Il Padrino. Ultimo atto?
È proprio necessario avere un padrino?
Ragioni, degenerazioni, fallimento e inutilità di un istituto canonico del tutto svuotato di senso: i padrini. Passati dall’essere “garanti” della fede di cresimandi e battezzati, a profanatori di chiese e dissacratori di sacramenti. E spesso protagonisti di vere e proprie ritorsioni violente contro parroci e vescovi che volessero preservare una parvenza di decenza davanti ai sacramenti, o semplicemente il codice di diritto canonico. Che sia arrivata l’ora di abolire queste figure diventate un incentivo paradossale di “mondanità spirituale” – nonché di consumismo e fonte di pubblici scandali – dentro le chiese? Divorziati risposati, atei, pubblici peccatori, omosessualisti, anticlericali, massoni, anticattolici, buddisti persino e padrini di cresimandi non cresimati essi stessi: tutti pretendono di salire e scendere a prescindere dagli altari, come padrini (e spesso ahinoi “testimoni” di nozze). Ma cosa “testimoniano” questi? Che un ufficio cattolico segno di pietà e umiltà è diventato un “diritto”? Siamo andati a chiederlo a un canonista, Che … senza peli sulla lingua … spiega come stanno veramente le cose. E come dovrebbero.
..
di d. Marco Scandelli
Con l’arrivo della primavera, non
solo la natura riprende vita e forma, ma anche molti di coloro che si
definiscono “credenti”, salvo poi ricordarsi a mala pena il “Padre
nostro”, si risvegliano dal letargo della loro fede e si dirigono con
sguardo fiero, rivendicando presunti “diritti”, verso le canoniche delle
parrocchie italiane, in cui ad accoglierli benevolmente trovano spesso
sacerdoti che hanno l’unica colpa di mettere in pratica ciò che la
Chiesa ha chiesto loro di fare.
Sto parlando del fenomeno di coloro che reclamano il diritto soggettivo di essere “padrini” – di Battesimo o di Cresima poco importa – costi quel che costi.
Da un punto di vista canonico, non
c’è nulla da fare. Il Codice parla chiaro al can. 874. Per essere
ammesso all’incarico di padrino/madrina sono necessari nove requisiti:
1. Sia designato da colui che deve ricevere il Sacramento, o da chi ne
fa le veci o ancora dal sacerdote. 2. Abbia intenzione di esercitare
tale incarico. 3. Abbia compiuto i 16 anni. 4. Sia cattolico. 5. Sia
cresimato. 6. Abbia fatto la “prima comunione”. 7. Conduca una vita
conforme alla fede e all’incarico che assume. 8. Non sia irretito da
pena canonica inflitta o dichiarata. 9. Non sia il genitore.
È lasciata discrezionalità innanzitutto sul terzo punto,
relativo all’età, poiché essendo una prescrizione di diritto positivo –
naturalmente, infatti, si richiede solo che la persona abbia una certa
maturità confacente all’incarico – può essere modificata dal Vescovo
diocesano o addirittura dispensata “per giusta causa” ad casum.
Un’altra eccezione è ammessa per il n. 4: infatti, il Direttorio ecumenico afferma
che è consentito per un valido motivo “ammettere un fedele orientale
con il ruolo di padrino congiuntamente a un padrino (o madrina)
cattolico”, e ciò “in forza della stretta comunione esistente tra la
Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse”.
Infine, storicamente – con legittimità – è
avvenuto il caso, contro il n. 9, in cui un padre o una madre chiedesse
e ottenesse di fare da padrino/madrina del proprio figlio. Si tratta di
una prassi che per un certo periodo si è diffusa in più luoghi nella
Chiesa. Di per sé, dunque, è stato possibile che un genitore facesse
anche da padrino. La Chiesa, però, cercando di riflettere maggiormente
sulla figura normata dal can. 874 ha ritenuto che sia necessario evitare
il declino di una tradizione importante che vede nel padrino una figura
educativa di riferimento accanto a quella dei genitori. “Accanto”,
appunto. Altra cosa!
Ma per gli altri punti il discorso è diverso:
non si tratta di un capriccio o di una interpretazione sbagliata del
canone, come qualcuno a volte accusa, ma è in gioco la stessa natura
della figura del padrino.
