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mercoledì 28 maggio 2014

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Pietro e il risiko dei patriarchi


Il Papa pronto a cedere quote del primato petrino, Mosca non sente

Si rivolgeva a Bartolomeo, Francesco, quando domenica sera nella penombra della basilica del Santo Sepolcro riconosceva che “resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa mensa eucaristica”. Ma lo sguardo, più che a Costantinopoli, era rivolto a Mosca, la grande assente alla celebrazione ecumenica di Gerusalemme e la più decisa a negare qualunque forma di primato alla chiesa di Roma. Fin dalle prime settimane di pontificato, il Papa ha inserito tra le priorità della propria agenda il recupero dei rapporti con la Russia ortodossa, l’ostacolo più alto per ritrovare la piena comunione. Così, la dichiarazione congiunta con Bartolomeo I sottoscritta l’altra sera assume i contorni di un “nuovo, necessario passo sul cammino verso l’unità alla quale soltanto lo Spirito Santo può guidarci: quella della comunione nella legittima diversità”. Niente di più, se non l’impegno a riprendere il filo della discussione teologica tra cattolici e ortodossi, ferma al Documento di Ravenna del 2007 sulla comunione ecclesiale, la conciliarità e l’autorità che riconosce al Pontefice un ruolo di primus inter pares tra i patriarchi cristiani. Soluzione neppure presa in considerazione, però, dal Patriarca Kirill, che rifiuta di discutere anche la concessione di un primato meramente onorifico al vescovo di Roma.

Gli approcci con Mosca negli ultimi mesi sono stati costanti, più volte s’è visto a Roma il metropolita Hilarion, presidente del dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato, e recente è anche un viaggio del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in Russia. Si lavora sottotraccia, i dossier teologici sono aperti al confronto, benché la questione fondamentale che impedisce l’abbraccio sia una soltanto: il primato petrino. L’ha spiegato bene il cardinale Walter Kasper, in un’intervista concessa a Tv2000: il cammino è ancora lungo, non c’è una chiusura. Lo stesso Kirill, salutando l’elezione di Francesco, aveva detto di apprezzare “l’alto livello di comprensione e l’impegno da entrambe le parti nel rafforzamento della collaborazione ortodosso-cattolica”.
Ma il ruolo del romano Pontefice è argomento su cui Mosca non è disposta a trattare. Francesco lo sa bene, è consapevole che non basta citare sant’Ignazio d’Antiochia e definirsi vescovo della chiesa che “presiede nella carità tutte le altre chiese del mondo” per sanare una ferita che sanguina da un millennio. Anzi, proprio quel passaggio di Ignazio d’Antiochia sulla “presidenza nella carità” ha rappresentato uno dei punti di frizione che portarono Mosca a rifiutare il Documento di Ravenna del 2007 preparato dalla speciale commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la chiesa cattolica romana e la chiesa ortodossa che tornerà a riunirsi il prossimo settembre in Serbia. E’ anche per questo che nel discorso tenuto domenica davanti a Bartolomeo ha chiarito che il suo auspicio è quello di “mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra a una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti”. Il rimando è all’enciclica giovanpaolina Ut unum sint, il cui incipit è stato preso tra l’altro come motto dell’intero viaggio in Terra Santa. “Certo – ha detto il Papa – non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi” e “questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma”. E mentre lo diceva, guardava Teofilo III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, da un mese non più in comunione con le altre chiese ortodosse per volontà del patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Giovanni X, che si è anche rifiutato di sottoscrivere la proposta di Bartolomeo di convocare nel 2016 il grande concilio panortodosso. Il Papa chiede a tutti uno sforzo, ricordando che più che le risse per dividersi gli orari delle funzioni nel Santo Sepolcro, bisognerebbe pensare a quell’“ecumenismo del sangue, della sofferenza” che si realizza quando i cristiani tutti si trovano a offrire gli uni accanto agli altri. “Quelli che per odio alla fede uccidono e perseguitano i cristiani, non domandano loro se sono ortodossi o cattolici”.
Twitter @matteomatzuzzi

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BERGOGLIO NON ESCLUDE CHE POSSANO ESSERCI ALTRI PAPI EMERITI - PROTESTE DEI FEDELI CHE TEMONO IL CAMBIAMENTO - CON UN CONCILIO DI PAPI IN PENSIONE SI RISCHIA LA PERDITA DELL'AUTORITÀ DEL CAPO DELLA CHIESA

Le parole del Papa "Penso che Benedetto XVI non sia stato un caso unico". Il giorno dopo padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, commenta i molti argomenti toccati da Francesco, soprattutto la sua vera e propria invettiva contro la pedofilia, annunciando che il Papa la prossima settimana incontrerà e terrà una messa con alcune vittime di pedofilia in Vaticano...

