ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 27 maggio 2014

Permanenza del papato, permanenza della Chiesa

Tutti coloro che sanno che il Concilio contiene veri e propri errori contro la dottrina già definita, conoscono di certo il problema dell’origine del potere di giurisdizione nella Chiesa. La Chiesa cattolica è una società giuridicamente perfetta, fondata da Gesù Cristo, e come ogni società deve avere un’autorità in grado di governarla.

L’autorità è la causa formale di una società, cioè la definisce. Più precisamente il tipo di autorità, con le relazioni che essa causa tra sé e i membri, fa sì che una data società sia se stessa. Nella Chiesa militante, l’autorità invisibile di Gesù Cristo, che è l’unico Capo della Chiesa e fonte di ogni altro potere in cielo e in terra, è da Lui delegata direttamente a una sola persona, il suo Vicario in terra, Successore dell’Apostolo Pietro, il Vescovo di Roma.

Abbiamo più volte spiegato come Lumen gentium contraddica questo dogma, definito dal Vaticano I, sostenendo che anche il potere di governo dei Vescovi (e del “collegio episcopale” su tutta la Chiesa) verrebbe direttamente da Gesù Cristo, distruggendo così il concetto stesso della Monarchia pontificia. Il termine monarchia applicato al papato indica infatti che l’unica persona in assoluto a ricevere il potere di governo direttamente dal Cristo è il Papa, mentre chiunque altro lo riceverà in maniera mediata (seppure in molte forme diverse) dal Papa (ex Petro), a partire dal Vescovo residenziale che governerà stabilmente una diocesi, fino al Sacerdote eretico che deve ricevere giurisdizione per modum actus per ascoltare la confessione di un morente, a norma della legge ecclesiastica. Importante è notare, a questo riguardo, che solo i Vescovi diocesani ricoprono una carica istituita da Dio, ma il loro potere, per quanto ordinario, è ricevuto dal Papa e a lui subordinato. Niente si apre o si chiude senza che quelle Chiavi siano all’origine.

Nell’attuale situazione della Chiesa si è spesso posto il problema del ruolo dell’Autorità, e particolarmente della possibilità per l’Autorità suprema di cadere nell’errore se non nell’eresia. Alcuni hanno voluto rifarsi a tesi di antichi teologi che ritenevano che un Papa che si manifestasse come eretico decadrebbe immediatamente dalla sua carica, o non potrebbe essere stato validamente eletto se eretico già in precedenza.

Tesi queste che vantano il sostegno di grandi e importanti teologi, e perfino alcuni santi Dottori (sull’uso più o meno appropriato di una famosa bolla di Paolo IV scriveremo un’altra volta)[1]. Tesi certamente di grande interesse, ma tesi che per l’epoca erano puramente accademiche, mai verificate in fatti concreti; si dovrebbero piuttosto dire ipotesi di un quadro di figura apparentemente irrealizzabile. Un quadro di figura, quello elaborato dai teologi del passato, che differisce dal presente in un elemento essenziale: nelle tesi dei teologi antichi era il Papa da solo a cadere nell’eresia, mentre il corpo episcopale, restando più o meno sano, garantiva il perpetuarsi dell’esistenza della Chiesa, esattamente come avviene alla morte del Papa; secondo i sedevacantismi attuali, non è solo la Sede di Pietro a essere vacante, ma tutte le sedi episcopali contemporaneamente. Chi vuole applicare queste tesi alla situazione attuale dovrebbe quindi sempre ricordare che non sta presentando una Chiesa “senza Papa” (cosa che avviene regolarmente nel periodo di conclave), ma una Chiesa senza alcuna gerarchia sulla terra, senza episcopato residenziale, quindi senza presenza di giurisdizione ordinaria.