Ristoranti, bel tempo e il “padrino irregolare”
Non è un caso che la maggior parte delle Cresime e
dei Battesimi avvenga nella “bella stagione”, complice anche la
celebrazione della Pasqua intorno all’equinozio di primavera. Infatti,
in un paese di antica tradizione cristiana come l’Italia, in cui però di
cristiano spesso non vi è più nemmeno lo scudo crociato, in molti
rivendicano il diritto di
ricevere i Sacramenti dell’iniziazione cristiana quando c’è bel tempo,
perché si possano così fare foto artistiche per riempire gli album di
famiglia (e facebook) ed avere la possibilità di fare rinfreschi o
pranzi nelle ville più gettonate per decorazioni floreali e ambienti
mozzafiato. Il problema principale dei genitori – normalmente capi
cerimonieri di queste giornate in cui la liturgia cattolica serve solo
come contorno socialmente apprezzato ed esigito – è quello di dare una
forma perfetta alla giornata, poco importando quale sia lo spirito con
il quale essa sarà vissuta.
Sto generalizzando. E mi scuso per questo. Ma l’iperbole ha un suo perché.
Pensiamo per esempio alla Cresima:
le lezioni di catechismo in preparazione del Sacramento, infatti, sono
spesso concepite come un respiro di sollievo durante il quale si può
parcheggiare il proprio (unico) figlio per un’ora in un’aula semi
grigia. Altrimenti non si saprebbe come fare per andare al supermercato.
E poi pare anche che senza una presenza costante, il rischio sia quello
di essere additati come coloro che “non sono stati ammessi”. Tant’è
vero che la percentuale di bambini che frequentano la Messa domenicale
scende in picchiata rispetto a quelli che partecipano alla “dottrina”.
Alla Messa non prendono la presenza. Al catechismo sì: come se fosse più
importante la spiegazione delle verità di fede, piuttosto che la
possibilità di viverle nell’Eucaristia.
Sempre di più, poi – almeno da quando il
divorzio in Italia è stato legalizzato – avviene che non si riesca a
trovare un ruolo agli zii, ai cugini di primo-secondo-terzo grado, ai
vicini di casa, alla badante del nonno e pure ai portinai del palazzo
accanto che, non si capisce bene perché, ma sono sempre gli “irregolari”
di fronte alla Chiesa. Ma a tutti i costi “devono fare da padrino”.
È interessante notare che, pur essendo i
divorziati meno di tre milioni, in ogni parrocchia della penisola
italica capita immancabilmente almeno un caso del “parente irregolare”
che: “Mi scusi, signor parroco, ma questa persona potrebbe fare da
padrino?”. La risposta è immancabilmente sempre la stessa. Ma ogni anno
qualcuno ci prova. Tanto che si registrano casi di gente che, pensando
di essere più furba e intelligente, fa carte false e riesce a fare da
padrino anche più volte, chiedendosi poi (ci è o ci fa?): “Sono
divorziato-risposato civilmente e ho fatto da padrino a cinque
battesimi. È ingiusto che gli altri non possano farlo. Ma la legge non è
uguale per tutti?”. Già, la legge richiamata da chi ha fatto di tutto
per non rispettarla!
Hitler sì! Io no!
Capita poi, come sempre, il giustizialista,
quello che “l’altro è più peccatore di me”: quello che portando come
esempio la condotta di Adolf Hitler, spera di passare per l’agnellino
immacolato, magari accomodando la Legge di Dio per sentirsi a posto con
la coscienza. Buttando tutta la polvere della stanza sotto il letto, in
fondo, spera che Dio non la veda più. Soprattutto non la veda il
ministro di Dio! Si tratta dei casi in cui la pertinace arroganza del
peccatore incallito si sfoga con rabbia contro il malcapitato sacerdote,
dicendo che naturalmente “io sono cattolico impegnato”.
