donne soffiano dove vogliono, non amano la regola. Delle tre persone della Trinità il maschile è in rapporto ontico col Verbo, il femminile con lo Spirito, per parlare difficile.Noi donne siamo diverse. Io per esempio ora sto scrivendo questo pezzo mentre parlo con quattro figli: di Curva nord (pardon, sud) all’Olimpico, del meraviglioso uso di WhatsApp per lo scambio dei compiti, e di merende e rose e ciabatte da mare e capelli tagliati con le forbici da pollo.
Posso capire chi chiede che la dignità femminile non venga mortificata, ma non che le femmine vogliano essere maschi. Tanto meno se ad avere un sogno che vola così basso sono suore, che lo sguardo in alto lo dovrebbero puntare per vocazione. La donna è la nemica numero uno del serpente, lo dice la Bibbia, e ha una “particolare sensibilità per il bene e una inimicizia per ciò che è meschino e volgare, per evitare di venire travolta dalla vita istintiva”, lo dice un dottore della chiesa (Edith Stein: sono riuscita a ritrovarla la frase, nonostante il delirio casalingo), mettendo in guardia le donne dal consegnarsi totalmente alla loro emotività.
Alla donna viene affidata la vita, di tutti: Dio affida l’umanità alla donna, scrive san Giovanni Paolo II nella “Mulieris Dignitatem”, e cosa c’è di più importante della vita? Per questo spesso preferiamo non perdere troppo tempo con i consigli di amministrazione e le consulte e le commissioni e i posti poco fecondi. Noi maneggiamo il tesoro più grande, la vita. La vita biologica e la vita tout court, le persone. Non possiamo perdere tempo con le etichette, ci interessa il contenuto.
Un tempo, per secoli forse, abbiamo dovuto lottare contro la nostra inclinazione naturale a perderci nel regalarci a quelli che ci sono affidati. Oggi, però, oggi che abbiamo saldamente occupato il terreno sul quale appoggiarci per essere di sostegno ad altri, non possiamo dimenticare che l’unica cosa che ci fa veramente felici è dare la vita. La vita biologica ai nostri figli, la vita e basta, in qualsiasi modo diamo sostegno a qualcuno, soprattutto i più deboli.
Una suora può essere feconda in moltissimi modi, ma una suora che per esempio non veda l’orrore dell’aborto e lo chiami diritto è una suora doppiamente sterile, invece che essere doppiamente feconda come può esserlo una donna che non è votata solo alla sua famiglia, ma a tutti i piccoli e deboli che incontra.
E infine l’obbedienza. Una suora disobbediente, disobbediente alla chiesa come alcune delle americane, è una contraddizione in termini, è una condannata all’infelicità senza appello. Non è libera di fare ciò che vuole, perché comunque ha i vincoli del suo ordine, ma non ha la custodia dell’obbedienza, che è una garanzia di fecondità. L’obbedienza è la parola più offensiva alle orecchie dei contemporanei, che credono di potersi completamente autodeterminare (vedi teorie del gender) e pensano di essere funzionanti. Come se l’uomo non fosse fatto di fango, come se l’uomo si reggesse da solo. Noi cristiani invece pensiamo che fondamentalmente il nostro meccanismo è inceppato, che siamo stortignaccoli, bacati, fallati (trovate voi la parola che io devo andare a cucinare). E’ per questo che l’obbedienza a un Padre che ci ama alla follia – e che per i cattolici si esprime attraverso la voce della chiesa, unica garanzia che quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia – per noi non è qualcosa che costringe, non è una fregatura, non è un impedimento, ma un sostegno, e l’unica speranza che abbiamo di riuscire a funzionare meglio.
di Costanza Miriano © - FOGLIO QUOTIDIANO
http://www.ilfoglio.it/soloqui/23216
Il linguaggio “poco fiorito” del Custode della fede contro le suore è un segno di debolezza, non di autorità
Il card. Müller è lì apposta per giudicare, e ci sono tutti i temi del femminismo. Ma per queste donne l’autonomia è un bene prezioso: può la chiesa di Francesco allontanarle?