In questo senso non è indifferente quanto a lungo la Sede Apostolica rimanga vacante: c’è un tempo limite, ed è la permanenza di altri individui aventi giurisdizione ordinaria, ricevuta dal Papa precedente, e che mantengono dopo la di lui morte[2]. Se la giurisdizione ordinaria scomparisse del tutto da individui viventi sulla terra, come sarebbe oggi secondo certe tesi, non esisterebbe –come è logico- nemmeno quella straordinariamente delegata: perché essa è delegata da qualcuno, a norma del diritto, non dalla “Chiesa” astrattamente intesa. Il diritto canonico certo usa l’espressione supplet Ecclesia, ma teologicamente e metafisicamente la giurisdizione sta negli uomini che l’hanno ricevuta dal Papa (o, solo per il Papa, dal Cristo), non vaga nell’aria in attesa che qualcuno la colga.

Facciamo un esempio: il sacerdote che non ha ordinariamente potere di giurisdizione, come può essere il sacerdote della FSSPX, o anche un sacerdote scomunicato o eretico, o uno che non ha cura d’anime, si trova di fronte a un moribondo (oppure si trova in una situazione di grave necessità generale, come è l’attuale, e una persona gli chiede di confessarsi[3]). Quegli potrà assolverlo ricevendo per quell’atto giurisdizione, a norma del diritto canonico e divino; egli attingerà, teologicamente parlando, questo potere da qualcuno che lo possiede abitualmente, che sia il Vescovo residenziale o il Papa. Il legislatore ecclesiastico, basandosi sulla suprema legge divina della salus animarum, ha previsto questo caso e ha disposto di concedere tale delega “automatica”, che nessun prelato può negare, essendo il potere dato per il bene (e negarlo in tali casi sarebbe del tutto irrazionale e contrario al diritto divino).

Ora, venendo a mancare non solo il Papa ma anche qualsiasi Vescovo residenziale, ci si dovrebbe chiedere da chi un sacerdote possa ricevere giurisdizione anche solo per ascoltare la confessione di un moribondo. Il problema non è dunque se in certe situazioni il potere possa essere delegato in forme straordinarie (il che è del tutto pacifico), ma da chi. Se si risponde che lo si può ricevere direttamente da Gesù Cristo, si deve tener conto che si sta introducendo un’eccezione al principio per cui ogni giurisdizione sulla terra deriva dal Papa, il quale è il solo a ricevere il potere dal Cristo stesso: si sta cioè minando il principio della Monarchia papale, che a parole si vorrebbe tanto difendere; si sta commettendo un errore analogo a quello di Lumen Gentium, e si sta in fin dei conti annullando la necessità del Papato stesso (e infatti si arriva a dire che la Chiesa possa esistere per decenni, anzi indefinitivamente, senza Papa). Quindi dalla lodevole intenzione di difendere il Papato si arriva a considerarlo, di fatto, del tutto superfluo per la vita e l’esistenza quotidiana della Chiesa. L’esempio estremo della confessione del moribondo fa capire come nella Chiesa non si può far nulla senza Papato, a maggior ragione se si annulla anche ogni potere causato da quello del Papa e che potrebbe perdurare alla di lui morte (pur avendo sempre il Pontefice stesso come origine), cioè sostanzialmente quello dei Vescovi residenziali. Una famosa tesi sedevacantista ha pensato ovviare in parte a tali problemi con la distinzione materiale/formale: questa distinzione ci direbbe (non senza diverse contraddizioni) in che modo il potere di giurisdizione potrebbe tornare nella Chiesa un domani, ma –come ogni altro sedevacantismo- non dà alcuna spiegazione su come oggi la Chiesa possa esistere senza alcuna gerarchia in terra.

Evidentemente dunque la soluzione di alcuni degli antichi teologi sul Papa eretico non si attaglia alla nostra situazione, o dovremmo ammettere non solo l’impossibilità di confessarci, ma addirittura la cessazione della Chiesa cattolica, almeno come società nella forma(nel senso filosofico del termine) che i dogmi hanno definito.