Senza voler entrare nel merito di che cosa
significhi “cattolico impegnato”, la confessione che queste persone
tentano di strappare ai preti è: “Un assassino può fare da padrino,
mentre lei – irregolare a livello matrimoniale – non può farlo”. Alcuni
sono anche arrivati a gridarlo in faccia ai parroci, i quali mai si sono
sognati di ammettere una persona che – a meno che non ci sia pentimento
sincero e riparazione dello scandalo – uccidendo qualcun altro non
hanno certo dimostrato di condurre una vita conforme alla fede e
all’incarico che vogliono assumere (n. 7).
Ma, in verità, non è sempre colpa dei “parenti irregolari”. Infatti,
succede anche che i sacerdoti, forse per troppo zelo di pastori – o
piuttosto per l’atavica codardia alla don Abbondio –, abneghino il
proprio compito di discernimento e giudizio, promuovendo, invece, al
compito di padrino persone che se non sono in peccato pubblico
manifesto, quanto meno non hanno mai messo piede in una Chiesa dal
giorno della loro di Cresima. Magari celebrata nella primavera di
vent’anni fa. In tal senso, perciò, gli unici discriminati vengono ad
essere non i padrini-cugini che dai primi Vespri del sabato ai secondi
Vespri della domenica si trovano in uno stato confusionale dovuto
all’assunzione di sostanze più o meno illecite, ma proprio lo zio
divorziato-risposato che ogni domenica mattina si precipita in Chiesa
per cantare nel coro parrocchiale.
È proprio necessario avere un padrino?
Con l’approssimarsi dei Sacramenti dell’iniziazionecristiana,
uno dei punti all’ordine del giorno diventa proprio quello di trovare
il famoso “padrino”. In realtà, il dettato del can. 892 afferma che esso
ci deve essere “per quanto è possibile”. Ma i canonisti sono propensi a
leggere una tale possibilità non in senso facoltativo, quanto piuttosto
straordinario: potrebbe infatti accadere che per grave causa non ci
siano persone che possano assolvere il ruolo liturgico di padrini. In
tal caso non si potrebbe negare il Sacramento solo per il fatto che
manchi una tale figura. Proprio per questo, la Congregazione per il
Culto ha specificato che i genitori stessi potrebbero assolvere alle
funzioni liturgiche dei padrini in caso questi mancassero, come per
esempio il fatto di annunciare il nome del cresimando al Vescovo
celebrante durante la Confermazione.
Ciò, inoltre, deve essere comunque fatto con prudenza pastorale e valutate le condizioni e le circostanze del luogo [Notitiae,
11 (1975)]. In ogni caso, il padrino non dovrebbe mai mancare se,
invece, a mancare fossero proprio i genitori o lui stesso fosse l’unica
persona in grado di offrire sufficienti garanzie relativamente
all’educazione cristiana della persona che riceve il Sacramento: è il
caso in cui, per esempio, dovesse ricevere il Sacramento un neofita con
genitori atei o appartenenti ad altra religione.
Si pensi, inoltre, che il numero dei padrini è
ristretto a uno o due (in tal caso meglio affiancare una madrina,
meglio ancora se proprio la moglie del padrino) per motivazioni
pratiche. Spiega infatti la dottrina canonistica che se fossero più di
due si potrebbe incorrere in due rischi: da una parte questi potrebbero
non sentire come grave il loro impegno, con la conseguenza di assolvere a
tale funzione in modo non adeguato; dall’altra, infine, potrebbero
nascere contrasti sui criteri e sul metodo educativo.
E qui mi fermo. Prendo
un attimo di respiro e mi domando: ma le cose che sto scrivendo a quale
universo parallelo si riferiscono? Perché a parte qualche eccezione, di
solito coloro che fanno parte di un Movimento ecclesiale – penso ai
neocatecumenali, ai ciellini, ai focolarini, ecc. –, chi oggi vive in
questo modo il suo ruolo di padrino? Non è forse diventato una figura
mondana, completamente integrata nel sistema consumistico? Non è forse
quello che “deve fare il regalo più bello”? Quale padrino oggi assolve
davvero al compito educativo che gli viene richiesto?
Da più parti, così, nasce la domanda sulla
reale esigenza di avere tali figure: hanno ancora ragione di esistere?