Dal cardinale Gerhard Ludwig Müller non si può certo pretendere che dica “Chi sono io per giudicare tutto questo?”. Lui è proprio l’uomo, il cardinale che può giudicare e a pieno titolo idee, comportamenti, convinzioni delle suore americane, di quella Leadership conference of women religious (Lcwr) che, da qualche tempo a questa parte, dà filo da torcere alle autorità ecclesiastiche. Chi, se non il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, ha il diritto e il dovere di dire dove i fedeli o i religiosi sbagliano e che cosa è giusto o sbagliato su temi così cruciali per la chiesa come l’aborto, la contraccezione, i matrimoni gay, la fine della vita? E ha fatto ancora bene Müller, quando, parlando alle religiose americane – che, evidentemente a suo parere, ne hanno fatta un’altra delle loro, conferendo il premio Outstanding Leadership Award a un teologa molto criticata dai vescovi Usa – ha detto che non avrebbe usato “un linguaggio fiorito”, che, anzi, sarebbe stato tagliente. A occhio e croce ho l’impressione che le suore americane non abbiano nessun bisogno di un linguaggio dolce e diplomatico e abbiano spalle abbastanza larghe da reggere le più dure critiche.
Per finire non voglio neppure scendere nel merito delle accuse e della possibilità del dissenso. La chiesa non è una istituzione democratica (non è una critica, ma un dato di fatto), e le decisioni vengono prese dall’alto, in genere da religiosi di sesso maschile (anche questo è difficilmente contestabile). Il punto, a mio parere è un altro. Quale è l’obiettivo del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, quando in modo così poco “fiorito” attacca le suore americane accusandole, ancora una volta, di non aderire alla dottrina ufficiale della chiesa, di praticare “una politica di dissenso collettivo”, di accettare al proprio interno i temi del “radicalismo femminista” e, di conseguenza, di allontanarsi “dal centro cristologico fondamentale e dal focus della consacrazione religiosa”? Nei confronti del Lcwr che raggruppa – non dimentichiamolo – l’ottanta per cento delle superiori generali statunitensi, nel 2008 è iniziata un’indagine conclusasi nel 2012 con un intervento severo e cioè con la decisione di un commissario, nella persona dell’arcivescovo di Seattle, Peter Sartain, che avrebbe dovuto vigilare sulla revisione degli statuti e sul riallineamento delle posizioni delle religiose.
L’operazione di Peter Sartain evidentemente non è riuscita se l’organizzazione ha deciso di conferire il premio proprio a una teologa, Elizabeth Johnson, autrice di un libro condannato dalla Conferenza dei vescovi americani con l’accusa “di minare completamente il Vangelo e la fede di coloro che credono in essa”. Ne era seguita nelle settimane scorse, una grande polemica. I vescovi avevano accusato la Johnson di non aver chiesto l’imprimatur, la teologa aveva replicato accusandoli di fornire un’immagine errata “della linea fondamentale di pensiero del libro” e di non aver voluto alcuna discussione nel merito. “Avrei gradito avviare un dialogo per chiarire i punti critici – aveva detto – ma non sono mai stata invitata a farlo”.
E’ evidente che il premio alla Johnson è una risposta ai vescovi americani e alla gerarchia in generale, “una provocazione” come l’ha definita Müller. Ma quella provocazione mostra almeno due cose. Le suore americane ritengono il commissariamento e gli interventi della gerarchia lesivi della loro autonomia. E questa, al di là dei contenuti, è ritenuta un bene prezioso e irrinunciabile anche da ordini religiosi femminili che non possono certo essere accusati di progressismo o di ribellione alle gerarchie.
Colpire l’autonomia delle suore americane, dimostrare di non avere alcuno strumento se non il controllo o il commissariamento può essere ritenuto sbagliato anche da molte altre realtà che non condividono le posizioni del Lcwr . La “provocazione” dimostra, inoltre che le forme di controllo, di commissariamento non raggiungono alcun risultato, o, se mai, raggiungono quello negativo di radicalizzare le posizioni e di condurle su un terreno che per la chiesa può essere imbarazzante. Né i vescovi americani, né il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede possono fare nei confronti delle suore americane molto altro se non quello che hanno fatto. Il passo successivo è l’accusa di eresia e quindi la loro espulsione dalla chiesa. Ma è possibile e credibile? Oggi la chiesa si regge sul lavoro e l’impegno delle religiose che sono oltre i due terzi. Svolgono un lavoro silenzioso, evitano il protagonismo e come si sa, hanno uno scarso potere, ma di loro non si può fare a meno. Sarebbe ben strano che la chiesa di Francesco allontanasse una parte di sé tanto preziosa e non trovasse nessun altro modo per discutere e convincere. Non so perché ma ho l’impressione che oggi le suore americane siano molto forti e che al potente Müller rimane poco oltre che l’uso di un linguaggio tagliente.