Appare chiaro che, parlando in termini teologici e non semplicemente giuridici, il rapporto tra professione dell’eresia e possesso del potere di giurisdizione non è di totale incompatibilità metafisica. Non stiamo a discutere ora sul momento in cui l’eretico può considerarsi fuori dalla Chiesa: perché è ammesso dal diritto stesso che persone fuori dalla Chiesa possano ricevere giurisdizione, come si è detto nell’esempio del prete eretico che può confessare in caso di necessità. Se l’incompatibilità fosse metafisica, la Chiesa non potrebbe nemmeno in quel caso, nemmeno per un momento concedere giurisdizione a tali soggetti. Questo caso banale dimostra che la Chiesa ammette che nello stesso soggetto professione dell’eresia e possesso della giurisdizione possano coesistere. Ciò dimostra quindi che non è assolutamente certo che, senza una sentenza o un intervento del diritto positivo (che non si applicherebbe al Papa), una persona eretica perda immediatamente il suo potere.

Ammesso dunque che i Papi (e i Vescovi residenziali) post-conciliari debbano rimanere tali, (visto che non si può spiegare come possa la Chiesa continuare senza tale struttura)- e una volta compreso che l’eresia non fa necessariamente perdere la giurisdizione, ci si dovrà chiedere come sia possibile che l’errore venga divulgato dalle stesse autorità della Chiesa.

Senza troppo dilungarci, dobbiamo qui ricordare che per trovare una migliore soluzione basterebbe semplicemente spostare il problema dal possesso dell’infallibilità al suo uso[4]. Se non si può negare il possesso del potere all’attuale gerarchia senza annientare la Chiesa cattolica e un certo numero di dogmi, si può invece discutere sull’uso che essi fanno di questo potere, o meglio sul non-uso del medesimo, come più volte si è detto. Spiegazione molto più credibile e che non presenta i gravi inconvenienti dell’altra tesi, che non tocca il potere del Papa e non getta su Dio la responsabilità: Dio infatti continua a provvedere il potere necessario a insegnare e governare, ma gli uomini non ne fanno (buon) uso. L’importante è non vedere il potere come una sorta di provvidenza mistica che preserva il Papa dal portare la Chiesa allo sbando: è un potere, specie quello dell’infallibilità in docendo, che si deve riscontrare in atti precisi che il Papa può avere il dovere di compiere, come condannare un errore o definire una dottrina, e che può non compiere per negligenza o addirittura cattiva volontà, se non complicità con i nemici della Chiesa.

Evidentemente oggi ostacoli enormi sono messi a chi vuole conoscere qual è veramente la dottrina della Chiesa, senza che questo possa diventare mai del tutto impossibile. Ciò rimane ragionevole e non violenta in nessun modo l’esistenza o la costituzione della Chiesa; il fatto che le autorità della Chiesa mettano in atto un inganno a danno dei fedeli, senza però poterlo fare usando il potere di insegnare in modo formale, non va contro nessun dogma o promessa di Gesù Cristo (a meno che, come dicevamo, si abbia dell’assistenza divina al Papato e alla Chiesa una visione estremamente romantica, generica, vaga).

Si obietterà ancora che apparentemente oggi certe dottrine erronee vengono fatte passare come dottrine della Chiesa, e cioè che Dio permetterebbe l’inganno di molte anime. Tale problema resta e anzi aumenta spaventosamente di volume se si pensa di risolverlo dicendo che un non-Papa si fa passare come Papa: l’inganno rimarrebbe e sarebbe anzi ancora più fondamentale, perché non toccherebbe solo gli atti ma la qualità della persona che li pone.

Per quanto grave sia la crisi nella Chiesa, essa non potrà mai intaccare elementi essenziali della medesima, anche se arrivasse a “stirare” all’estremo le sue prerogative: ci sarà sempre un potere di governo proveniente dal Cristo solo tramite il Papa, per quanto possa essere usato male (non esistono promesse del Cristo sul buon uso di tale potere); ci sarà sempre accesso alle dottrine definite nel passato, per quanto difficile possa essere, e sempre il potere di condannare infallibilmente nuovi errori, anche qualora per negligenza o complicità –e quindi per colpa dell’uomo- non venisse usato (come è potuto capitare anche ai Papi del passato; certamente l’infallibilità nell’insegnamento non può, per definizione, essere usata male: ma può non essere utilizzata, come un dono messo da parte). Non serve, d’altro canto, pretendere a un’assistenza più estesa e misteriosa, che non sta nei dogmi, per giustificare ogni atto anche non formalmente magisteriale dei Papi recenti o di un Concilio che non si è voluto infallibile (e che di fatto ha fallito). L’infallibilità tocca degli atti precisi, come barriera negativa all’errore, e non va confusa con la Provvidenza: quest’ultima tra l’altro non garantisce che tutto andrà sempre bene, ma che anche il male che Dio può permettere nella Chiesa sfocerà nel bene.