Non sono retaggio di una società ormai inesistente? Non sarebbe meglio
abolirli? Si eviterebbe una certa mondanità ecclesiale, una profanazione
delle “res sacrae”, si scongiurerebbe l’ennesimo scandalo, fuori e dentro la Chiesa.
Allontaniamo i padrini dalla liturgia!
Fino alla riforma del Codice di Diritto Canonico, tra gli impedimenti dirimenti il Matrimonio vi era lacognatio spiritualis:
per la verità, tale impedimento esiste ancora nel Codice dei Canoni
della Chiese Orientali (il Codice che regola la vita delle Chiese
cattoliche di rito orientale). È fatto impedimento al padrino
(similmente a ciò che accade per il genitore) convolare a nozze con la
propria figlioccia (la madrina con il figlioccio) perché il legame di
parentela spirituale che nasce tra loro è così importante da essere
equiparato a quello che scaturisce dalla paternità e dalla maternità
sanguigna. Si trattava (e si tratta ancora nel CCEO) di impedimento di
diritto positivo, pertanto vi era la possibilità di dispensa ed oggi,
appunto, è stato tolto.
La fattispecie giuridica appena richiamata fa
comprendere ancora di più l’importanza del “padrino” e, in quanto
sacerdote, mi fa tremare al pensiero che oggi di fatto in molti chiudono
gli occhi di fronte alla grave situazione in cui tale istituzione,
seppur non centrale nella celebrazione però non priva di significato, si
trova.
Oggi, dunque, si limita il compito del padrino ad
aspetti liturgici, svuotati del loro valore primario. Ma la liturgia,
che non è un’azione magica di passaggi sociali, dovrebbe invece
presentare la verità del ruolo del padrino che è anzitutto pedagogico.
Provocatoriamente, mi verrebbe da fare una proposta:
si eliminino i padrini dalla liturgia! Si eviti di dare spazio a
ricercate pose fotografiche di persone che non comprendono nemmeno che
il loro figlioccio è in procinto di essere conformato a Cristo
nell’unzione battesimale, come in quella crismale. Le funzioni che i
padrini devono assolvere nella liturgia possono essere assolte dagli
stessi genitori o, nel caso di adulti, dagli stessi
battezzani-cresimandi. Cominciamo a far comprendere che i padrini sono
degli educatori alla fede! Non importa quanto vadano in Chiesa, quanto
siano bravi nel suonare la chitarra nel coro parrocchiale. Non importa
quanto sappiano delle “storie” della Bibbia o dei precetti della Chiesa.
Non importa quanto sia conforme la loro vita al Vangelo (o quanto non
lo sia!). I padrini sono anzitutto pedagoghi, persone che per questo
devono essere cresimate, aver deciso di donare la propria vita a Cristo e
alla Chiesa. In altre parole: non è che devono essere dei santi e dei
teologi per forza i padrini, ma devono comunque avere la volontà di
indicare ai figliocci l’”ortodossia”, cioè la “retta via”, che è
naturalmente la via cristiana.
Il vero padrino non ha smania di apparire nella liturgia. Il
vero padrino è quello che accompagna con la preghiera e l’insegnamento,
con l’esempio e con la libertà il proprio figlioccio verso l’incontro
con il Signore Risorto che agisce nei Sacramenti. Il vero padrino è
quello che non rivendicadiritti,
ma prende sul serio la responsabilità educativa: i nove requisiti non
danno alcun “diritto soggettivo”; essi, invece, si pongono come esame di
coscienza per tutti coloro che hanno il desiderio di paternità e
maternità spirituale. Nella Chiesa non si rivendicano diritti, ma ci si
conforma a Cristo.
Smettiamola, dunque, di dare spazio a persone disinteressate
al fatto religioso. Almeno per un po’! E cominciamo a coinvolgere i
padrini non una settimana prima della celebrazione, ma fin dall’inizio
dell’educazione cristiana dei ragazzi. Chiediamo che siano presenti alla
catechesi. Chiediamo loro che si assumano davvero le proprie
responsabilità. Abbiamo il coraggio di dire basta a questo modo di fare.