Per finire non voglio neppure scendere nel merito delle accuse e della possibilità del dissenso. La chiesa non è una istituzione democratica (non è una critica, ma un dato di fatto), e le decisioni vengono prese dall’alto, in genere da religiosi di sesso maschile (anche questo è difficilmente contestabile). Il punto, a mio parere è un altro. Quale è l’obiettivo del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, quando in modo così poco “fiorito” attacca le suore americane accusandole, ancora una volta, di non aderire alla dottrina ufficiale della chiesa, di praticare “una politica di dissenso collettivo”, di accettare al proprio interno i temi del “radicalismo femminista” e, di conseguenza, di allontanarsi “dal centro cristologico fondamentale e dal focus della consacrazione religiosa”? Nei confronti del Lcwr che raggruppa – non dimentichiamolo – l’ottanta per cento delle superiori generali statunitensi, nel 2008 è iniziata un’indagine conclusasi nel 2012 con un intervento severo e cioè con la decisione di un commissario, nella persona dell’arcivescovo di Seattle, Peter Sartain, che avrebbe dovuto vigilare sulla revisione degli statuti e sul riallineamento delle posizioni delle religiose.
L’operazione di Peter Sartain evidentemente non è riuscita se l’organizzazione ha deciso di conferire il premio proprio a una teologa, Elizabeth Johnson, autrice di un libro condannato dalla Conferenza dei vescovi americani con l’accusa “di minare completamente il Vangelo e la fede di coloro che credono in essa”. Ne era seguita nelle settimane scorse, una grande polemica. I vescovi avevano accusato la Johnson di non aver chiesto l’imprimatur, la teologa aveva replicato accusandoli di fornire un’immagine errata “della linea fondamentale di pensiero del libro” e di non aver voluto alcuna discussione nel merito. “Avrei gradito avviare un dialogo per chiarire i punti critici – aveva detto – ma non sono mai stata invitata a farlo”.
E’ evidente che il premio alla Johnson è una risposta ai vescovi americani e alla gerarchia in generale, “una provocazione” come l’ha definita Müller. Ma quella provocazione mostra almeno due cose. Le suore americane ritengono il commissariamento e gli interventi della gerarchia lesivi della loro autonomia. E questa, al di là dei contenuti, è ritenuta un bene prezioso e irrinunciabile anche da ordini religiosi femminili che non possono certo essere accusati di progressismo o di ribellione alle gerarchie.
Colpire l’autonomia delle suore americane, dimostrare di non avere alcuno strumento se non il controllo o il commissariamento può essere ritenuto sbagliato anche da molte altre realtà che non condividono le posizioni del Lcwr . La “provocazione” dimostra, inoltre che le forme di controllo, di commissariamento non raggiungono alcun risultato, o, se mai, raggiungono quello negativo di radicalizzare le posizioni e di condurle su un terreno che per la chiesa può essere imbarazzante. Né i vescovi americani, né il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede possono fare nei confronti delle suore americane molto altro se non quello che hanno fatto. Il passo successivo è l’accusa di eresia e quindi la loro espulsione dalla chiesa. Ma è possibile e credibile? Oggi la chiesa si regge sul lavoro e l’impegno delle religiose che sono oltre i due terzi. Svolgono un lavoro silenzioso, evitano il protagonismo e come si sa, hanno uno scarso potere, ma di loro non si può fare a meno. Sarebbe ben strano che la chiesa di Francesco allontanasse una parte di sé tanto preziosa e non trovasse nessun altro modo per discutere e convincere. Non so perché ma ho l’impressione che oggi le suore americane siano molto forti e che al potente Müller rimane poco oltre che l’uso di un linguaggio tagliente.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Ritanna Armeni
"Sarebbe ben strano che la chiesa di Francesco allontanasse una parte di sé tanto preziosa e non trovasse nessun altro modo per discutere e convincere. "
RispondiEliminaE' strano che la Chiesa abbia tollerato per tanto tempo che delle suore eretiche la distruggessero dall'interno. Qualunque sia il prezzo di una loro espulsione, il prezzo di continuare a consentire loro di diffondere le loro dottrine eretiche , come la tolleranza dell'aborto, sarebbe molto più alto.
Meglio tardi che mai.