Sarà dunque lecito leggere gli atti non magisteriali dei Papi, anche se pubblici, alla lente del Magistero di sempre (nel vero senso del termine) e rifiutarne e denunciarne gli errori; sarà lecito disobbedire a comandi singolari che vanno contro la fede o la morale, anche se fatti con abuso di autorità, secondo l’insegnamento di tutti i teologi, perché per questi non vi è alcuna particolare garanzia di infallibilità.

In ultima battuta, c’è chi ha voluto giustificare il preteso sconvolgimento della costituzione della Chiesa facendo appello agli ultimi tempi. Per quanto calamitosi dovranno essere gli ultimi tempi, sarebbe una sorta di pseudo-gioachimismo pessimista l’immaginare che vi possa essere allora una Chiesa con una costituzione diversa da quella data da Gesù Cristo. La Chiesa con la sua gerarchia e i suoi sacramenti e gli altri elementi essenziali resterà tale e quale fino all’apparire del Cristo, non fino a un minuto o qualche anno prima di questo evento: perché è questa l’ultima economia di salvezza concessa da Dio agli uomini. Fino all’ultimo giorno si otterrà la remissione dei peccati nella confessione tramite un potere che in ultima analisi risalirà sempre al Papa, mai a un intervento diretto del Cristo. Questo è il senso più profondo di quella sottomissione al Papa, necessaria alla salvezza di tutte le creature secondo la bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII; e essenzialmente questo resta vero e garantito anche oggi, anche quando il Papa dà scandalo a tutta la Chiesa con le sue dottrine personali, perché l’Istituzione deve poter permanere nella sua essenza nonostante la malizia degli uomini: perché colpevoli sono gli uomini che non usano i doni di Dio, ma non Dio stesso, che rimane fedele alle Sue promesse.

di don Mauro Tranquillo


Fonte: la Tradizione Cattolica n° 1 - 2014

[1] La bolla Cum ex apostolatus altro non è che una lex inhabilitans, cioè rende incapace (anche retroattivamente) di qualsiasi carica civile ed ecclesiastica e di elettorato attivo e passivo chiunque sia stato in vita condannato per eresia. I termini canonici sono molto chiari: non si parla di eretici genericamente ma si usano tre verbi che indicano tre modalità di avvenuta condanna giuridica e pubblica: per flagranza di delitto (deprehendentur); per confessione del reo (confitebuntur); per processo con discussione del caso e prova dell’eresia (convincentur). La storia stessa della bolla lo dimostra: il Papa avrebbe voluto inabilitare chiunque fosse stato anche solo accusato di eresia, ma dovette desistere per l’opposizione (alquanto logica) del Sacro Collegio. Cf. Pastor, Storia dei Papi, vol. VI.


[2] Se e come la giurisdizione delegata dal Papa (per diritto ecclesiastico) ad altri prelati che i Vescovi residenziali permanga e in quale misura, è problema canonico-teologico che non cambia in nulla la sostanza del nostro discorso; quindi non menzioniamo la problematica qui.


[3] Diamo per noto il dogma che richiede al sacerdote che deve confessare non solo il potere d’Ordine, ma anche la giurisdizione su colui che confessa. La confessione è in effetti un vero giudizio, che richiede un’autorità di governo sul penitente. Se il potere dell’Ordine sacerdotale conferisce radicalmente il potere di confessare, la giurisdizione sul penitente è necessaria come condizione alla validità del sacramento. I parroci o altri sacerdoti in cura d’anime ricevono stabilmente questo potere; tutti i sacerdoti, anche eretici o scomunicati, lo ricevono ad casum per confessare i moribondi o nella grave necessità generale.


[4] Non ci dilunghiamo perché lo spunto è già stato trattato in numerosi articoli su questa rivista e altrove.

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