Caterina Maniaci per "Libero"
Papa Francesco ipotizza di seguire le orme del predecessore Benedetto XVI e di lasciare il pontificato, se sentirà di non avere più le forze necessarie. Parole che riaprono il grande dibattito sulla delicata questione, di cui già c'erano state avvisaglie nei mesi scorsi. Solo che adesso lo afferma lo stesso Pontefice, dunque non si tratta più di ipotesi o illazioni, anche legate alla salute di Francesco.
papa Francesco saluta la folla a BetlemmePAPA FRANCESCO SALUTA LA FOLLA A BETLEMME
Le parole del Papa, durante il colloquio con i giornalisti a bordo dell'aereo di ritorno dalla Terra Santa, sono state chiare, come ben dimostra l'affermazione: «Penso che Benedetto XVI non sia stato un caso unico». Il giorno dopo padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, commenta i molti argomenti toccati da Francesco in quel colloquio, soprattutto la sua vera e propria invettiva contro la pedofilia, annunciando che il Papa la prossima settimana incontrerà e terrà una messa con alcune vittime di pedofilia in Vaticano, come annuncia una nota dell'ufficio del cardinale di Boston Sean Ò Malley, organizzatore dell'appuntamento, ma non si sofferma sul tema delle dimissioni, lasciando intendere che si tratta di una riflessione personale del Papa.
Però si tratta di un tema dalle implicazioni profonde e sul quale non esiste una posizione unitaria, nel mondo cattolico, sia da parte delle gerarchie che nello stesso «popolo» dei fedeli. Si ricorderà lo sgomento provato nel febbraio del 2013 all'annuncio storico di papa Benedetto XVI. Si temette il peggio -spaccatura della Chiesa, addirittura lo scisma e l'inizio della fine per la cattolicità. Poi è arrivato Francesco, il rapporto con il suo predecessore si è rivelato ottimo e senza alcuna sovrapposizione, smentendo anche in questo caso le più fosche previsioni.
Papa Francesco saluta a BetlemmePAPA FRANCESCO SALUTA A BETLEMME
Ma se la pratica delle dimissioni papali dovesse diventare comune quali ripercussioni ci potrebbero essere sull'istituzione della Chiesa? Una serie di Pontefici emeriti potrebbe rappresentare un fattore destabilizzante? Potrebbe non essere così facile mantenere rapporti lineari tra di loro e il Pontefice regnante. E gli scenari diventare sempre più inquietanti.
Per contro si sta diffondendo l'idea che il papato possa diventare un'istituzione «aggiornata » al nostro tempo. Un Pontefice ha il diritto e il dovere di lasciare il mandato nel momento in cui riconosce onestamente di non essere più in grado di sostenere il grave peso del soglio di Pietro. Non ci si può permettere di avere un capo della Chiesa troppo malato e troppo anziano davanti alle sfide epocali che lo attendono.Di qui il passo è breve al concetto di collegialità del ministero petrino, è l'opinione contrastante, ossia all'idea del primato di Pietro ridotto ad una collegialità tra vescovi in cui diventerebbe «primus inter pares ».
Il Papa eletto come un presidente, tanto per banalizzare, e con scadenza. Questo minerebbe definitivamente l'assetto stesso della Chiesa,distruggendo il senso del papato e la struttura fortemente gerarchizzata dell'istituzione, dando corpo a quel processo di «protestantizzazione del cattolicesimo» già avvertito decenni fa.
SEAN PATRICK O MALLEYSEAN PATRICK O MALLEY
Ne parlò proprio l'allora cardinal Joseph Ratzinger: «Chi oggi parla di "protestantizzazione" della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa,un'altra visione del rapporto fra Chiesa e Vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista »,come si legge in Rapporto sulla Fede , il libro-intervista di Vittorio Messori e Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, pubblicato nel 1984. Senza arrivare a questi estremi, i sostenitori della maggiore collegialità dei vescovi hanno fatto sentire la propria voce in maniera sempre più pressante.
JOSEPH RATZINGER E GIOVANNI PAOLO II jpegJOSEPH RATZINGER E GIOVANNI PAOLO II JPEG
Una grande personalità schierata in tal senso era il cardinale Carlo Maria Martini. In un'intervista al mensile Jesus nell'ottobre 2000 dichiarava: «La Chiesa ha necessità di una guida più collegiale, con un coinvolgimento maggiore nelle decisioni più importanti dei vescovi di tutto il mondo in accordo con il Papa». E il papato a scadenza, alla fine, secondo i detrattori di questa soluzione, metterebbe in serio dubbio il fatto che a intervenire nel Conclave nella scelta del futuro Pontefice agisce lo Spirito Santo.
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Cardinal MartiniCARDINAL MARTINI

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