Non è sufficiente un pezzo di carta in cui si dica: “è
idoneo a fare da padrino”. Senza pretendere la perfezione – attributo
divino – chiediamo almeno la disponibilità alla coerenza e l’assunzione
di responsabilità. L’idoneità non è sinonimo di “situazione matrimoniale
regolare”. Altrimenti avrebbero ragione coloro che si battono perché
“irregolari”, ma al tempo stesso “cattolici impegnati”, chiedendo pari opportunità.
“Idoneo” significa avere le qualità necessarie ad esercitare un
compito. Tra queste vi è anche la “vita conforma alla fede”, dove per
fede si intende qualcosa di veramente importante.
Poniamo l’accento sull’educazione. Togliamo gli onori celebrativi e ricordiamo gli oneri educativi.
Solo così eviteremo di ritrovarci anche la prossima primavera
a dover discutere con il solito azzeccagarbugli – pronto tra l’altro a
minacciare lettere indirizzate nientepopodimeno che a Santa Marta –
perché figlio di quella generazione che ritiene virtuosa l’espressione
dell’opinione personale frutto della propria pancia – se non dei propri
lombi – nella legittimazione della rivendicazione di “diritti”: diritti
presunti dalla lettura sterile, letterale, farisaica, sindacalista del
Codice di Diritto Canonico.
*Foto e didascalie a cura della redazione
http://www.papalepapale.com/develop/il-padrino-ultimo-atto/
I sacramenti vanno dati anche ai marziani, se lo chiedono» ha detto recentemente Papa Francesco. Un’indicazione chiara. Ma poi che non è così facile darvi seguito. Vi sono le regole, il codice di diritto canonico, da rispettare. E a volte paiono proprio inadeguate a cogliere quella domanda di accoglienza e misericordia evangelica nella vita concreta delle persone così spesso richiamata da Bergoglio.
È quello che deve aver pensato Vito Maraschio. Lui, un quarantenne molto conosciuto a Scorrano nel Salento, anche perché è presidente del comitato per la Festa di Santa Domenica, non può fare da padrino alla cresima di Matteo, un giovane tredicenne figlio di amici. La ragione è che ha sposato una donna divorziata. Così il neo cresimando decide di rinunciare al sacramento. Era stato il ragazzo a «sceglierlo» come padrino. Lo voleva a fianco in questo passaggio - il sacramento della «confermazione» - così importante per la sua vita cristiana. Ma ci sono le regole del diritto canonico, i codici da rispettare. Li ha richiamati, come era suo dovere, il parroco del paese. Vi è una dichiarazione che l’aspirante padrino della cresima è chiamato a sottoscrivere. Oltre ad avere qualità umane e morali che gli consentono di essere un riferimento al cresimando, deve aver «già ricevuto i sacramenti dell’Iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia) e deve condurre «una vita conforme alla fede e all’incarico che assume». Viene specificato «coloro che non sono ammessi al compito di padrino». «Vanno annoverati - viene specificato - coloro che vivono in situazione matrimoniale irregolare, conviventi di fatto, cattolici sposati solo civilmente, cattolici divorziati risposati civilmente».
Il matrimonio con una donna divorziata escludeva la possibilità per Vito di fare da padrino a Matteo. Ma lui non si è dato pervinto, perché considera la sua come una condizione particolare. Sua moglie ha avuto il divorzio da un uomo violento che è stato condannato al carcere per maltrattamenti e violenza. Lui che ha cresciuto come un padre le due figlie avute dal precedente matrimonio dalla moglie, tra l’altro attiva nel volontariato cattolico, sente di vivere nel rispetto dei valori cristiani. Per lui quelle regole non gli sembrano proprio tener conto della vita sua e dei suoi cari. Chiede udienza al suo vescovo, quello di Otranto, monsignor Donato Negro per spiegare e capire meglio. Il no gli viene confermato. Vi è quell’ostacolo, quella irregolarità nella sua vita familiare, che gli impedisce di fare da padrino al giovane Matteo. «Sono rimasto senza parole» è stata la sua reazione. «A chi commette davvero reati e peccati gravi, viene concesso il perdono. A me, che sono tutt’altro che un peccatore, viene negata la partecipazione al sacramento di un carissimo amico di famiglia» scrive nella lettera inviata a Papa Francesco.
Sì, perché Vito Maraschio scrive al vescovo di Roma. Chiede non solo per sé, ma per tanti che sono nella sua stessa situazione, la revisione all’articolo 874 del Codice di Diritto Canonico. Vi spiega quello che considera un doloroso paradosso.
«Ho sposato una donna divorziata - racconta - a cui la giustizia civile ha riconosciuto i torti subiti con una sentenza che condannava a nove mesi l’ex marito per percosse. Le due figlie di lei sono diventate le mie figlie e per loro sono stati compiuti tutti gli sforzi necessari per garantire le opportunità di crescita, di formazione e di futuro che i genitori devono assicurare per obbligo di legge, ma ancora prima per dovere morale e di fede». «Per fare il padrino - aggiunge - dovrei lasciare mia moglie e le mie figlie. Impensabile. Ma non voglio neanche rinunciare a fare il padrino di un ragazzo che non mi ha scelto certo per interesse o per suggerimento». «Ecco perché - spiega - voglio iniziare una semplice, ma decisa battaglia. “Io no, un assassino si”. Rivendico il mio essere cristiano e lotterò con ogni mezzo per far cambiare questa ingiustizia».
«Voglio con tutte le mie forze e con il mio cuore essere il padrino di Matteo. Non so come spiegare - così Maraschio conclude la sua lettera a Papa Francesco - ad un giovincello che vede tante incongruenze, purtroppo anche nella Chiesa, che sono colpevole di non so bene quale colpa. Desidererei essere io destinatario di quel messaggio di comprensione che da millenni ha innalzato la vita di tutti noi e che quella comprensione diventasse fatto concreto. Chiedo scusa per averVi importunato, ma sono un cristiano che si rivolge ai suoi Pastori».
Ma non si ferma a questo. Il padrino «mancato» lancia anche una petizione online a sostegno della sua battaglia. Se una persona si pente del suo peccato, risulta in linea con la fede cattolica, mentre chi si risposa o si unisce in matrimonio con chi è divorziato, mantiene «attivo» il peccato, perpetrandolo nel tempo senza pentirsene.
È la condizione che vivono tutti i divorziati risposati che vorrebbero accedere ai sacramenti. Un tema sentito nella Chiesa alle prese con la crisi della famiglia. Su questo tema Papa Francesco ha convocato due sinodi dei vescovi e ha coinvolto nella discussione tutte le diocesi del mondo. Entro il 2015 arriveranno le decisioni. Intanto il giovane Matteo, ha rinunciato alla sua cresima. E non è un marziano.
http://www.unita.it/sociale/il-tuo-padrino-e-vietato-br-e-matteo-rifiuta-la-cresima-1.572927?localLinksEnabled=true&utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook
«Il tuo padrino è vietato»
E Matteo rifiuta la cresima
Il 13enne aveva scelto l’amico Vito,
sposato con una divorziata ed escluso dal diritto canonico. Ora si
rivolgono a Papa Francesco: «Aiutaci tu».
I sacramenti vanno dati anche ai marziani, se lo chiedono» ha detto recentemente Papa Francesco. Un’indicazione chiara. Ma poi che non è così facile darvi seguito. Vi sono le regole, il codice di diritto canonico, da rispettare. E a volte paiono proprio inadeguate a cogliere quella domanda di accoglienza e misericordia evangelica nella vita concreta delle persone così spesso richiamata da Bergoglio.
È quello che deve aver pensato Vito Maraschio. Lui, un quarantenne molto conosciuto a Scorrano nel Salento, anche perché è presidente del comitato per la Festa di Santa Domenica, non può fare da padrino alla cresima di Matteo, un giovane tredicenne figlio di amici. La ragione è che ha sposato una donna divorziata. Così il neo cresimando decide di rinunciare al sacramento. Era stato il ragazzo a «sceglierlo» come padrino. Lo voleva a fianco in questo passaggio - il sacramento della «confermazione» - così importante per la sua vita cristiana. Ma ci sono le regole del diritto canonico, i codici da rispettare. Li ha richiamati, come era suo dovere, il parroco del paese. Vi è una dichiarazione che l’aspirante padrino della cresima è chiamato a sottoscrivere. Oltre ad avere qualità umane e morali che gli consentono di essere un riferimento al cresimando, deve aver «già ricevuto i sacramenti dell’Iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia) e deve condurre «una vita conforme alla fede e all’incarico che assume». Viene specificato «coloro che non sono ammessi al compito di padrino». «Vanno annoverati - viene specificato - coloro che vivono in situazione matrimoniale irregolare, conviventi di fatto, cattolici sposati solo civilmente, cattolici divorziati risposati civilmente».
Il matrimonio con una donna divorziata escludeva la possibilità per Vito di fare da padrino a Matteo. Ma lui non si è dato pervinto, perché considera la sua come una condizione particolare. Sua moglie ha avuto il divorzio da un uomo violento che è stato condannato al carcere per maltrattamenti e violenza. Lui che ha cresciuto come un padre le due figlie avute dal precedente matrimonio dalla moglie, tra l’altro attiva nel volontariato cattolico, sente di vivere nel rispetto dei valori cristiani. Per lui quelle regole non gli sembrano proprio tener conto della vita sua e dei suoi cari. Chiede udienza al suo vescovo, quello di Otranto, monsignor Donato Negro per spiegare e capire meglio. Il no gli viene confermato. Vi è quell’ostacolo, quella irregolarità nella sua vita familiare, che gli impedisce di fare da padrino al giovane Matteo. «Sono rimasto senza parole» è stata la sua reazione. «A chi commette davvero reati e peccati gravi, viene concesso il perdono. A me, che sono tutt’altro che un peccatore, viene negata la partecipazione al sacramento di un carissimo amico di famiglia» scrive nella lettera inviata a Papa Francesco.
Sì, perché Vito Maraschio scrive al vescovo di Roma. Chiede non solo per sé, ma per tanti che sono nella sua stessa situazione, la revisione all’articolo 874 del Codice di Diritto Canonico. Vi spiega quello che considera un doloroso paradosso.
«Ho sposato una donna divorziata - racconta - a cui la giustizia civile ha riconosciuto i torti subiti con una sentenza che condannava a nove mesi l’ex marito per percosse. Le due figlie di lei sono diventate le mie figlie e per loro sono stati compiuti tutti gli sforzi necessari per garantire le opportunità di crescita, di formazione e di futuro che i genitori devono assicurare per obbligo di legge, ma ancora prima per dovere morale e di fede». «Per fare il padrino - aggiunge - dovrei lasciare mia moglie e le mie figlie. Impensabile. Ma non voglio neanche rinunciare a fare il padrino di un ragazzo che non mi ha scelto certo per interesse o per suggerimento». «Ecco perché - spiega - voglio iniziare una semplice, ma decisa battaglia. “Io no, un assassino si”. Rivendico il mio essere cristiano e lotterò con ogni mezzo per far cambiare questa ingiustizia».
«Voglio con tutte le mie forze e con il mio cuore essere il padrino di Matteo. Non so come spiegare - così Maraschio conclude la sua lettera a Papa Francesco - ad un giovincello che vede tante incongruenze, purtroppo anche nella Chiesa, che sono colpevole di non so bene quale colpa. Desidererei essere io destinatario di quel messaggio di comprensione che da millenni ha innalzato la vita di tutti noi e che quella comprensione diventasse fatto concreto. Chiedo scusa per averVi importunato, ma sono un cristiano che si rivolge ai suoi Pastori».
Ma non si ferma a questo. Il padrino «mancato» lancia anche una petizione online a sostegno della sua battaglia. Se una persona si pente del suo peccato, risulta in linea con la fede cattolica, mentre chi si risposa o si unisce in matrimonio con chi è divorziato, mantiene «attivo» il peccato, perpetrandolo nel tempo senza pentirsene.
È la condizione che vivono tutti i divorziati risposati che vorrebbero accedere ai sacramenti. Un tema sentito nella Chiesa alle prese con la crisi della famiglia. Su questo tema Papa Francesco ha convocato due sinodi dei vescovi e ha coinvolto nella discussione tutte le diocesi del mondo. Entro il 2015 arriveranno le decisioni. Intanto il giovane Matteo, ha rinunciato alla sua cresima. E non è un marziano.
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